I ntanto, grazie. Cara Marit Bjoergen, con la faccia da montanara dura, tutta muscoli, nervi e ossa, senza un filo di grasso, senza un alito di fiato sprecato, sempre essenziale e ordinata e precisa e sincronizzata nei movimenti, che sia in salita, in discesa, nelle curve a gomito prima di una rampa, allo sprint o sotto la neve. Grazie a nome di chi, nell’Olimpo degli immortali dello sport, da sua maestà il 36enne Roger Federer, in giù, in tutti i campi della vita, è convinto che l’età sia un numero importante e significativo, da interpretare però soggettivamente, non un marchio, non una condanna, non un privilegio, ma un riassunto di quel che sei stato e di quello che sei. Altrimenti, perché, davanti a quel zampillare continuo e quasi offensivo di energie ed entusiasmi giovanili, alla fine, sul gradino più alto del podio ci sale ancora una volta la signora di ferro che il 21 marzo compie 38 anni?
Grazie anche a nome dello sport. Perché 8 ori, 4 argenti e 3 bronzi, sono un doppio record di atleta più vincente della storia alle Olimpiadi invernali. L’aggancio aureo alle leggende, peraltro due connazionali norvegesi, il biathleta Ole Einar Bjorndalen e il fondista Bjorn Daehlie, e il primato assoluto di medaglie, 15, come nessuno mai. Seconda nella storia delle Olimpiadi tutte, dietro la ginnasta sovietica Larisa Latynina con 18 medaglie.
Grazie, perché tutto questo non avviene in una garetta qualsiasi, giusto per ravvivare il pallottoliere degli statistici, ma è il premio della 30 km mass start, la maratona delle nevi, la gara più dura del durissimo fondo, che chiude virtualmente l’Olimpiade invernale. Come la maratona per quella estiva. Grazie, perché così la Norvegia, un Paese di appena 5.2 milioni di abitanti, vince il medagliere olimpico - battendo con 39 medaglie totali il record degli Stati Uniti di 37 a Vancouver 2010 - superando a PyeongChang di 8 medaglie la Germania (82.67 milioni di abitanti e un potere economico sicuramente superiore agli scandinavi), con la quale divide il numero degli ori, 14, e diventando la nazione regina dei Giochi invernali con più medaglie di tutti, 330 (davanti agli Usa con 281!), dal via delle Olimpiadi della neve del 1924.
Ritmo indiavolato
Il dettaglio dell’epopea Bjorgen è impressionante.
- ORI, Vancouver 2010: Inseguimento, Sprint, Team Sprint; Sochi 2014: Inseguimento, 30km, Team Sprint; PyeongChang 2018: 30km, Staffetta.
- ARGENTI, Salt Lake City 2002: Staffetta; Torino 2006: 10km; Vancouver 2010: 30km; PyeongChang 2018: Inseguimento.
- BRONZI, Vancouver 2010: 10km; PyeongChang 2018: 10km, Team Sprint.
Il valore della sua ultima impresa andrebbe spiegato con le espressioni devastate delle rivali, quando “La signora di ferro” ha imposto un ritmo indiavolato, al quale nessuno ha saputo resistere. Concludendo con quasi due minuti di vantaggio sulla finlandese Krista Pärmäkoski, con la svedese Stina Nilsson bronzo. “È stato un giorno fantastico. I miei sci erano molto buoni, gli ultimi 100 metri sono stati speciali, mentre ho finalmente capito che avevo vinto l’oro individuale ai Giochi, dopo la staffetta. Non avete idea quante emozioni e quanti pensieri mi sono venuti nella testa nel finale. Sono partita dall’Olimpiade di Salt Lake nel 2002, e sono ancora lì, che mi guardo indietro, dopo sette chilometri e mezzo di gara, vedo dietro di me due-tre ragazze e cerco di spingere ancora. Dopo la discesa più lunga, avevo cinque secondi di vantaggio, dopo la saluta, ne avevo dieci, e sapevo che dovevo aumentare ancora, e poi ne ho avuto venti e poi trenta, e ho capito che sarebbe stato il mio giorno. Ma dovevo sciare bene e ho tenuto il vantaggio. Col mio corpo che mi dava le risposte giuste”.
