S olo pochi campioni sanno andare oltre i record, che pure nel suo caso sono tanti, da unico nella storia del Motomondiale ad aggiudicarsi il titolo iridato in quattro classi differenti, 125, 250, 500 e MotoGP. A
ncor meno sono quelli che vincono, anche se non vincono più tanto, concretamente, come prima, perché sono ormai intimamente radicati nel loro sport e nell’immaginario popolare da marchiare qualsiasi gara con un semplice gesto, una parola, un ricordo, ancor più di chi la conquista davvero. Questo è Valentino Rossi, uno dei campioni più forti e carismatici che non appartengono a proprio Paese, ma sono presto i campioni di tutti, per sempre.
Grazie a una parola magica, naturale, riconoscibile proprio perché unica: la fantasia. Al di là delle innate qualità di pilota che sa interpretare il mezzo, metterlo a punto, adattarsi ai tempi e quindi al modo di correre, all’evoluzione delle moto, delle gomme e degli avversari, al progresso che lo vuole sempre più atleta, lui 40enne (è nato il 16 febbraio del 1979) contro ragazzi che hanno la metà dei suoi anni.
Ecco, la fantasia, la capacità di trovare soluzioni insolite ed imprevedibili, di aprire nuove strade, è stata la parola che ha marchiato il pilota di Tavullia, rendendolo unico ed immortale. Più ancora di piloti forse anche più forti, come Mike Haywood e Kenny Roberts.
Simpatico e insieme spietato, intelligente e furbo, Valentino ha preso tanto da papà Graziano, anche lui pilota di moto, che l’ha subito fatto vivere in simbiosi coi motori. Ed è rimasto ancorato alla piccola realtà in provincia di Pesaro e Urbino, ricreando con l’Academy l’evoluzione della Cava, cioè la palestra dei primi passi in moto, ormai troppo rischiosa per le sue evoluzioni. Abbeverandosi della linfa vitale della gioventù degli allievi, da Bagnaia a Morbidelli, rimanendo così sempre pronto per afferrare, all’ocsasione, quel decimo titolo mondiale. Che, da motivazione si è trasformata in ansia e, oggi, molto probabilmente, è diventata un’ossessione.
Soprattutto per chi ha la fissazione dei numeri: a cominciare dal 46 che ha sempre portato in gara - come il padre e come un pilota giapponese di cui era appassionato - anche quando era il numero 1 del mondo. Con quello ha siglato la sua iniziativa manageriale, la scuderia Sky Racing Team VR46, pensando per tempo al dopo corse. Il numero che forse lo accompagnerà in sella a una moto fino ai fatidici 46 anni. Chissà.
Di sicuro, anche nel business è affiancato dagli amici/angeli custodi di sempre, “Uccio”, Alessio Salucci, il factotum, il pesce pilota, onnipresente tuttofare, simile a quello di tutti i campioni di tutti gli sport, ed Albi, Alberto Tebaldi, responsabile del ranch. Dove “Vale” passa la maggior parte del tempo, sottraendolo anche alle sempre bellissime fidanzate. Che lo amano meno dei seguaci del famoso Fan Club, guidato da Rino (Salucci, il papà di Uccio) con un’impronta imprenditoriale. Visto che, con l’ok della Dorna, organizza le tribune nei circuiti di tutto il mondo. Di sicuro, da manager, incrocerà ancora una volta la strada del rivale più classico della carriera, Max Biaggi, oggi anche lui titolare di scuderia di Moto2 e Moto3.
Anche se l’avversario più forte, in questo Motomondiale sempre più difficile e competitivo, rimane Marquez, l’erede, il numero 1 designato, che gli ha tenuto testa anche come personalità e col quale si è scornato più volte. Con sorpassi azzardati e piccole-grandi scorrettezze che proprio non confermano l’idea che, negli anni, sia davvero cresciuto. Abbandonando le ragazzate e gli eccessi. Perché, in effetti, pur con l’oculatezza negli affari, Valentino è rimasto Peter Pan. Con il quasi proverbiale eloquio davanti ai microfoni, la prontezza di riflessi con gli avversari, in pista come fuori, e il tocco magico del fuoriclasse di rendere possibili le imprese impossibili. E quel sorrisetto sornione che scioglie qualsiasi rimbrotto. Ma davvero compie 40 anni?