AGI - Gli elementi della parentesi nera degli italici gesti bianchi, messi in fila, sono questi. Matteo Berrettini, dopo aver giocato la splendida semifinale a Melbourne, s’infortuna di nuovo ai muscoli dell’addome o forse no è solo un risentimento, chissà. Il corpo ha memoria delle sofferenze, del resto. Finisce la storia con la Tomljanovic e lo beccano a cena a Miami con la Anisimova e la Bouchard; qualcuno ipotizza che una delle due sia la sua nuova fiamma, la Anisimova smentisce, lui non dice niente.
Perde da Kecmanovic a Indian Wells, a Miami dà forfait a causa di un infortunio alla mano. Lo operano chissà dove (pare a Barcellona), intervento riuscito anche se sulla patologia si sa poco. Rientrerà a Montecarlo? Mah. Chissà, chissà, chissà.
Reperto numero due. Jannik Sinner a Indian Wells si autoesclude per un malessere non meglio precisato. Influenza? Chissà. A Miami gioca partite appassionanti contro Carreno Busta e Kyrgios, poi contro Cerundolo si ritira dopo 20 minuti. Non saluta il pubblico, nemmeno un gesto, prende la borsa ed esce fra i fischi. È incavolato? Dolorante? Lui dopo rivela che il problema sono le vesciche ai piedi, una è esplosa e lui non riusciva più a camminare. Già successo contro Rublev a Vienna nel 2020.
Il coreano Chung, vincitore della prima edizione di Next Gen a Milano nel 2017, a causa (anche) di un problema simile è scomparso dai radar. Nadal ci ha sofferto a lungo, ma lui è Nadal, ritirarsi per un piede piagato non rientra nei sui pensieri. Problema senza rimedio? Chissà.
Reperto numero tre: Lorenzo Sonego non vince più una partita e due apparizioni negative (con due sconfitte) in Davis sembrano avergli tolto convinzione, altro che iniezione di adrenalina da competizione a squadre.
Reperto quattro: per Lorenzo Musetti (in Florida ha perso da Popyrin) il miglior risultato stagionale è stato il successo contro Gombos contro la Slovacchia, il match che ha permesso all’Italia, per il rotto della cuffia, di conquistare il pass per il turno di settembre di Davis.
Ci consoliamo, certo, con la resurrezione in doppio di Bolelli e Fognini e con il primo titolo Challenger vinto da Flavio Cobolli, quello che con Luca Nardi è il rappresentante della generazione 3.0 del tennis nostrano.
Ma alla vigilia della stagione sulla terra sono sotto gli occhi di tutti tre problemi per il tennis italiano: un diffuso dolore che i pediatri di una volta avrebbero definito “della crescita”; un intervento pesante della sfortuna e, infine, un deficit di comunicazione.
Se per quanto riguarda Sonego e Musetti i problemi sono soprattutto di natura tecnica e agonistica per Matteo Berrettini il discorso è diverso. Ha sempre goduto di un’immagine positiva capace di suscitare empatia; immagine che sta cambiando alla luce del suo nuovo ruolo di star, in campo e fuori.
La riservatezza sulle questioni personali è indiscutibile ma quando si è “star”, per di più vittima di infortuni continui e ricorrenti, vale la pena di non trasmettere la sensazione di eccessiva riservatezza. Quella che, ad esempio, ha accompagnato il fulmine a ciel sereno dell’infortunio alla mano. Altrimenti l’immagine si appanna e il mondo (soprattutto quello social) ci mette pochissimo e sospettare che l’oggetto dell’attenzione (Matteo) non solo sia sfortunato ma si sia anche montato un po’ la testa.
Sinner, dal canto suo, era certamente deluso e furioso quando è uscito dal campo a Miami. Ma come molti supercampioni potrebbero insegnargli, sarebbe bastato un gesto di dispiacimento da indirizzare al pubblico (soprattutto a quello televisivo) per rendere quella prematura uscita dal campo coinvolgente
Invece quella stessa freddezza che gli ha permesso di non cedere ai deliri di Kyrgios vincendo una partita bellissima contro l’australiano, ha fatto sì che di Jannik sia passata un’immagine sbagliata: quella di chi sì ha un problema ma è eccessivamente centrato su se stesso e non si cura poi tanto di chi lo sta seguendo.
Dolori della crescita, certo. Che fanno parte del gioco. Ma anche la sofferenza sportiva va comunicata con oculatezza, specie quando si diventa top player. Se no il gradimento scende. E questa non è mai una buona cosa, specie nel tennis.