Orgoglio e figlioletto: “Io sono solo Marit!”
Sorride, Marit, e sventola la bandiera norvegese, mamma, moglie e regina felice, umile, e finalmente anche bella. Come non s’era vista mai, lontana dagli sforzi della gara: “È stata una carriera incredibile, e dopo essere diventata mamma, è diventato sempre più duro restare lontana da casa, e queste ultime tre settimane sono state ancor più dure, lontana dal mio Marius. Ma concludere così è stato davvero fantastico. Ero venuta ai Giochi pensando di lottare per un oro, uno soltanto, e ce l’ho fatta nella 30 km, sapevo che era la mia gara. Se mi guardo indietro e ritorno alla mia carriera è davvero incredibile. Così come è incredibile poter chiudere così la mia ultima Olimpiade. E ancor più incredibile è aver disputato cinque Giochi Invernali e aver collezionato 15 medaglie, è davvero difficile da realizzare. Ho bisogno di un po’ di tempo per guardare dentro di me e alle spalle, a quello che ho fatto. Ho fatto la storia, ho 15 medaglie, io sono solo Marit! Forse capirò veramente tutto questo solo quando avrò chiuso con l’agonismo. L’età è un numero: “Penso, anzi, che dopo i 30 anni è più facile fare una buona 30 chilometri. Ci vuole tanto lavoro, prima, io ne ho almeno dieci di vantaggio di Krista (Parmakoski), ed è ancor più bello essere primi davanti a ragazze giovani. Io, poi, ho avuto i miei anni migliori fra i 30 e i 37, quando ho imparato ad equilibrare al meglio allenamenti e gare, mentre la mia rivale non è ancora lì, perciò vedremo ancora tanto di Krista in futuro”.
Niente ritiro, ma tanto orgoglio per la sua Norvegia e per il suo ruolo, come dice la faccia fiera sul podio dell’ultima gara olimpica: “Il futuro è davvero luminoso per il mio paese, abbiamo sempre tanti giovani che vengono su, ed è questo il motivo per cui sito così bravi, perché c’è sempre un ricambio e idoli da imitare, Ora devo fermarmi un attimo e pensare, vedremo come riuscirò a conciliare sport e famiglia. Ma penso che ce la farò ancora per un po’”.
Socialismo, lavoro e risparmio
Il precedente record della Norvegia alle Olimpiadi invernali era di 26 medaglie, nel 2014 a Sochi, e nel 1994 quando fu sede dei Giochi di Lillehammer. Come sé passati da questi numeri alle 39 medaglie della Corea del Sud 2018? La popolazione dell’intera Norvegia è pari alla città statunitense di Atlanta (non parliamo dei 324 milioni di abitanti degli Interi Stai Uniti), anche se l’accesso alla neve è praticamente illimitato con 30mila chilometri di sentieri segnati. “Possiamo dire che nasciamo con gli sci ai piedi”, ha sottolineato il tre volte oro di fondo a PyeongChang, il 21eenne talento Johannes Høsflot Klaebo. “La domenica andiamo tutti, volentieri, nei boschi e sciamo”. Non c’è gara, non c’è competizione, c’è gioia di stare insieme. Una filosofia di vita che, per i giovani, significa, fino ai 13 anni, né classifiche né punteggi, ma puro piacere di fare qualcosa che piaccia veramente e diverta ed aiuti a socializzare.
Morale: negli 11.000 club si riversa il 93% della popolazione giovanile per far sport e tre insieme. Anche se dietro i sorrisi e la spensieratezza, c’è anche tanta organizzazione, c’è sistema. Soprattutto dai Giochi di Calgary 1988, quando nel medagliere non arrivò alcun oro. L’Operazione Olimpiade Lillehammer 1994, nacque con l’istituzione del centro d’elite nazionale, l'Olympiatoppen, dove vengono radunati i migliori talenti sportivi, per fare il primo salto di qualità verso lo sport professionistico più attento e concreto, anche con l’utilizzo di tecnici specializzati, stranieri. In linea con gli altri paesi. Gli investimenti sono saliti dai 2.4 milioni di dollari del 1990 ai 24.2 del 2001. Anche se il budget annuale del Coni norvegese, cioè dell’ente che gestisce le federazioni sportive, è di appena 15 milioni e mezzo di euro (11 per gli sport invernali).
