AGI - Gabriel Omar Batistuta. Se la Roma quest’anno avesse avuto lui, al centro dell’area di rigore, forse staremmo qui a festeggiare qualche bel trofeo, o un secondo posto in campionato. Se l’altra sera sul dischetto dello stadio Puskàs di Budapest fosse andato Batigol da Reconquista (Argentina), pure con una caviglia malandata e due ginocchia pericolanti, chissà, forse la storia sarebbe cambiata e Mourinho avrebbe conquistato la sesta finale internazionale su 6 riportando i giallorossi in Champions dopo un bel po’ di tempo.
In questo senso ‘Batistuta, l’ultimo centravanti’ di Andrea Romano (66thand2nd editore, 242 pagine, 18 euro) uscito in questi giorni è un libro profetico. Racconta la storia leggendaria e a tratti misera e dolorosa di un fuoriclasse del calcio mondiale degli ultimi 30 anni, uno dei 5-10 che ti vengono subito in mente se pensi alla maglia numero 9, insieme a Ronaldo (il Fenomeno), Shevchenko, Benzema, Haaland e davvero pochi altri. Il centravanti che più di ogni altro giocatore è mancato quest’anno alla squadra di Trigoria dove si è festeggiato il quarantennale del secondo scudetto (in quella Roma lì giocava un certo Roberto Pruzzo, che di Batistuta non possedeva la bellezza, ma il resto ce lo aveva tutto). “La vena realizzata al contrario di Abraham e di Belotti è stata il grande tema della stagione giallorossa”, dice Andrea Romano, giornalista per Metro Stadio, Il Foglio e Il Fatto quotidiano.
“Eppure a volte la squadra sembrava quasi fare di tutto per metterli in difficoltà. Spesso la Roma ha utilizzato i suoi centravanti come centrocampisti con il compito di pressare, in maniera più individuale che collettiva, i portatori di palla avversari. In pratica i due attaccanti non hanno quasi mai riempito l’area di rigore, più che a finalizzare hanno dovuto pensare a costruire, pur non avendo affatto le doti del regista offensivo”.
Il pensiero va a Budapest, ovviamente, ma anche ai tanti punti persi durante questa stagione su campi ‘minori’ contro squadre di seconda e terza fascia. Punti persi fondamentalmente per l’assenza sotto porta di uno che la buttava dentro. “Belotti ha dimostrato di saper proteggere bene il pallone, prendendo falli importanti, innescando qualche contropiede, attaccando la profondità, ma gli zero gol in campionato pesano enormemente sul bilancio di una punta – aggiunge Romano - Abraham, invece, è stato a tratti impalpabile. L’inglese si è trovato a fare un lavoro diverso rispetto allo scorso anno. Ha avuto meno palloni negli ultimi metri e ha dimostrato di non essere a proprio agio quando deve difendere il pallone per associarsi con i compagni. In più quando viene lanciato in verticale l’inglese non sempre riesce a diventare pericoloso”.
Davvero non è Batistuta “che andava dritto davanti a sé come un tir facendo saltare via i difensori. Abraham deve migliorare nel modo di attaccare la profondità e nella gestione del pallone”. O chissà, forse a questo punto andare via da Roma e lasciare il posto a un centravanti puro, uno che tira in porta appena può e pace se non è un bravo ragazzo amabile come Tammy. Uno come il cattivo Gabriel Omar.
Leggenda vera, Batistuta, che in Italia ha vestito anche le maglie di Fiorentina e Inter, due squadre oggi attese da altre due finali europee a cui uno come lui farebbe lo stesso molto comodo. Un cecchino implacabile negli ultimi 10 metri, capace di conquistare il cuore dei tifosi a suon di gol pur non risultando mai simpaticissimo: in carriera ne ha segnati 355 in 632 partite, con una media di 0,56 reti a match.
A Roma fu comprato dal presidente Franco Sensi per vincere lo scudetto, cosa che puntualmente avvenne anche grazie alle sue reti nel 2001. “Ma quella Roma era più che mai la Roma di Totti – dice Romano – e se vuoi di Vincenzo Montella. Batistuta fu decisivo ma nella classifica dell’amore dei tifosi non andò mai in testa”. Tifosi che oggi, forse, guardando i ruolini di marcia degli attaccanti attuali, un po’ di nostalgia dovrebbero provarla.
“Gabriel è stato un attaccante quasi preistorico capace di attraversare un calcio in mutazione fino a diventarne dominatore – scrive Romano nelle pagine finali del suo libro - Forse Batistuta è stato l'ultimo grande centravanti della storia. O forse è stato l'ultimo grande giocatore a interpretare un ruolo nella sua forma arcaica. Fatto sta che dopo di lui l'idea di punta centrale è cambiata per sempre, il nove prima è diventato ‘falso’, poi si è trasformato in un calciatore chiamato a connettersi con il resto della squadra. E probabilmente è proprio per questo che negli ultimi anni Gabriel è diventato un centravanti ancora più iconico. Perché nessuno è riuscito a incarnare l'idea della brutalità come Batistuta. D'altra parte lui era l'uomo con il nove sulle spalle che usava le gambe come due clave per abbattere le porte avversarie. E questa è stata la sua fortuna, ma alla fine è stata anche la sua rovina”.