(AGI) - CdV - La crisi delle ideologie non deve far cadere l'uomo di oggi nel rifiuto di ogni riflessione sulla realta', anche se questo significasse abbracciare una religione in modo fideistico. Per denunciare questo rischio, che sembra caratterizzare di fatto la cultura "post-moderna", ed esaltare invece il lavoro dei filosofi, anche di quelli non cristiani, Giovanni Paolo II ha scritto "Fides et Ratio", che e' la 13esima e forse la piu' difficile enciclica del suo pontificato. "La teologia - scrive il Papa nel documento pubblicato il 15 ottobre 1998 - ha sempre avuto e continua a d avere bisogno dell'apporto filosofico: in tutto il suo indagare presuppone ed esige una ragione concettualmente e argomentativamente educata e formata; inoltre ha bisogno della filosofia come interlocutrice per verificarne l'intellegibilita' e la verita' universale dei suoi assetti". Punto di partenza del documento sono gli interrogativi iscritti nel cuore di tutti gli uomini, al di la' di ogni differenza per cultura, nazionalita', razza o religione: "chi sono? Da dove vengo e dove vado? Perche' la presenza del male? Cosa ci sara' dopo questa vita?". Domande alle quali nella storia del pensiero umano sono state date risposte diverse, ognuna delle quali per il Papa contiene un "seme di verita'". "Rifiutare una simile verita' - afferma riferendosi in particolare alle filosofie orientali, che invita ad approfondire - sarebbe andare contro il disegno provvidenziale di Dio, che conduce la sua Chiesa lungo le strade del tempo e della storia". Un criterio di apertura che, scrive ancora Giovanni Paolo II, restera' valido anche "per la Chiesa di domani, che si sentira' arricchita dalle acquisizioni realizzate nell'odierno approccio con le culture orientali e trovera' in queste eredita' nuove indicazioni per entrare fruttuosamente in dialogo con quelle culture che l'umanita' sapra' far fiorire nel suo cammino incontro al futuro".