AGI - Cos’ha in comune con Nadal? Il passaporto spagnolo e il tifo per il Real Madrid, club che quando Carlos, l’anno scorso, raggiunse i quarti di New York gli inviò prontamente un messaggio: siamo orgogliosi di te. Ma per il resto Alcaraz, fresco trionfatore del torneo di Miami, il suo primo Master 1000 e neo undicesimo giocatore del pianeta è un’altra cosa rispetto a Rafa.
Spagna a parte, i due sono sicuramente accomunati da una rara capacità di gestire le emozioni del tennis nel migliore dei modi, senza mai esagerare nell’entusiasmo per il presente e il futuro e elaborando in fretta le sconfitte. Ma Carlos, 19 anni a maggio, 3,8 milioni di dollari già sul suo conto corrente e pronto “a vincere uno Slam quest’anno”, come ha dichiarato dopo la vittoria a Miami in campo è un giocatore diverso da Rafa, soprattutto se lo si paragona al Nadal che a 18 anni chiuse la stagione al n.2 della classifica Atp con davanti solo Roger Federer. Vediamo perché.
Dice Juan Carlos Ferrero, il coach che ha iniziato a seguirlo da bambino: “Carlos dà il meglio quando è aggressivo. Gli chiedo di esserlo di continuo, non deve mai assumere una posizione passiva. A sedici anni, quando si allenava con giocatori già formati, si adattava in un lampo al livello di chi aveva di fronte. In quel caso ho capito che lo step successivo sarebbe stato quello di issarsi sopra quel livello”.
Rafa per una buona metà della sua straordinaria carriera ha impedito agli avversari di essere aggressivi. Li ha portati alla soglia della pazzia rimandando nel loro campo le palle che rimbalzavano in alto come mai si era visto nella storia del tennis.
Ha opposto alla creatività altrui, quando c’era, una condizione atletica superiore, un agonismo da extraterrestre, e un’intelligenza tattica da uomo adulto. Ma l’aggressività strategica se l’è costruita intorno ai trent’anni, quando corpo e cervello gli hanno passato un messaggio chiaro: per restare in alto devi evolverti.
Perché la fatica lascia più di un segno anche quando i segni non si vedono, e il crac da stress alle costole lo ha appena dimostrato. Diverso anche il terreno sociale: l’uno (Rafa) di natali borghesi con papà imprenditore, l’altro di famiglia dai mezzi economici assai più limitati.
Alcaraz che vive da autorecluso a Villena nell’accademia-monastero Equelite di Juan Carlos Ferrero, dove si allena sei ore al giorno, vive in uno spartano bungalow di legno e per svagarsi e allenare la mente gioca a scacchi. È nato nella Murcia ed è figlio di Carlos senior, che si è adattato al ruolo di direttore di una scuola tennis dopo aver lasciato, per mancanza di mezzi economici, la carriera da professionista. Il nonno, Carlos pure lui, a 88 anni è uno dei soci più anziani del club de Campo di El Palmar.
Carlos terzo, che ha cominciato a giocare a quattro anni, darà alla famiglia Alcaraz i successi che aspettano da trent’anni. E su tutte le superfici: ha iniziato ad allenarsi su quelle dure soltanto da un anno. E si è accorto, nel corso di questi mesi, che su queste superfici i suoi colpi esplosivi e la su innata predisposizione a giocare vicino alla rete fruttavano un sacco di punti. Il connubio spagnoli-terra rossa con lui è definitivamente tramontato.
In Italia s’è compiuta la stessa parabola grazie a Berrettini e Sinner: due giocatori che nel loro dna non hanno niente del terraiolo d’antan. Nadal è nato uomo di terra e solo più avanti ha preso ad amare (o almeno ad accettare) sintetici ed erba.
È perlomeno molto probabile che Alcaraz costruirà la sua ascesa verso la poltrona di primo giocatore del mondo proprio sul veloce (dove si disputano oltre il 70 per cento dei tornei del circus). Per primeggiare sull’erba (soprattutto su quella della prima settimana dei Championships) Carlos probabilmente dovrà aspettare di più.
La stagione sulla terra è partita in queste ore da Marrakech e Houston e decollerà a partire da domenica con Montecarlo. È facile prevedere che a Roland Garros (fratture alle costole del maiorchino permettendo) potrebbe andare in scena una sorta di passaggio di consegne fra i due caudilli spagnoli.
L’uomo nuovo che la sorte ha messo nelle mani di Ferrero e del tennis spagnolo ha una strada aperta davanti a sé. Una strada verso una leadership destinata, al netto di eventi imprevedibili, a durare nel tempo. E senza che all’orizzonte si profili un Federer capace di opporglisi nello stile e nei risultati.