Articolo aggiornato alle ore 18,05 del 10 giugno 2018 (dopo la conclusione della finale del Roland Garros).
Anche in queste ore il ritornello è sempre lo stesso: “Nadal è indistruttibile. Con quel fisico è normale che vinca sempre”. Il tennista spagnolo ha appena vinto la sua undicesima finale al Roland Garros contro Thiem, giustiziere del nostro Cecchinato. Numeri che farebbero davvero pensare a un campione unico nella storia. Uno che “senza quel fisico” non avrebbe portato a casa tutti quei trofei. Ma Nadal è davvero indistruttibile? Può un tennista che gioca un tennis così dispendioso e 'violento' essere ancora lì a correre come un ghepardo affamato che non lascia scampo alle sue prede? Qual 'è il segreto di lunga corsa del più forte e vorace giocatore di tennis sulla terra rossa di ogni tempo?
Esiste una infografica che Pablo Calvache ha pubblicato su El Mundo. All’interno ci sono tutti gli infortuni che Nadal ha dovuto affrontare negli anni. Ginocchia, caviglie, addome, adduttori, polsi, spalle, schiena. Non c’è una parte del suo corpo che non l’abbia tormentato.
E non si tratta di un’infografica completa. Arriva al 2014. Dovreste aggiungere gli infortuni da allora fino ad arrivare al ritiro all’ultimo Australian Open con il suo “grido di dolore” in conferenza stampa: “Chi governa il circuito mondiale dovrebbe riflettere su quello che sta accadendo. Ci sono troppi tennisti che si infortunano. C’è una vita oltre al tennis, e io non so cosa ci capiterà se continuiamo a giocare su queste superfici estremamente dure”. Un punto di rottura a cui il tennista di Maiorca non ci aveva abituato. Lui, che la frase “non giocherai più”, l’aveva già sentita almeno due volte nella sua lunga carriera.
Il piede e il pensiero al golf
Immaginate Nadal che cammina, pacifico, tra le buche di un campo da golf. Che sceglie la mazza giusta, calcola il vento e l’inclinazione del prato, ed esulta per essersi assicurato l’ennesimo torneo del PGA Tour. È un’immagine che non è mai diventata realtà ma a cui avremmo potuto assistere se il problema al piede del maiorchino, il primo vero infortunio della sua carriera, non si fosse risolto. Nella sua autobiografia, Rafa, il tennista racconta di quando i medici, nel 2005, gli spiegarono che una lesione congenita a un piccolo osso del piede sinistro, lo scafoide del tarso, avrebbe potuto mettere la parola fine ai suoi sogni di gloria. Allora, Nadal, aveva appena 19 anni. E aveva appena vinto il suo primo Roland Garros.
Ma la soluzione arrivò nella forma di una soletta ortopedica personalizzata in grado di ridurre al minimo le sollecitazioni durante le partite. Nadal ci lavora insieme alla Nike che produce per lui una scarpa leggermente più grande, in grado di aiutare il piede ad attutire i contatti con le superfici più dure. Non è un periodo facile per Rafa. Si muove male, è più lento e goffo. Ma l’infortunio gli permette di incrementare la forza fisica, di curare gli altri muscoli, di crescere mentalmente. Diventa più atletico e più potente, più attento e agonisticamente cattivo. Anche il servizio, ad esempio, diventa più veloce e il suo gioco meno dispendioso. In fin dei conti, quell’infortunio, è un affare.
Le ginocchia e il video del New York Times
Nel 2009 Nadal subisce una delle sconfitte più dure da digerire. Quella contro Robin Soderling, durante la prima settimana del Roland Garros. Non è banale. I titoli dei giornali parleranno di “miracolo”, “biggest shock”. Nadal arrivava da 4 edizioni e 31 partite vinte a Parigi. Quella sconfitta è, per molti, il motivo per cui Roger Federer è riuscito a vincere almeno una volta lo Slam francese, quell'anno, appunto, in finale su Soderling, un forte giocatore, niente di più. Dal 2005 al 2014, infatti, nell’albo d’oro di Parigi, il nome di Federer compare solo in quella edizione. Per il resto è un dominio, totale, di Rafa Nadal.
Ma in quella partita contro il lungo tennista svedese succede anche un’altra cosa. Lo spagnolo si accorge che qualcosa nelle sue ginocchia, già monitorate, sta cambiando. Sente più dolore e si ferma. Decide di non difendere il titolo di Wimbledon, vinto l’anno prima. Girano le voci di un problema serio. Di un nuovo, possibile, ritiro. È un calvario che andrà avanti negli anni e a cui il New York Times dedicherà un video speciale, molto dettagliato, con una diagnosi precisa: le ginocchia di Nadal cederanno definitivamente a causa delle torsioni e dei movimenti a cui sono sottoposte. Dalla iper-estensioni del rovescio a tutte le altre sollecitazioni causate dal suo gioco a tendini, muscoli e legamenti. Arriverà la fine, è inevitabile.
