AGI - Tutti hanno un tallone d'Achille. La grande domanda che incombe sul Roland Garros e sulla semifinale che venerdi opporrà il ventenne Carlos Alcaraz al quasi veterano Novak Djokovic è capire quale sia quello dello spagnolo. Il quale l'anno scorso ha vinto l'unico confronto con il serbo (a Madrid 7-6 al terzo) e sta offrendo, in queste giornate parigine, uno spettacolo di superiorità così schiacciante nei confronti degli avversari da indurre i più a pensare che mai un gap del genere, fra i top players, si sia mai visto su un campo da tennis nei tornei dello Slam.
Tanti hanno stravinto e dominato: ma è difficile trovare un paragone con quanto si è visto, martedì sera, fra Carlos e Stefanos Tsitsipas, il numero 5 al mondo che fino a poco prima dell'avvento del murciano era indicato come un probabile numero 1 nell'immediato futuro e magari destinato a occupare quel ruolo non per un breve lasso di tempo. La superiorità di Alcaraz è stata imbarazzante e il sonnellino prepartita che a sentire Tsitsipas lo avrebbe fiaccato c'entra davvero poco.
Il punto debole di Alcaraz
Dunque si torna alla domanda iniziale: qual è il tallone di Achille dello spagnolo? Quello su cui Djokovic dovrà puntare per tentare di batterlo, accedere alla finale e proseguire nel sogno di conquistare, finalmente il Grande Slam? L'unico punto debole che ha mostrato non riguarda i suoi colpi, la sua condizione fisica, la sua capacità di analisi e nemmeno la sua statura mentale. Se ci si deve attenere a quanto visto si potrebbe dire che Alcaraz può essere battuto sul piano della stabilità emotiva.
Non sul piano di qualcosa che lui stesso possa eseguire in campo: ma su quello dell'atteggiamento che il pubblico terrà nei suoi confronti; e nel modo in cui Carlitos reagirà. Nel match contro Tsitsipas la superiorità dello spagnolo è stata tale da apparire urticante per il pubblico che era entrato nello Chatrier sperando di assistere a un match combattuto e di alto livello, come sempre succede.
Invece si è trovato di fronte a un massacro sportivo. A quel punto ha preso a incitare il greco a pieni polmoni: e in quel momento Alcaraz ha ceduto qualcosa, ha preso a tirare fuori di qualche centimetro colpi che fino a poco prima sarebbero risultati vincenti. Per la prima volta in carriera, il numero uno del mondo si è trovato nei panni dell'antipatico, dell'"avversario" di un pubblico non campanilista che non stava sostenendo un giocatore di casa ma un "terzo" nella speranza che allungasse l'incontro e che ponesse fine a un dominio troppo netto.
Non essere "amato" o perlomeno che non venisse riconosciuta la sua grandezza ha messo qualche granello di sabbia nell'ingranaggio possente dello spagnolo e lo ha indotto a qualche errore in più. Da 1-5 Tsitsipas ha trascinato il match al tie break che, visto come erano andare le cose fino a quel momento, è già stato tantissimo.
L'esperienza di Nole
Se la semifinale dovesse prendere una piega analoga, il pubblico parigino non esiterebbe certo a schierarsi dalla parte del serbo, nei confronti del quale, come tutti i pubblici del mondo, nutre sentimenti altalenanti ma se si tratta di vedere match più lunghi tutto passa in secondo piano. E Alcaraz potrebbe trovarsi a fronteggiare un'opposizione emotiva complicata da gestire.
È vero: lui impara in fretta. Ma si tratta sempre di un ragazzo di 20 anni, una potenza sportiva che qualche esperienza la deve ancora fare. E non è detto che le esperienze che riguardano la sfera delle emozioni siano cosi' facili da assimilare quanto una vole'e di rovescio.
Djokovic potrà e dovrà contare soprattutto sull'esperienza per arginare lo strapotere fisico e tecnico che Alcaraz ha mostrato fino questo punto del torneo. Un'esperienza che diventa determinante quando la partita si allunga: nel format al meglio dei cinque set ciò che succede nelle prime due ore del match non è gioco forza definitivo. Chi di titoli Slam ne ha vinti 22 certo non si fa intimorire da due set persi in una semifinale.
La strategia di Djokovic potrebbe addirittura andare espressamente in questa direzione: attendere che passi la buriana per poi prendere il comando delle operazioni quando il giovanissimo avversario potrebbe anche inconsciamente ritenere di avere il match in tasca. Quello di Parigi non è il miglior Djokovic della storia: è più tonico di quello che ha perso a Roma ma è ancora tentennante in alcune occasioni. Il serbo è uno che non teme reazioni emotive: se il pubblico lo sostiene si abbevera di quella passione.
Se gli è avverso se ne abbevera uguale, magari lanciando qualche urlaccio o cacciando fuori dallo stadio qualche componente del suo staff tanto per scaricare la tensione. Più il match sarà emotivo più Djokovic avrà possibilità di vincerlo. Più sarà fisico e più per lui sarà durissima frenare l'avanzata dell'avversario.
Ma Djokovic è Djokovic non per caso: un altro effetto dell'esperienza è che a priori non dà nulla per scontato. Anzi: proprio dal partire sfavorito, il serbo potrebbe trovare quelle energie soprattutto nervose che ormai cerca e trova solo nei tornei dello Slam o nel Master di fine anno. Di queste energie Alcaraz dovrebbe avere timore.