AGI - Non è mai merito del miele di manuka, del succo di cetriolo o dei datteri. O perlomeno non solo. Se vinci una finale Slam a 35 anni recuperando uno svantaggio di due set, dopo esserti sottoposto all’ennesimo intervento chirurgico per ridurre i danni allo scafoide del piede sinistro causato dalla sindrome di Muller-Weiss e aver contratto il Covid, il segreto è da un’altra parte.
Specie se si guardano gli aridi numeri dell’incontro e si scopre che Nadal ha messo in campo tre ace contro i 23 di Medvedev. Che non è stato all’altezza del russo nelle risposte vincenti. Che ha commesso più doppi falli, di cui uno, dolorosissimo, quando era a due punti dal trionfo. Rafa mangia i datteri che secondo il suo medico storico Ruiz Cotorro hanno la capacità di rilasciare rapidamente energia e non pesano sullo stomaco mentre si gioca. Djokovic diceva praticamente lo stesso del costosissimo miele di manuka mentre Medvedev si è fatto portare il succo di sottaceti all’inizio del quinto set per tentare di allontanare i crampi.
Ma ciò che ha permesso a Rafa di vincere un match che è già nella storia è stata la testa. La capacità di giocare ogni singolo punto in modo isolato e senza permettere che un eventuale punto perso o un errore (il già citato doppio fallo, ad esempio) influiscano sul punto successivo. Che è un altro mondo, considerando pure che nel suo team Rafa non ha un mental coach. Alla preparazione psicologica ci pensa da solo: “Il lavoro mentale è non lamentarsi quando giochi male, hai problemi o dolori. È avere l’atteggiamento giusto, la faccia giusta e non essere negativo riguardo le cose che ti succedono, è andare in campo ogni giorno con la passione di allenarsi e di lavorare sodo”, ha spiegato. Capito?
Certo il fisico conta perché la macchina che obbedisce alle indicazioni del cervello è quella. Prendiamo la dieta ad esempio. “Da giovane ero un mezzo disastro – ha confessato più volte – perché non ci prestavo molta attenzione. Ora non posso più permettermelo”. Il che in soldoni vuol dire, elemento più, elemento meno: pane fresco all’olio di oliva, succo d’arancia, pochi grassi. Ma se spunta una brioche non la getta via. Dopo le sessioni di allenamento: frullato proteico al gusto di vaniglia. La sera? La pasta, e che diavolo. Ma anche riso, pesce e molte verdure. Come si vede nulla di trascendentale. E se si tratta di coccolarsi Rafa non si nega un pezzo di cioccolato (non una tavoletta però) e un bicchiere di rosso “Bodegas El Nido” (pregiata azienda vitivinicola a metà strada da Valencia e Murcia) che apprezza particolarmente.
L’allenamento? Lui la racconta così: “Non reggo più i carichi di anni addietro. Potevo allenarmi anche sei al giorno. Ora non supero le due ore e mezza”. Ma cosa fa in quelle due ore e mezza? L’obiettivo della terza parte di una carriera in cui causa ginocchia, piedi, caviglie, polsi, schiena è tennisticamente morto e poi risorto più volte, è stato rinunciare a costruire altra massa muscolare con il risultato di mettere altro peso su caviglie, piedi e ginocchia rigenerate con trattamenti al plasma e con le staminali. Dunque è stato ridotto il lavoro con i pesi e aumentato quello che conferisce ai muscoli agilità. Potenziando però i muscoli che permettono a Nadal di essere Nadal: quelli intorno alle ginocchia e soprattutto alle spalle. Rafa deve poter colpire la palla con rotazioni estreme che mettono la cuffia dei rotatori continuamente sotto sforzo: ecco dunque che lavora con macchine ad hoc e cavi di resistenza che potenzino quei muscoli specifici. Per “fare fiato” corre sul tapis roulant con una inclinazione massima del 15 per cento e si dedica pure a intense serie di salti con la corda, salti sui gradini e dure sessioni di vogatore.
Per rafforzare i quadricipiti il suo schema di lavoro “classico” (che muta a seconda se si è nell’imminenza di un torneo oppure in fase off saison) prevede sessioni di leg extension con 10 chili e 45 secondi di tenuta nella parte finale di ogni ripetizione, alternate a sessioni più dinamiche con 30 chili. Oltre a toccarseli continuamente in campo nel tic sistema-pantaloncini, lavora moltissimo sui glutei perchè averli forti aiuta la sua schiena a “scaricare” meglio le rotazioni che i movimenti del suo tennis gli impongono. E in qualunque luogo si trovi Rafa tira fuori dal borsone elastici di resistenza, si attacca dove può e lavora su braccia e gambe. Giusto per far passare il tempo.
La macchina la prepara così. Soprattutto perché il suo tennis è cambiato e di molto nel corso degli anni. Rafa gestisce meglio i match cambiando strategia e colpi in corsa. Sa che la prima versione di sè, quella più da terraiolo che opponeva agli sforzi degli avversari quasi esclusivamente la sua devastante resistenza a fondo campo che diventava offensiva grazie a rimbalzo alto e ingestibile della sua palla, poteva vincere contando su uno schema che funzionava benissimo.
Il Nadal di 35 anni (nonostante nella finale australiani abbia vinto la maggior degli scambi che sono andati oltre i nove colpi nella finale) deve chiudere a rete attaccando in controtempo, giocare i drop shot con maggiore intensità, praticare un gioco di volo che non sia solo la chiusura del punto ma una mossa tattica che lo espone anche a qualche rischio. E si comporta di conseguenza. Specie quando la fatica si fa sentire.
E poco importa che il russo (nessuno ha colto una sottile venatura maliziosa-ironica?) abbia detto alla premiazione che non sapeva come facesse Rafa a non essere stanco dopo oltre cinque ore di battaglia; adesso Rafa si stanca e la sua determinazione (la “garra” in spagnolo) deve essere ancora più forte per permettergli di vincere i match, optando anche per soluzioni che in passato non gli appartenevano. A Melbourne è stato in campo per 22 ore di partite: senza una testa che fa di lui probabilmente il maggior atleta vivente nessun corpo umano sarebbe arrivato a sollevare il trofeo.