G uardandolo bene, ma proprio bene, in pochi crederebbero che si stia parlando di un pugile professionista. Tantomeno che quello lì, proprio quello lì, possa essere in grado di impensierire un fenomeno del ring come Anthony Joshua, fino a pochi giorni fa campione del mondo dei pesi massimi.
Sovrappeso ed extralarge, floscio e flaccido, sgraziato e inelegante, tarchiato e ciccione. Nelle ultime ore, per raccontare la storia incredibile di Andy Ruiz Jr, gli aggettivi sono stati più o meno questi. Eppure, nonostante i fianchi larghi e il faccione rotondo, l'impresa che il boxeur messicano ha compiuto è qualcosa che ha pochi eguali nella storia dello sport.
Un miracolo del genere, perché di questo si tratta, può accadere solo se una serie di fortunati eventi si allineano, uno dopo l'altro, sconfiggendo ogni forma di razionale probabilità. Anthony Joshua, da tre anni dominatore dei pesi massimi, si è trovato ad affrontare Ruiz solo per caso, dopo diversi ritiri, squalifiche o rinunce. Prima quello di Jarrel Miller, fermato dai controlli antidoping, e poi quello del cubano Luis Ortiz, pugile mancino dal grande talento.
Del resto, non è così semplice affrontare uno che nella sua carriera non ha mai perso un match. Ventidue incontri, altrettante vittorie. Ma se nei pantaloncini hai scritto "destroyer", come Ruiz, niente ti può far paura
Il pugile sgraziato, insomma, è l'ultima scelta. Joshua ha bisogno di fare quel match. È il suo esordio negli Stati Uniti e a breve dovrà affrontare Deontay Wilder che detiene uno dei titoli che ancora sfuggono al suo ricco palmares. Ruiz accetta la sfida, anche con un compenso nettamente più basso rispetto a quello offerto ai suoi colleghi. In palio, in fondo, l'incontro è valido per i titoli IBF, IBO, WBA e WBO e lo scenario è quello spettacolare del Madison Square Garden di New York.
In conferenza stampa addirittura lo sfottono, mettono in dubbio il fatto che possa realmente salire sul ring. Ma l'atleta messicano rimane sordo ai commenti che gli piovono addosso e promette che combatterà senza timori reverenziali. E senza fare un passo indietro di fronte al più quotato rivale. E così sarà. Fino a diventare il primo pugile messicano a vincere un titolo così prestigioso.
Il problema di Ruiz è il cibo. Non segue, difficile non crederci, una dieta specifica ma continua a mangiare, come faceva da bambino, quello che vuole. Soprattutto si rifocilla spesso e volentieri al fast food. È figlio di immigrati che hanno cercato fortuna in California e nessuno in famiglia ha il tempo di occuparsi del rapporto che quel bambino ha con il cibo. E anche da atleta le cose non sono cambiate.
Tutta la vicenda sembra ricalcata su una puntata dei Simpson in cui il protagonista, Homer, diventa pugile professionista quasi per caso, per volere del barista Boe che sfrutta la sua innata capacità di resistere ai pugni. Tutto nonostante la stazza e la palese mancanza di agilità del protagonista della serie animata. L'epilogo, però, è diverso. In quel caso il campione del mondo rimarrà tale con la rinuncia da parte dell'outsider o, come lo chiamano in America, dell'underdog di turno. Lo sfavorito, insomma. Quello senza chance, almeno in apparenza.
Ma come ha fatto Joshua a perdere? Secondo l'allenatore di Ruiz, Manny Robles, si è trattato solo di strategia, applicata alla perfezione dal suo protetto: "Il nostro piano era ottimo. Stare sempre bassi, non accettare il combattimento aperto, quello che avrebbe Andy messo davanti ai grandi pugni". Lavorare il corpo perfetto e statuario del nemico, resistere a oltranza e sfruttare ogni spiraglio lasciato dal campione. E ovviamente approfittare dello status di "sottovalutato" a lui affibbiato dall'entourage dell'avversario, dagli addetti ai lavori, da tutto il mondo.
Joshua, come prevedono le regole, ha chiesto l'immediato re-match. La rivincita, stavolta in Inghilterra, si terrà alla fine dell'anno. Il match con Deontay Wilder, presentato come uno degli eventi epocali dello sport contemporaneo, dovrà aspettare. A meno che non arrivi una seconda, e ancora più improbabile, sorpresa. Ma stavolta chi ci crederà?