AGI - Non è ancora il numero uno al mondo ma è solo una questione di tempo perché il tennis abbia il suo nuovo re.
Carlos Alcaraz, 19 anni compiuti da due giorni e numero sei del ranking mondiale da lunedì prossimo (superati con un sol balzo Berrettini e Rublev), ventiquattro ore dopo aver battuto Rafa Nadal, si è ripetuto superando nella semifinale di Madrid l'attuale n. 1 al mondo, Nole Djokovic, al termine di un match partito in sordina ma diventato stupendo.
Il miglior Djokovic da parecchi mesi a questa parte ha dovuto arrendersi alla fine al tie break del terzo set, non solo alla legge del tempo ma soprattutto a un avversario che incarna l'entusiasmo di un giovane felice di essere ciò che è, di un tennista che ancora non indovina tutte le scelte ma che ha nella sua faretra tutte le frecce possibili: una straordinaria tenuta fisica, servizio polivalente, gran tocco, non comuni capacità strategiche.
Carlos ha battuto Nole dopo oltre tre ore e mezza di spettacolo puro, 6-7, 7-5, 7-6 e domani incontrerà in finale il vincente del match notturno Tsitsipas-Zverev: la certezza è che, a parte i resti del Fab Four, chiunque fra i giovani desideri andargli vicino dovrà elevare di molto il suo rendimento.
Non si è il primo a battere Nadal e Djokovic sulla terra per caso, il più giovane a riuscirci, tra l'altro. La vera impresa, Alcaraz, l'ha fatta ieri vincendo la sfida con il totem spagnolo: due palle corte, ma corte tanto, una di rovescio e una di dritto.
Un serve&volley. Un passante assurdo sul match point. Questi i quattro colpi, spettacolari e al contempo letali, con cui Alcaraz ha giocato il game che lo ha portato a battere Nadal.
Contro Djokovic ha superato indenne il fatto di aver subito un ace del serbo sul primo match-point che aveva conquistato; e nel tie break decisivo è stato capace di essere pressoché perfetto.
Battendo i due mostri sacri Alcaraz è passato attraverso il rito di passaggio che lo ha consegnato di fatto al ruolo di futuro numero 1 del mondo.
Sacramento della Comunione, bat Mitzvah, servizio militare, esame di maturità, discussione della tesi di laurea: i riti di passaggio non vanno più di moda ai tempi nostri ma non sono pochi i sociologi che sostengono come quei "passaggi", o almeno alcuni, siano ancora oggi fondamentali per scadenzare la crescita della persona. Figuriamoci per un tennista.
Quasi mai nella storia del tennis un giovane aspirante re ha dovuto e potuto approfittare della possibilità di battere direttamente e di fila i sovrani di prima.
Per dire: lo svedese Wilander che poi avrebbe conquistato otto titoli dello Slam, giocò sì contro il connazionale Bjorn Borg, poco prima del primo ritiro di questi, a Ginevra nell'81.
Però Mats era un ragazzino, Bjorn era sempre Bjorn e gli lasciò due game. Non la stessa cosa. Alcaraz ha ricevuto da Rafa e Nole l'abbraccio di chi consegna le chiavi del castello, del cavaliere crociato che, nel terzo film della saga di Indiana Jones, lo assiste nella scelta della Graal, della coppa che contenne il sangue di Cristo.
Certo: il Rafa di queste settimane, reduce dall'infortunio alle costole, non è quello che ha vinto a Melbourne, tanto per restare all'anno in corso.
Questo Rafa ha nel 14 titolo a Roland Garros (e 22 dello Slam) il suo obiettivo stagionale, probabilmente l'unico. Tutto ciò che viene prima (Roma compresa) è una preparazione a quel tentativo.
E pure Djokovic ha ritrovato giusto contro Carlos il livello di gioco che l'anno scorso avrebbe potuto portarlo alla conquista del Grande Slam. Ma il significato di quanto successo resta: Carlos Alcaraz, oltre che essere il leader della generazione degli ultra-next-gen (Rune, Musetti, Sinner, Draper, Lehecka) che rischia di offuscare molto presto Zverev, Tsitsipas e soci, ha ricevuto l'investitura che solo i big avrebbero potuto concedergli.
È già virtualmente sei del mondo. Carlos Primero decisamente è, d'ora in poi, qualcosa di più di un cognac.