Straniera lei, italiano lui. Si sposano e in costanza di matrimonio hanno una figlia. Quando l’amore arriva al capolinea decidono di separarsi. La situazione è molto conflittuale e il Giudice della separazione, resosi immediatamente conto che i genitori non sono in grado di trovarsi d’accordo nemmeno sul colore degli occhi della piccola, stabilisce in via provvisoria che le decisioni di maggior rilevo per la figlia dovranno essere assunte dai Servizi Sociali e che la bambina abiterà prevalentemente presso il padre.
La moglie è infatti psichicamente fragile e l’odio per il marito – il suo ‘nemico’, la ‘causa del suo malessere’ – l’ha portata a tenere condotte mirate ad allontanarlo dalla figlia. L’uomo invece viene riconosciuto dal Giudice come un genitore ‘adeguato’, un giusto mix di affetto e regole.
Ma ecco il colpo di scena. La moglie rivela al Giudice che la piccola non è figlia di suo marito. Il Giudice sospende quindi il processo sino all’esito del giudizio di disconoscimento di paternità. L’esame del DNA rivela che la signora ha detto il vero: la bambina è figlia di un altro uomo.
La donna, forte di ciò, cerca quindi di ribaltare le sorti del giudizio e chiede che la figlia venga collocata a vivere da lei, sotto la supervisione dei Servizi Sociali. Il marito insiste invece che la piccola continui a vivere da lui, nonostante tutto.
Al Giudice l’ardua decisione: confermare o meno il collocamento della bimba presso il padre non biologico, cd. genitore sociale?
Il Giudice finisce per confermare il collocamento della bambina presso il marito perché è necessario “tutelare il legame da lui positivamente instaurato con la piccola”, legame consolidato nel tempo che ha per così dire compensato le carenze della madre, assicurando alla bimba benessere psicologico e serenità nel suo percorso di crescita.
Del resto – prosegue il Giudice – poiché il padre biologico (residente in Russia) non risulta che abbia riconosciuto la figlia nemmeno dopo che il giudizio di disconoscimento della paternità si è concluso, il padre non biologico potrebbe adottare la piccola perché assume preminente rilevanza la positiva relazione che si è instaurata tra lui e la bambina (secondo una particolare procedura di adozione prevista dall’art. 44, 1° comma, lett. B legge 184/1983 in quanto coniuge separato, ma non divorziato dalla madre)
Ecco il caso di un Giudice che ha saputo tirar il cuore oltre l’ostacolo, riconoscendo maggior valore alla “esigenza di tutela del legame affettivo del minore con le figure adulte di riferimento” rispetto alla freddezza della ‘verità biologica’.
Il principio – diritto del minore di conservare rapporti significativi con genitori non consanguinei e conseguente ruolo del cd. genitore sociale - richiama inevitabilmente alla memoria un altro ‘campo di gioco’: quello del legame affettivo del minore col genitore sociale nell’ambito di una coppia omosessuale. Come noto, di recente, si è espressa sul punto la Cassazione a Sezioni Unite (sentenza dell'8 maggio 2019 n.12193), pervenendo a una soluzione diversa rispetto a quella abbracciata dal Giudice nel processo che abbiamo appena analizzato (Trib. Como, 13.3.2019, Pres. Montanari).
Del resto, gli interessi da tenere presenti, prima di esprimere una opinione, sono un numero superiore a quello che si sarebbe tentati di dire a caldo. Perché in primo luogo c’è il bene del minore, certo, che la comunità internazionale riconosce concordemente come prioritario da molti anni. Ma, secondo la Cassazione a Sezioni Unite, la traduzione in concreto di questo interesse deve fare i conti con le “regole” - in materia di adozione, di famiglia, di ordine pubblico nel suo insieme - del Paese in cui la famiglia risiede.