L a Nike fa la storia anche nei diritti delle donne. Certo, la multinazionale dell’abbigliamento sportivo ha avuto bisogno di un bell’aiutino, cioè delle denunce di Alysia Montano, Kara Goucher, Phoebe Wright e, soprattutto, di Allyson Felix. Ma ha finalmente ufficializzato l’addio a una politica molto punitiva per le atlete: d’ora in poi non taglierà più i contratti di sponsorizzazione delle donne “che decidono di avere un bambino”, marchiate dal baffo più famoso.
Come dichiara Sandra Carreon-John, a nome della società di Beaverton, Oregon: “Abbiamo riconosciuto che Nike Inc può fare di più, c’è una importante opportunità per l’intera industria dello sport di evolversi per supportare meglio le atlete”.
La Montano, che era salita clamorosamente alla ribalta correndo gli 800 metri nel 2014 ai campionati Usa di atletica leggera, malgrado fosse all’ottavo mese di gravidanza, era stata la prima a contestare la strategia di marketing Nike. A partire dal video promozionale, Dream Crazier, che esaltava l’esempio di Serena Williams, mamma nel settembre 2017, ma tuttora afflitta da gravi problemi fisici per accelerare i tempi di recupero: “È pazzesco voler essere nello stesso tempo atleta e madre. Un figlio giustifica il sacrifico di qualsiasi cosa, anche di un contratto pubblicitario”.
Poi, la sei volte oro olimpico, Allyson Felix, uno dei volti più noti Nike, che, a novembre, ha dato alla luce la sua prima bambina, Camryn, ha aumentato enormemente la cassa di risonanza della protesta. Rivelando l’estrema pressione che aveva avvertito per rientrare alle gare prima possibile, malgrado avesse dovuto sostenere un drammatico parto cesareo. La compagnia voleva pagarle il 70% di meno dopo la gravidanza: “Se io, una degli atleti più commercializzati, non ho queste protezioni, chi potrebbe riceverle?”.
Ora, davanti al fuoco di fila dei media, che era cominciato già un anno fa ad opera del New York Times, la vice-presidente Nike, Amy Montagne, si è della “rattristata da questa storia”, sulle colonne di Bloomberg, nell’apprendere della dura esperienza dell’atleta con la più famosa azienda mondiale di abbigliamento sportivo. Sostenendo che già dall’anno scorso la compagnia aveva avvertito che gli obblighi di prestazione avevano avuto un effetto sproporzionato sulle atlete che sono rimaste incinte e che la Nike aveva iniziato a creare una politica ufficiale sulla maternità. Anche se non aveva informato dell’iniziativa i suoi atleti sponsorizzati. E ha definito questa storia “umiliante”
Nell’intervista alla Felix, il New York Times riportava alcune frasi molto dure della campionessa: “Ho deciso di farmi una famiglia, pur sapendo che sarebbe stato come il bacio della morte della mia carriera sportiva. La gravidanza ha rappresentato un periodo terrificante per me perché stavo rinegoziando il mio contratto Nike che era scaduto a dicembre 2017”.
A 33 anni, si era sentita enormemente sotto pressione per dover tornare all’attività prima possibile malgrado, dopo 32 settimane di gravidanza, avesse rischiato di perdere la bambina che aveva in grembo, per una grave pre-eclampsia. Aveva accettato la decurtazione di sponsorizzazione: “Se è quello che pensano che valga ora, lo accetto". Chiedendo però, invano, alla compagnia di non punirla se non si fosse esibita ad alto livello dopo il parto. Da allora, le trattative di rinnovo sono rimaste congelate. "La gravidanza non è una rovina, per le donne può e dovrebbe essere una fase importante di una fiorente carriera atletica professionale, come hanno dimostrato molti altri casi e spero di poterlo mostrare", era stato lo slogan della olimpionica.
Che ora, finalmente, vede riconosciuti i suoi sforzi. Da pioniera di una battaglia che resterà nella storia nella lunga guerra per i diritti delle donne.