AGI - "Ma era davvero così scarso?". C'è una domanda che feci a mio padre, nel 2006, dopo aver visto Empoli-Inter e un clamoroso autogol di Materazzi. Ricordo quel momento come fosse successo ieri perché lui sorrise, come accade sempre a tutti i tifosi del Cagliari quando si parla di Comunardo Niccolai, l'oggetto di quella domanda. Niccolai, scomparso oggi a 77 anni, è una leggenda per tutti i tifosi del Cagliari, ma soprattutto per quella generazione che esultò per lo scudetto del 1970, per i gol di Gigi Riva, e che visse i fasti dello stadio Amsicora.
Quel nome, così strano, così particolare, veniva fuori ogni qualvolta ci trovavamo di fronte a un autogol. E sempre con lo stesso commento: "Bello, ma quelli di Niccolai erano indimenticabili. Erano autogol artistici". Così un giorno feci quella domanda: "Ma Niccolai era davvero così scarso?". Quella domanda era un sacrilegio. Niccolai era uno stopper ruvido, roccioso, che faceva sentire il fisico all'avversario. Uno di quelli a cui non sarebbe piaciuto giocare ai tempi della Var. Uno di quei difensori che gli attaccanti temono di più perché sanno che sentiranno il loro fiato nel collo per tutti i 90 minuti.
Niccolai aveva però questo piccolo problema: gli autogol. Non tantissimi, per carità, in Serie A appena 6 come scoprii quasi subito. Gli stessi di Ciro Ferrara e due in meno di Baresi e Ferri, per capirci. Ma a sentire chi le sue partite le ha viste, le ha vissute, questi paragoni non sono fattibili. E come se Niccolai giocasse in un altro campionato. Se gli autogol fossero giudicati dal punto di vista estetico, come accade per i tuffi alle Olimpiadi, non ci sarebbe stata partita. Niccolai avrebbe preso tutti 10 perché sapeva farli meglio degli altri. Con uno stile, e un talento, unici.
Come un attore ben calato nella parte, Niccolai aveva il senso del palcoscenico. Il suo colpo di testa sul cross di Furino in Juventus-Cagliari del 1970, ad esempio, è diventato leggenda. Quella partita terminò 2-2 ma tutti hanno aneddoti su quel momento in cui il difensore anticipò Albertosi portando in vantaggio la Juve. Compreso lo stesso Niccolai che ha raccontato spesso delle occhiatacce che gli riservò Albertosi per tutto il resto del match, "le sue parole esatte furono irripetibili", ma anche delle stoccate, avvolte nel fumo, che gli riservava mister Scopigno, in fondo il suo più grande fan. Perché alla fine a quel difensore tutto cuore perdonavi tutto. Anche un autogol contro i rivali più grandi di quella stagione, in un match fondamentale per la classifica, in pieno marzo, mentre ti stai giocando il primo titolo della storia del club.
C'è poi quella vicenda accaduta contro il Catanzaro nella 300esima partita arbitrata da Concetto Lo Bello, il fischietto più noto del tempo, in uno stadio pieno di giornalisti. È il 90esimo, il Cagliari conduce 2-1. C'è un fallo in area abbastanza evidente ma Lo Bello non fischia. Niccolai invece crede che la sanzione sia arrivata, forse sente un fischio dagli spalti, e calcia con stizza il pallone verso la propria porta. Un suo compagno, Brugnera, para il tiro con la mano. È rigore, 2-2. Chapeau.
Sono due storie che tutti sanno ma che nascondono quel che non si vede. Niccolai era molto più dei suoi autogol. Era un uomo squadra, una guida e un punto di riferimento nonostante fosse arrivato in Sardegna molto presto. Prima alla Torres, nel nord, e poi a Cagliari, nel sud. L'isola tutta. Vestì anche la maglia azzurra, ai mondiali del 1970 (tre presenze, zero gol e, sì, zero autogol). Nella seconda fase della sua vita si è occupato delle giovanili tricolori, sia come allenatore che come osservatore. E un anno, cosa non molto nota, ha guidato anche la nazionale femminile. Insomma, oggi mi faccio la stessa domanda di quasi 20 anni fa. "Niccolai era davvero così scarso?".. No, Niccolai era fortissimo, anche nel fare la cosa che i giocatori temono di più quando stanno in campo. Buttare la palla alle spalle del proprio portiere.