O ggi, Daniil Medvedev vola su una nuvoletta, quasi imprendibile: a Shanghai, nella sesta finale di fila in sei tornei, ha vinto il secondo Masters 1000, dopo Cincinnati e il “250” di San Pietroburgo (sconfitto sotto il traguardo a Washington, Montreal e Us Open). Oggi, dopo averci perso quattro volte su quattro, il 23enne di Mosca ha sfatato anche il tabù Sasha Zverev, scavalcandolo anche nel ruolo di giovane numero 1 dietro i mitici Federer, Nadal e Djokovic. Che s’inchina: “Negli ultimi mesi è lui il miglior giocatore del mondo”.
Ha infilato il successo numero 29 nelle ultime 32 partite, da luglio a Wimbledon, aggiudicandosi tutti gli ultimi 18 set dal ko con Rafa a New York, passando dal numero 10 al 4 della classifica, la 3 nella Race per il Masters coi migliori 8 della stagione a Londra. Oggi, è tutt’altro giocatore rispetto a quello che, alle Next Gen Finals di Milano, non appariva come il più promettente, ma semmai come il più indecifrabile, fra i migliori under 21 della passerella italiana ora emigrata dalla Fiera di Rho al Palalido, potente ma sparacchione. Come peraltro era anche Boris Becker pochi mesi di diventare il famoso Bum Bum.
Un anno fa, agli Us Open, il russo alto quasi due metri dai colpi sbilenchi e personalissimi perdeva nel terzo turno contro il connazionale Borna Coric. Che, invece, ora ha appena dominato nella finale di San Pietroburgo, la quinta consecutiva in altrettanti tornei sul cemento, dopo aver sfiorato il trionfo contro Rafa Nadal sotto il traguardo di Flushing Meadows, facendogli sputare sangue fino all’ultimo respiro del quinto set. Da primo under 23 ad arrivare così lontano nell’ultimo Slam stagionale da Novak Djokovic nel 2010.
Come ha fatto l’Orso di Mosca a sistemare il mirino del suo micidiale bazooka? Ma, soprattutto, come ha fatto a mettere ordine della testa e a controllare i nervi? Fino al gennaio dell’anno scorso, l’appassionato di fisica, matematica, playstation, scacchi e film di Tarantino, era famoso soprattutto per due macchie comportamentali nel suo curriculum. Due scivolate che facevano anche sorridere, ma gli avevano rubato credibilità.
Al torneo Challenger di Savannah 2016, quand’era ancora 250 del mondo, era stato addirittura espulso dal campo per “commenti razzisti”. Messo sotto pressione, aveva suggerito all’arbitro, Sandy French, di colore, proprio come il suo avversario, Francis Tiafoe: “So che siete amici, ne sono sicuro”. E, a Wimbledon 2017, dopo la mancata rimonta da due set a zero fino al quinto, contro Bemelmans, aveva gettato con disprezzo delle monete sotto il seggiolone dell’arbitro, Mariana Alves, che gli aveva fatto cinque over-rule contrari e di cui aveva chiesto – ovviamente invano – la sostituzione durante il match. L’arbitro era venduto o meritava una mancia? “Ma, no, ho fatto una cosa stupida, senza significato, chiedo scusa a tutti”.
Pagò 12 mila euro di multa. “Quando gioco a tennis, non so proprio da dove vengano fuori tutti questi demoni, me li porto dietro sin da quando giocavo i tornei juniores. Ho avuto tanti problemi per questa cattiva attitudine”.
Come guarire da se stessi? “Cherchez la femme”, come già altri protagonisti della racchetta un po’ ribelli che trovano la serenità anche grazie a una donna, dalla Mariana Simionescu, prima moglie di Bjorn Borg, alla Mirka Vavrinec, instancabile compagna di Roger Federer, alla fidanzata storica dell’ex spennacchiotto russo, Daria, che Daniil ha sposato a settembre dell’anno scorso. Anche se nel suo caso le donne sono diventate addirittura tre, con la sorella, Elena, che vive a Cannes – e l’ha condotto al coach della svolta, Gilles Cervara - più Francisca Dauzet, la psicologa sportiva, che ora viaggia anche col team. “Nessuna magia, non sono un guru, abbiamo solo lavorato per un anno sul controllo delle emozioni, per evitare che rabbia e frustrazione prendessero il sopravvento sul suo tennis”.
Il paziente era pronto: “Non volevo più perdere perché diventavo matto o perché smarrivo la concentrazione per il pubblico o per l’arbitro. Se dovevo perdere doveva essere perché l’avversario era migliore di me. Il tennis è uno sport particolarmente difficile, individuale al massimo, sul campo non ti dà aiuti sul campo: sei solo contro l’avversario, e contro te stesso. E devi essere forte”.
La medicina pure: “Quando un guerriero Shaolin combatte non si guarda mai attorno, sente che le cose stanno accadendo, devi imparare a mantenere la stessa calma interiore e la stessa consapevolezza di sensi”. Shaolin, guerrieri, Cina? L’attenzione di Daniil si è accesa sul misterioso universo della filosofia e della meditazione dei monaci che coltivavano l’arte del kung fu. “Non è semplicemente una questione di non fare pazzie, di non rompere la racchetta o fare un urlaccio, bisogna arrivare al punto di poter decidere quando devi fare una certa cosa e come. Per migliorare tutti i giorni e continuare a farlo”.
E così ecco spiegato il primo miracolo già a gennaio 2018 che poi coincide col primo dei sei titoli conquistati sulla scena Atp Tour: nella finale di Sydney, il classico preludio degli Australian Open, peraltro contro un eroe di casa, Alex De Minaur, e dopo essersi fatto raggiungere sul 5-5, dilapidando due break di vantaggio. Medvedev sprinta, si è imposto per 7-5, doppiamente euforico: “Sono cambiato, ho modificato me stesso in campo”.
Pian pianino, il disegno della psicologa si è realizzato: “Ha migliorato in maniera davvero egregia il controllo mentale, e così oggi può sfruttare appieno la sua mente che è molto larga e complessa, simile a un computer e gli consente di raggiungere tutti i punti in un secondo”. E, quindi, anche di cambiare all’improvviso rotta, movimenti, colpo, strategia, e far impazzire gli avversari. Magari era studiato anche quando ha mostrato il dito medio al feroce pubblico di New York, per poi ringraziarli beffardamente, o forse no: “Senza il vostro chiasso, il vostro tifo contro, la vostra elettricità non sarei riuscito nemmeno a giocare”. Ancora una volta ha chiesto scusa, ma ha utilizzato la forza esterna catalizzandola in modo positivo.
Come un guerriero Shaolin. Forse anche meglio.