AGI - Sui campi da tennis ci sono quelli che sbraitano, alla Nick Kyrgios, quelli che pur senza dare di matto hanno comunque personalità esuberanti, come Frances Tiafoe, quelli tutta grinta e tocchi spettacolari che sono già dei divi inarrivabili come il nuovo numero uno del mondo Carlos Alcaraz.
E poi ci sono quelli zitti, buoni, solidi ma letali come il norvegese Ruud che di nome si chiama Casper come il fantasmino dei cartoni animati, che nella notte dell’11 settembre a New York sono andati vicini ad agguantare il primo Slam della vita, si sono visti annullare due set point nel terzo set e anziché piangere come la Jabeur (non ci sarebbe stato niente di strano, considerando che è la seconda finale Slam che gli sfugge, dopo Parigi, e pure quella che lo avrebbe consacrato numero uno del mondo) guardano il bicchiere mezzo pieno.
Quel 6/4-2/6-7/6-6/3 a favore di re Alcaraz pesano come un macigno ma per lui sono, in fondo, una piuma: “Sono un po’ deluso ma anche essere numero due del mondo non è male e ora posso continuare a inseguire la prima posizione”, ha detto durante la premiazione, esigendo “prima di parlare di tennis” lui che l’11 settembre del 2001 non aveva ancora compiuto tre anni, di ricordare nella notte del ventunesimo anniversario “le tante persone che quel giorno persero la vita”.
Educato e silenzioso come pochi in campo, mediaticamente poco visibile, sull’Arthur Ashe Ruud si è dimostrato anche un gentleman, ammettendo (l’arbitro non se n’era accorto) di aver colpito una palla al secondo rimbalzo e cedendo il punto ad Alcaraz, che a match concluso, ha definito “uno di quei talenti che nascono raramente, oggi il miglior giocatore del mondo”.
Ma dopo la finale dello Slam parigino, dove si arrese a Nadal e dopo essere stato matato a New York da un altro torero del tennis, Ruud, che un po’ di “sangre” spagnolo ce l’ha anche lui allenandosi da quattro anni proprio all’accademia di Nadal, è comunque sicuro che uno Slam se lo prenderà presto. “Sono pronto”, ha dichiarato. Lo dicono i colpi, miglioratissimi, le gambe, che hanno poco da invidiare a quelle di Alcaraz, e soprattutto i risultati: prima di perdere dalla giovane stella iberica a New York aveva messo in fila nell’ordine, Edmund, Van Rijthoven, Paul (l’unico che lo aveva portato al quinto set, mentre Alcaraz ci è andato tre volte con una serie di maratone che lo hanno tenuto in campo per un totale di 20 ore) Moutet, il nostro Berrettini e Khachanov.
Niente male per uno che era nato come terraiolo (8 dei suoi nove titoli sono stati conquistati sul rosso) ma che poi ha saputo evolversi tanto che, prima del trionfo a New York, era andato vicino alla vittoria sul cemento del Masters 1000 di Miami, perdendo proprio, in due set, da Alcaraz. Il merito va anche al suo coach, suo padre Christian Ruud, che è stato il migliore tennista norvegese prima di lui, al 39° posto del ranking mondiale nel 1995.
Lo segue ovviamente nel circuito, così come la mamma, le sue bionde sorelle Caroline e Charlotte (in famiglia si chiamano tutti con la C) e la sua fidanzata, ovviamente bionda pure lei, Maria Galligani, nata a Oslo ma di origini italiane. Un clan familiare (per la finale c’era anche la nonna, bionda pure lei of course) che conta moltissimo per il tennista: “Devo tutto a loro, mi hanno sempre aiutato e incoraggiato, spero che continueremo ad avere questo rapporto” li ha omaggiati durante la premiazione. Ma forse lo aiuta anche non essere monotematico: Ruud è anche un golfista provetto e ci tiene a precisare che ama a pari merito i due sport.
Su Instagram ha due profili ufficiali, uno da tennista professionista (casperuud) e un altro da golfista amatoriale (casper_golfer) dove ha, incredibilmente, più follower: 6756 contro i 312 mila del tennis.