La sindrome di Hoffa
È lo stesso Nadal a raccontare, in più interviste, che i medici avevano pronta per lui una nuova diagnosi. Lla sindrome di Hoffa. La rotula del ginocchio è adagiata su un cuscinetto di grasso, un tessuto adiposo chiamato corpo di Hoffa. Quella che affligge Nadal è un’infiammazione, molto fastidiosa, di questo tessuto. Un dolore che non cesserà e lo costringerà ad uscire e rientrare dal circuito ATP più volte negli anni. Nel 2010, ad esempio, si era già ritirato in semifinale agli Australian Open, lasciando strada ad Andy Murray. Nel 2012 il periodo più critico. A Wimbledon arriva un’altra sconfitta cocente, contro un giocatore modesto come Lukas Rosol, alla prima partecipazione al tabellone principale: “Spiegare la vittoria? È come se una squadra della Repubblica Ceca battesse il Real Madrid” dichiarò incredulo il tennista di Brno. Nadal si fermerà un’altra volta, stavolta per diversi mesi. Perderà le Olimpiadi del 2012 e gli slam successivi. Ma la scelta si rivela vincente perché nel 2013, dopo aver saltato l’Australian Open, si porterà a casa altri due slam, Parigi e New York.
L’incubo del biennio 2015-2016
Il 2015 è l’anno peggiore di Rafa. Quello per cui si dirà: “Ormai è finito, stavolta non ce la fa”. Perde da Berdych ai quarti in Australia, da Murray in finale a Madrid, da Wawrinka ai quarti a Roma, da Djokovic ai quarti a Parigi. Al Roland Garros si ferma dopo 66 vittorie e 1 sconfitta in 10 edizioni (e solo due partite al quinto set), quella già citata contro Soderling. A Wimbledon, poi, viene battuto da Dustin Brown. Tranquilli, se non ve lo ricordate non siete i soli. Agli Us Open esce per mano di Fognini, in una partita epica, che invece tutti gli appassionati hanno ancora ben impressa negli occhi. Chiuderà l’anno in quinta posizione mondiale, senza vincere neanche uno Slam o un torneo Master 1000.
L’anno dopo ne 2016, arriverà il primo ritiro della carriera al Roland Garros. Stavolta il problema è al polso. Salta Wimbledon e agli Us Open viene eliminato da un altro semi-sconosciuto, Lucas Pouille. Per la prima volta in carriera non è mai andato, nei tornei dello Slam, oltre i quarti di finale.
La rinascita del 2017
Ma Nadal è come la fenice: dalle ceneri è sempre risorto. Nel 2017 torna prepotentemente a imporre il suo gioco: finale agli Australian Open, persa contro Federer, e vittorie a Parigi, decimo Roland Garros in bacheca, e agli Us Open. Unica pecca la sconfitta contro Muller a Wimbledon, 15-13 al quinto set, una battaglia vera e di rara intensità. A nessuno sfugge questo ennesimo cambio di passo. C’è chi, addirittura, come Roselyne Bachelot, Ministro della salute del governo Sarkozy, lo accusa di doping: "Se vedi un giocatore di tennis fermo per parecchi mesi per infortunio è perché è risultato positivo e sta occultando le prove”.
È a Indian Wells, durante la conferenza stampa, che Nadal risponde ammettendo di fare dei trattamenti speciali ma leciti per rimettere a posto le ginocchia: “Ho fatto un trattamento al plasma e uno con le cellule staminali. La prima volta con il plasma ha funzionato bene, la seconda no e ho dovuto smettere di giocare per sette mesi”. Anche in tribunale, a vincere, è Rafa.
Il trattamento speciale
Il segreto dei recuperi fisici di Nadal ha un nome e cognome: Angel Ruiz Cotorro. È il medico personale del tennista, lo segue da più di 14 anni, ed è l’artefice della cura con cellule staminali che negli anni ha dato adito a molte chiacchiere e infondati sospetti. Non si tratta di autoemotrasfusione o di altre pratiche proibite ma di cure efficaci e anti-infiammatorie, usate anche in ortopedia, nell’ambito della medicina rigenerativa.
Cotorro ha seguito altri tennisti, come Bolelli e Tipsarevic, entrambi afflitti da ricorrenti problemi alle ginocchia. Già nel 2014, Nadal, in un’intervista a El Mundo, spiegava in cosa consistono quei trattamenti: “Prendono il plasma del sangue, lo centrifugano ed estraggono fattori di crescita che vengono iniettati per favorire la rigenerazione delle cellule. La metodologia di trattamento per la schiena non è molto diversa da quelle delle ginocchia, solo che questa è un po’ più aggressiva perché devono praticare iniezioni nella parte inferiore della schiena per estrarti le cellule staminali dalla cresta iliaca. Poi si devono preparare colture in modo che le cellule si riproducano per cercare di rigenerare i tessuti più velocemente”.
Il segreto delle ginocchia di Nadal, insomma, non è un segreto. È una cura a cui si sono sottoposti tanti grandi campioni, da Pau Gasol, stella dell’NBA, a Cristiano Ronaldo. Quello che ti porta a vincere per l'undicesima volta Parigi, l’ultimo avversario è stato Dominic Thiem, va oltre i trattamenti fisici. In spagnolo, ma anche in sardo, si chiama “gana” ed è quella voglia di vincere, quella fame di agonismo, che fa superare ogni difficoltà.