L a players lounge, il salotto degli atleti, degli Internazionali d’Italia di Roma come di tutti i tornei di tennis, pullula di parenti, amici, tecnici, preparatori atletici e anche manager. Già, che cosa fa esattamente un manager di tennis? L’abbiamo chiesto al 42enne Corrado Tschabuschnig. Che, al di là del cognome austriaco dei nonni, ha genitori italiani, è italianissimo ed è il manager di due dei giocatori di punta del bum del tennis maschile azzurro, Matteo Berrettini e Lorenzo Sonego. Dopo essere stato tennista (“numero 1000 al mondo in singolare e 600 in doppio”) all’epoca dei più noti coetanei Martelli, Messori, Santopadre, ha creato l’agenzia Top Seed, con sede in Austria e collaboratori nel mondo. Oggi leader.
Come e perché si diventa manager?
“Davo una mano in via amichevole ai colleghi, grazie al mio occhio organizzativo. Il primo “cliente” è stato Messori, nel 97, gratis, per dividere le spese della sua auto che avevamo rotto nel viaggio verso un torneo Challenger. Nel 2000 il primo cliente vero è stato Potito Starace”.
In che cosa consiste la sua attività?
“Bisogna soprattutto impostare, gestire, integrare la squadra che sta attorno al giocatore. Curare gli accordi fra le parti, e trovare gli sponsor. Per ogni accordo l’agenzia percepisce il 20%, e ovviamente ci appoggiamo a un avvocato, uno dei soci, Stefan Leiner, perché le cose da fare sono tante”.
Eppoi bisogna trovare gli sponsor!
“Già, che è un lavoro pazzesco, perché bisogna anche assecondarne le aspettative: vuol dire interviste, foto, presenza dell’atleta anche sui social media. E quindi dotarsi di tutti gli strumenti adatti. Evitando al giocatore e al team qualsiasi stress che influenzi l’attività agonistica”.
Il tennista viaggia continuamente.
“Ed è sempre l’agenzia che provvede a tutto: la terza socia di Topseed, Lindie che vive a Melbourne, si occupa di prenotazioni, di alberghi e voli aerei”.
Chi è il numero 1 di Topseed?
“Il 18 del mondo, Basilashvili, quindi Matteo Berrettini, Lorenzo Sonego, Struff, Davidovich Fokina, Caruana, Bublik, Tsurenko. E ancora gli storici, Dolgopolov e Troicki. Da noi non vanno mai via, rimangono fino a fine carriera e poi magari si riciclano secondo caratteristiche e propensioni. Come Santopadre che ora allena Berrettini”.
Ma come fate a seguire l’attività e le necessità di tanti giocatori?
“Per ora non facciamo più scouting e non cerchiamo altri giocatori da gestire, i nostri sono diventati troppo forti. E comunque, con Matteo e Lorenzo che vanno d’accordo e sono amici siamo davvero a posto”.
Quali sono i criteri di scelta dei giocatori?
“Intanto non siamo noi a contattare loro, ma loro noi. Soprattutto i coach. Poi, come nel caso di Davidovich Fokina, succede che il mio collaboratore che era andato a visionare Caruana è rimasto folgorato dallo spagnolo, e ha messo sotto contratto tutti e due. Contratti che possono essere di 6 anni, nel caso di un investimento sulla carriera o di 3 se si tratta di management”.
Qual è la prima caratteristica di un tennista Top Seed?
“Le qualità di coordinazione, di tennis, ma la chiave è il grado di fiducia che possiede. Se è cresciuto in un ambiente sano, se non ha avuto delusioni, se si fida almeno di una persona sola, come è il caso di Berrettini con Santopadre e di Sonego con Gipo Arbino, cinquantenni di esperienza, allora siamo già a buon punto. Poi dev’esserci la sintonia personale, valori, idee, mete che combaciano. Con l’idea che la chiave è quella di commettere meno errori possibili”.
Come spiega il miracolo del tennis maschile italiano?
“Al primo punto ci metterei la valanga di Challenger in Italia che hanno permesso ai giocatori di confrontarsi coi professionisti e di aumentare la competizione fra loro a un livello più alto. Quindi la semifinale del Roland Garros di Cecchinato ha aperto la speranza a tutti quelli che l’avevano battuto. Anche i coach hanno la loro parte: in Italia ne abbiamo tanti, da Santopadre a Rianna a Sartori, che sono a disposizione dalle 8 del mattino alla 23 e non hanno nulla da invidiare agli stranieri”.