In Italia il budget è di 145 milioni. Più decisivo, in parallelo, è stato il fattore sociale: negli anni, è salito il livello di vita della Norvegia tutta, con incremento di passioni e hobby degli abitanti, e quindi di attenzione verso la pratica sportiva, propria e dei propri figli. Così come gli esempi e l’abitudine a stare insieme (e quindi il rispetto degli altri) seleziona il livello umano degli atleti d’élite. Cui, spesso, proprio per esaltare il fattore-gruppo, vengono aggregati nei raduno anche atleti di livello inferiore.
Tagliando i costi di sport come skeleton, bob e slittino, che non vengono frequentati, né sovvenzionati. Una filosofia da paese ricco, ma socialista, convinto che il successo nasca soprattutto dal lavoro duro, insieme. Svicolando da hotel a 5 stelle e camere singole, dividendo magari anche per 250 giorni l’anno anche il letto matrimoniale. Svicolando dai rischi dello sport di Stato, con premi e rimborsi spese minimi, e molti degli atleti presenti all’Olimpiade con una un’attività lavorativa, parallela alla pratica sportiva (carpentieri, idraulici, insegnanti, studenti). Svicolando, forse, dalle mele marce, ”Nessun idiota è ammesso”, come suggerisce Kjetil Jansrud, un argento e un bronzo a Pyeongchang, “In squadra, non vogliamo situazioni e persone così". Non svicolando, come tutto lo sport, dal pericolo-doping. Come s’è visto due anni fa dalla positività all’antidoping di Martin Johnsrud Sundby, poi riabilitato e capace di conquistare due ori ed un argento a Pyeongchang, che aveva esagerato col Voltalin. E i media norvegesi hanno evidenziato come l’uso degli anti-asmatici fosse aumentato del 10% rispetto alla vicina Finlandia. Che di ori all’Olimpiade ne ha vinto soltanto uno, nella, 50 km maschile…
Verso Tokyo e Pechino
La signora di sempre delle nevi Bjorgren e la sua nazione, l’incredibile ed affascinante Norvegia, regina dei Giochi di PyeongChang, si meritano la premiazione durante la cerimonia di chiusura della XXIII Olimpiade Invernale. Così come Lindsey Vonn merita di essere portata in trionfo dai compagni di nazionale dagli statunitensi, dopo un’Olimpiade deludente come risultati (un solo bronzo), ma eccezionale come esposizione mediatica, come simbolo di donna che cerca la felicità e atleta che fa mille sacrifici, dando un ottimo esempio, a 33 anni, nel chiudere l’esperienza olimpica. È bello anche che Carolina Kostner chiuda al meglio la sua carriera, cominciata da ragazza a Torino 2006 e conclusa a 31 anni con il bel quinto posto nel pattinaggio artistico. Belli i canti dei bambini, nel segno del futuro, come i tanti colori nella solita festa dei soliti spettacoli musicali, pirotecnici e coreografici. Con gli atleti che sfilano tutti insieme, con le loro bandiere finalmente unite. Meno quella della Russia, ancora bandita come alla cerimonia d’apertura e in gara, per gli ulteriori due casi di doping accertati in questi giorni.
Mentre sono unite e festanti gli atleti delle due Coree, che, sovvertendo qualsiasi rituale, a questi Giochi in Corea del Sud, hanno anche gareggiato in un’unica squadra, nell’hockey donne. Un bello spettacolo per i 35mila spettatori e per il mondo intero in diretta tv, dopo 17 giorni di gare. Domani sarà: da una piccola città come PyeongChang, le Olimpiadi si preparano a sbarcare in due megalopoli come Tokyo (10 milioni di abitanti) per l’Olimpiade estiva 2020, e Pechino (oltre 20 milioni) per quella invernale del 2022. Il braciere olimpico si spegne, ma in realtà già brilla sotto la cenere, con nuovi programmi, nuovi sogni, nuove scommesse.