AGI - “Tortu a me piace molto perché pratica l’atletica con passione e con semplicità come del resto l’ho fatta io. A Filippo ho detto che deve migliorare in curva, io la curva l’amavo e lui deve amarla ancora di più”. Così in un’intervista con l’AGI, Livio Berruti, primo campione olimpico non nordamericano dei 200 metri, parlando di Filippo Tortu che dal giugno 2018 è primatista italiano dei 100 metri con 9”99.
Berruti, 81 anni compiuti il 19 maggio scorso, è stato uno dei protagonisti dell’Olimpiade di Roma ’60. Un anno importante, il 1960, caratterizzato dalle proclamazioni di indipendenza di tanti Stati africani ma anche da ‘La dolce vita’ di Federico Fellini che ha vinto la Palma d'Oro al Festival internazionale del film di Cannes. Sono trascorsi sei decenni da quell’edizione dei Giochi resa celebre dai pugni di Cassius Clay (il futuro mito Muhammad Ali) e Nino Benvenuti, ma anche da quel sergente etiope di nome Abebe Bikila che vinse la maratona correndo scalzo.
Campione rubacuori, la storia con la Gazzella nera
Fu l’Olimpiade di quel ‘Livio rubacuori’ attratto dalla bellezza di Wilma Rudolph, la velocista che sconfisse la poliomielite e correva con delle speciali protesi. È proprio da quella fantastica ‘gazzella nera’, trionfatrice all’Olimpico dei 100, 200 e staffetta 4x100, che Berruti inizia l’intervista. Una delle cartoline di Roma ‘60 fu proprio il ritratto di Livio e Wilma mano nella mano nella zona del Foro Italico.
“Il suo sorriso mi aveva ammaliato, il suo sguardo era pieno di gioia, tra noi ci fu subito sintonia – racconta Berruti che il 3 settembre di 60 anni fa vinse l’oro olimpico stabilendo il record del mondo con 20”5 –. Gli allenatori americani non permettevano incontri privati. Non ci capivamo, ognuno parlava la propria lingua, ma ci guardavamo, ci sorridevamo. Come sempre lo sport ha superato tutte le barriere prima della politica. Pensavo di passare dalla fase platonica a quella aristotelica. Avevo studiato come invitare Wilma a cena, a Trastevere ma dopo la sua vittoria in staffetta non l’ho più trovata. Solo dopo ho saputo che il comitato olimpico americano non pagava il soggiorno ad atleti che avevano già concluso le gare” Parlando ancora della Rudolph, scomparsa nel 1994 a soli 54 anni a seguito di una malattia al cervello, Berruti rivela che, “l’unico ricordo che mi rimane di lei è la tuta che mi regalò e che tutt’ora conservo e della quale se ne occupa mia moglie Silvia”.
"Il momento più bello ai mondiali militari 1961
Secondo lo sprinter torinese, tra gli alfieri della bandiera olimpica alla cerimonia d’apertura dei Giochi invernali di Torino 2006, il più bel momento della carriera è stato nel 1961 ai Mondiali militari. “Ero a Bruxelles, allo stadio Heysel, quello tristemente noto per la strage dei tifosi della Juventus del 1985, quando appena vinto la gara un signore anziano si avvicinò piangente, mi prese le mani e le baciò – racconta Berruti soprannominato il ‘poliziotto più veloce del mondo’ –. Era un immigrato italiano che voleva trovare la forza per superare le angherie che subiva durante il lavoro. L’altro momento per me indimenticabile quando Armstrong sbarcò sulla Luna”.
In viaggio col partigiano in fuga...
Livio Berruti si è trovato al centro di due curiosi episodi extrasportivi. “Mi avevano inviato per una gara a Mosca ma negli anni ’60 per raggiungere l’allora capitale dell’Unione Sovietica bisognava fare scalo a Praga. Sul volo da Milano vicino a me era seduto un signore molto gentile: era Francesco Moranino, partigiano comunista che stava fuggendo dall’Italia perché condannato per aver favorito l’uccisione di partigiani non comunisti", racconta ancora Berruti all'AGI.
... e l'incontro con la fidanzata russa
"In un secondo viaggio a Mosca incontrai la mia fidanzata russa - continua l'ex velocita -. Tutto accadde ad una festa quando mi si avvicinò una ragazza bionda, era bellissima. Ad un certo punto saliamo sul taxi per rientrare in albergo ma il tassista non partì. Non capivamo perché. A quei tempi c’era il divieto per i sovietici di familiarizzare con gli occidentali. Avevo paura di un intervento della polizia. Siamo rientrati in albergo assieme agli altri atleti e così tutti vennero a sapere".