AGI - "Per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi 3.000 anni, dovremmo scusarci per i prossimi 3.000 prima di iniziare a dare lezioni morali alle persone". Alla vigilia di Qatar-Ecuador, partita inaugurale dei Mondiali di calcio, il presidente della Fifa Gianni Infantino ha difeso in una conferenza stampa la scelta di affidare l'organizzazione al Paese asiatico, accusato da più parti di scarso rispetto dei diritti umani. E al tempo stesso ha espresso sostegno alla comunità Lgbtq e ai lavoratori stranieri: "Oggi mi sento del Qatar, oggi mi sento arabo, oggi mi sento africano, oggi mi sento gay, oggi mi sento disabile, oggi mi sento un lavoratore migrante".
"Questa lezione morale, sempre nella stessa direzione", da parte del mondo occidentale, "è solo ipocrisia", ha attaccato Infantino: nato in Svizzera, da genitori arrivati dall'Italia, ha assicurato di "sapere bene che cosa significa essere discriminati", lui 'bullizzato' da bambino perché "rosso", "riccio", "con le lentiggini" e poca padronanza del tedesco.
Per il capo della Fifa, "progressi" negli ultimi anni per i lavoratori in Qatar ci sono stati: salario minimo mensile, superamento del sistema di sponsorizzazione che legava i dipendenti, indennità per stipendi non pagati e infortuni.
"Tra le aziende occidentali qui presenti, quante si sono preoccupate dei diritti dei lavoratori migranti? Nessuna". Mentre il Qatar si è almeno preoccupato di creare "canali legali" per consentire ai lavoratori di altri Paesi di venire a guadagnarsi da vivere".
"Il processo di riforme iniziato solo cinque anni fa si è fermato - ha obiettato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia in un podcast AGI - Qualche risultato c'è stato, come l'abolizione del sistema del 'kafala' (che vincolava il lavoratore ad uno sponsor locale, ndr) o l'istituzione di comitati per la risoluzione delle controversie e di fondi per risarcire i salari non versati ma ne hanno beneficiato pochi lavoratori e soprattutto non c'è mai stata una ammissione di responsabilità attraverso certificati di morte chiari, con risarcimenti per le migliaia di lavoratori morti. Oggi che gli stadi sono finiti resta un problema aperto non solo per i lavoratori impegnati durante i Mondiali ma soprattutto per il futuro perché poi in quegli stadi e in quel Paese si svolgeranno nel 2023 i Giochi asiatici di calcio".
"Questi Mondiali, come già altri disputati altrove ma forse di più - ha ricordato Marco De Ponte, segretario generale di Actionaid Italia - mettono sotto i riflettori i comportamenti di uno Stato e di un'organizzazione, come acclarato, tutt'altro che specchiata: ma nessuno si sarebbe occupato di diritti umani se non ci fossero stati i Mondiali e questo se vogliamo e' un aspetto positivo. La pressione mediatica non ha fatto chiudere o spostare l'evento ma è stata utile a sollevare la questione del rapporto che esiste tra capitale e lavoro, a parlare di tutela, di sicurezza, di salari, di problemi che riguardano la vita di tutti i giorni e di tutti i lavoratori, non solo di quelli di un grande evento sportivo o di un concerto".