“Un giorno andremo alla Scala!”, dice un detenuto de La Nave. E tutti gli altri a ridere.
“Vola basso, amico. Ricordati che siamo in galera”.
La stanza dove si prova è piccola, areata solo da una piccola finestra con le sbarre. Siamo tutti seduti su sedie un po’ sghinbesce. Sui muri un po’ di libri e le foto dei detenuti che hanno partecipato alle varie esibizioni canore dentro le mura. I volontari si mescolano ai marinai – come vengono definiti gli ospiti del reparto La Nave - e insieme cerchiamo di intonare un La. Decine di occhi si parlano, un martedì dopo l’altro.
Un mese fa il Maestro del coro chiese un attimo di concentrazione. “Ragazzi, vi devo dare sta notizia. Non ci credo quasi neanche io ma…l’8 aprile andremo a cantare alla Scala il Nabucco di Verdi”.
Silenzio.
“Siiii vabbè!”, disse un marinaio scoppiando a ridere.
“Sono molto serio, invece”, replicò il Maestro. “Il Presidente Guzzetti ha chiesto che per la propria festa di pensionamento canti solo chi ha sempre avuto nel cuore, e cioè i bambini e gli ‘ultimi’. E quando gli hanno proposto il Coro dei detenuti di San Vittore ha accettato. Quindi, diamoci da fare. Aprile è dietro l’angolo”.
Sguardi increduli.
Non sarebbe la prima volta che il Coro di detenuti si esibisce fuori le mura. Ha già cantato a Casa Manzoni un Natale, all’Auditorium della Verdi con Arisa, al Refettorio Ambrosiano ma sempre con una certezza: fino all’ultimo, non si sa chi verrà autorizzato dai propri magistrati a uscire e chi no.
Ma tutti i marinai si preparano non saltando una prova, come se.
L’attesa è lentissima e ha il sapore di una scommessa. Ciascun detenuto coltiva la speranza di potersi esibire di fronte a qualche familiare, un figlio, una compagna, un genitore, per renderli fieri di lui almeno per un giorno e poi...chissà.
“Riproviamo l’attacco! Dovete fare uscire le emozioni. Pensate che quelli sono i versi del popolo di Israele prigioniero di Babilonia. Prigionieri come voi. E che per la prima volta nella storia della Scala l’aria del Nabucco verrà cantata da chi, la condizione di prigioniero, la vive davvero”.
Il maestro non dà tregua ai marinai. L’impegno, in questo reparto trattamentale, è la leva per la libertà dalla dipendenza.
Sabato 6 aprile, il miracolo. La Scala entra in un carcere.
Diciannove cantanti professionisti arrivano a San Vittore per provare il Nabucco coi detenuti, insieme al loro Maestro, Bruno Casoni. Lo fanno a titolo di puro volontariato, con una generosità che commuove tutti.
Si mescolano tra i coristi, in religioso silenzio.
Uno, due, tre interminabili secondi di concentrazione in una atmosfera di palpabile emozione. Un bel respiro e via.
“Vaaaa pensieero sull’aaaali doraaaaateeee…”.
L’acustica del carcere e il rimbombo delle voci ci arriva addosso come la valanga del Vajont. Roba da rimanerci secchi.
“Ragazzi, ricordiamoci che il vero concerto è oggi. Sappiamo che molti di voi non sono stati autorizzati a uscire. Ma l’impegno che ci avete messo è quello che conta”, ricorda il Maestro ai marinai. Molti occhi si velano di lacrime dolcissime.
Ed ecco che una scaligera, napoletana anche nel cuore, mi viene incontro per dirmi sottovoce “Se per i ragazzi va bene, vorremmo organizzare dopo il concerto in Scala un rinfresco per loro e per i loro familiari”.
Senza sapere che quei familiari, con grande probabilità, non riusciranno nemmeno a incontrarli, i loro amati detenuti.