AGI - Ci vorrà un po’ di tempo per digerire la sconfitta di un soffio (quel che basta, purtroppo, nel tennis) del nostro Sinner nei quarti di finale dell’Us Open contro Alcaraz, all’alba dell’8 settembre. Ma ad accelerare l’elaborazione del lutto nazionale forse può aiutarci la portata sportiva, storica, umana e sociale della semifinale che sta per andare in scena tra lo spagnolo e l’americano Frances Tiafoe, per entrambi la prima in uno Slam.
Da una parte Alcaraz, numero 4 del ranking, colui che a 19 anni, se dovesse vincere il titolo, potrebbe diventare il più giovane numero uno del mondo della storia, strappando il record all’australiano Lleyton Hewitt, che invece ci riuscì a 20 anni suonati (ma a sedersi sul trono del mondo ci prova anche il 23enne norvegese Casper Ruud, protagonista dell’altra semifinale contro Khachanov).
Dall’altra, il 22enne figlio di immigrati dalla Sierra Leone, numero 24 del mondo, che a New York ha clamorosamente estromesso dal torneo Rafa Nadal, diventando il primo afroamericano in semifinale cinquant’anni dopo Arthur Ashe.
E che adesso potrebbe essere il primo tennista a stelle e strisce ad aggiudicarsi il titolo casalingo 19 anni dopo Andy Roddick, il quale, con una trama sportiva dal sapore cinematografico, in finale battè proprio Juan Carlos Ferrero, oggi prezioso coach di Alcaraz.
Fin qui il cotè sportivo. Ma poi c’è quello delle vicende familiari, una bella storia quella di Alcaraz, una storiona da serie tv (imminente, c’è da scommetterci) quella dell’afroamericano. Lo spagnolo è il terzo Carlos della famiglia tennistica Alcaraz, figlio di Carlos senior, che si è adattato al ruolo di direttore di una scuola tennis dopo aver lasciato, per mancanza di mezzi economici, la carriera da professionista, e nipote di nonno Carlos, che a 88 anni è uno dei soci più anziani del club de Campo di El Palmar.
Immaginiamoci la gioia della famiglia se il campione che ha cominciato a giocare a quattro anni, a 19 porterà il nome Alcaraz sulla vetta del tennis mondiale, restituendo a suo padre quello che a cui dovette rinunciare per questioni di soldi.
Se dovesse andare così si commuoveranno parecchio gli Alcaraz. Mai, però, quanto mamma Alphina, che nel box di Tiafoe sembra una versione 2.0 di Oracene, la madre delle Williams, alle quali il tennista si è ispirato (“Mi ricordo quando ero bambino e vedevo Serena e Venus giocare le finali degli slam. Mi chiedevo robe tipo ‘Chissà come dev’essere giocare a Wimbledon o all’Arthur Ashe”).
Adesso sull’Arthur Ashe Tiafoe sta regalando sogni che arrivano da molto lontano, da un circolo del Maryland dove qualche volta da bambino si fermava anche a dormire e ancora prima, dalla sofferenza dei genitori in Africa: “Sono figlio di migranti, entrambi i miei genitori sono nati e cresciuti in Sierra Leone. Sono arrivati negli Stati Uniti alla fine degli anni ’80, inizio ’90. Si sono incontrati qui e hanno dato alla luce me e il mio fratello gemello. Mio padre era un tuttofare in un club di tennis. Mia mamma era un’infermiera e faceva due lavori.
Molto spesso aveva i turni anche di notte - ha raccontato il campione americano, spiegando che la vittoria su Nadal l’ha voluta soprattutto per i suoi genitori - Riuscire a rimanere nel mondo del tennis significava portarci fuori dal ghetto. Mio padre riusciva a malapena a vederci, nessuno si poteva aspettare che sarebbe finita così”.
Papà Frances Tiafoe Sr e mamma Alphina Kamara in Sierra Leone hanno vissuto la povertà in pieno: il padre lavorava in miniera fin da quando era un adolescente. La coppia riuscì a emigrare negli Stati Uniti scampando così alla guerra civile, in Maryland sono nati Frances Jr e suo fratello gemello, Franklin (che ha giocato a tennis per la Salisbury University in Maryland).
Frances senior viene assunto dopo poco, nel 1999 con i figli appena nati, come operaio per la costruzione di un nuovo centro tennistico e quindi come custode: puliva di giorno il centro e si prendeva cura dei campi in terra la sera (vi ricorda un certo Ascenzio Panatta?).
I giovani gemelli Tiafoe crescono quindi nel circolo e iniziano a giocare sin da bambini, ma sarà Frances ad essere il campione di famiglia. A 15 anni diventa il più giovane vincitore dell’Orange Bowl, il resto è storia. Adesso il favorito della semifinale è Alcaraz, ma ricordiamoci che il mantra di Tiafoe è “Tutto è possibile, bisogna solo credere in se stessi”.