AGI - "Ascolta il vecchietto, figlio mio, che è ancora forte e farà vincere la sua squadra". Edson Arantes do Nascimento, noto a tutti come Pelè, ha festeggiato il suo ottantesimo compleanno incidendo una canzone per ricordare a tutti di essere ancora il migliore. Il brano si chiama 'Acredite no veio' ed è stato realizzato in collaborazione con il duo messicano Rodrigo e Gabriela. Per la Fifa, Pelè è il calciatore del secolo, per il Cio l'atleta del secolo, per i brasiliani è un'icona amata moltissimo nonostante il suo carattere schivo, diplomatico, e per la sua volontà di non far parlare continuamente di sè. "Il calcio e la politica non si devono mischiare", soleva ripetere a chi gli chiedeva commenti su ciò che avveniva nel suo Paese.
A vent'anni il Brasile lo dichiarò tesoro nazionale e, di fatto, ne impedì la partenza per altri lidi e per altri campi. In Europa avrebbero fatto carte false per lui ma il trasferimento più vicino, quello all'Inter di Angelo Moratti, sfumò per un ripensamento del presidente paulista.
Ma Pelè è anche uno che ha scelto di non eleggere un erede, nonostante la selecao abbia usufruito dei servigi calcistici di fenomeni come Zico, Romario, Ronaldo e, ora, Neymar. Una volta disse di preferire Cristiano Ronaldo a Messi e ne uscì un polverone. Un'altra volta, nel 2014, riferendosi ai suoi connazionali di oggi, disse: "magari ci fosse qualcuno che è in grado di giocare più o meno come me. Ma non c'è nessuno come me, perchè mia madre e mio padre hanno gettato lo stampo". L'asso del Psg, a dirla tutta, potrebbe a breve regalargli una grossa delusione visto che è ormai a 13 gol dal suo record di marcature con la maglia verdeoro.
Sì, perchè i record raccontano benissimo la carriera di Pelè. Nel 1958, l'anno dei mondiali in Svezia, divenne il più giovane calciatore ad aver giocato una partita della fase finale della Coppa del Mondo, il più giovane marcatore nella storia della competizione e, ovviamente, il più giovane ad alzarla. Aveva appena 17 anni e 249 giorni. Una tripletta di numeri che lo elevò a 'Dio' del calcio come scrissero, per davvero, alcune testate che seguivano la manifestazione. Ma il soprannome che più gli è rimasto addosso è quello di 'O Rey', il Re. Impossibile del resto non incoronare uno capace di segnare 1281 reti in carriera (761 gol in 821 partite ufficiali). Un altro record. "Con i mezzi di oggi ne avrei segnati 2000", confidò in un'altra intervista. Difficile non credergli.
Gli inizi non furono facili. Nato a Tres Coracoes il 23 ottobre 1940, Pelè è figlio d'arte. Il papà Dondinho è un giocatore non di grande livello e assai fragile. Il ginocchio lo tradisce e la famiglia naviga presto in cattive acque. Dondinho trasferisce così la famiglia a Bauru quando Pelè ha appena cinque anni. Il mondo è squassato dalle vicende legate alla guerra ma, in Brasile, quelle notizie sono solo l'eco di un qualcosa di terribile che però resta lontano.
Ma al piccolo Pelè, allora chiamato 'Dico', basta un mango per iniziare a palleggiare e sentirsi felice. Negli anni successivi cresce nella squadra dilettantistica della città, quella in cui viene scoperto, a quindici anni, da Waldemar de Brito, che orbita nella nazionale brasiliana. Il provino con il Santos è un successo. E il resto è storia. Il 7 settembre del 1956 la 'Perla Nera', altro soprannome, debutta con la prima squadra in un'amichevole contro il Corinthias. Pelè segna il primo di una serie infinita di gol.
A soli sedici anni si laurea capocannoniere del Campionato Paulista e viene convocato in Nazionale. Prima del suo diciassettesimo compleanno va a segno contro l'Argentina, rivale storica della Selecao. È un predestinato. Con la maglia del suo Paese gioca 92 partite, totalizzando 67 vittorie, 14 pareggi e solo 11 sconfitte.
Si ritira una prima volta nel 1974 quando la sua bacheca personale ormai scoppia: in Brasile ha vinto dieci titoli paulisti, cinque Taca Brasil, tre Tornei Rio-San Paolo, una Taca de Prata, due Coppe Libertadores, due Coppe Intercontinentali e una Supercoppa dei Campioni Intercontinentali. L'anno dopo torna in campo negli Stati Uniti: i New York Cosmos lo coprono d'oro per diventare ambasciatore dentro e fuori dal campo. È il primo passo che gli americani compiono per portare alla ribalta il calcio nel loro Paese. Insieme a Pelè ci sono altri campioni come Beckenbauer e Chinaglia.
Il primo ottobre del 1977, però, il ritiro diventa definitivo. Pelè decide di lasciare, almeno per un lungo periodo, il mondo del calcio rifiutando di intraprendere carriere diverse: niente panchine e niente scrivanie. Diventa ambassador dell'Onu e dell'Unesco e nel 1995 viene chiamato a ricoprire la carica di ministro straordinario per lo Sport in Brasile. Proporrà una legge contro la corruzione nel mondo del pallone chiamata 'legge Pelè'.
Ma soprattutto si dedica all'arte, componendo canzoni e apparendo in film e sceneggiati. Negli ultimi anni ha lottato con diversi problemi fisici e da quando è scoppiata la pandemia da coronavirus è rimasto, per sicurezza, all'interno della sua villa di Guaruja, non lontano dal mare: "Ringrazio Dio per avermi permesso di arrivare a questo traguardo lucido e, tutto sommato, in salute. E ringrazio tutti quelli che si ricordano di me in questa data".
Il soprannome che è rimasto scolpito nella storia, è in realtà avvolto nel mistero. Si dice che Pelè sarebbe un nome pronunciato male. Mai è stato del tutto svelato, dato che il goleador non ha mai nascosto di non digerirlo troppo. Sì, perché tra tutti i soprannomi che gli sono stati affibbiati, Pelè preferisce ricordare quanto sia importante il suo vero nome, Edson, scelto dai suoi genitori in onore di Thomas Alva Edison, quasi profetizzando la luce che il campione brasiliano avrebbe portato nei campi di gioco di tutto il mondo.