S confitta in tribunale per la nazionale femminile di calcio degli Stati Uniti: la richiesta delle campionesse del mondo di parita' salariale coni i colleghi maschi del 'soccer' è stata respinta dal giudice Gary Klausner del Tribunale distrettuale per la California centrale a Los Angeles.
Nella sentenza di 32 pagine viene respinto il ricorso per l'allineamento delle retribuzioni mentre viene rimandata a un giudizio successivo la decisione sulla parte riguardante alloggi, viaggi e altri bonus. La portavoce Molly Levinson ha anticipato che Carli Lloyd e le 27 compagne faranno ricorso.
Le giocatrici della nazionale statunitense di calcio avevano chiesto un risarcimento di oltre 66 milioni di dollari alla federcalcio (U.S. Soccer Federation) nell'ambito della loro causa per discriminazione di genere. Tra i documenti presentati, anche gli accordi collettivi della nazionale maschile e della nazionale femminile, da cui emerge non solo la disparità di trattamento per i bonus, ma anche la differente struttura dei pagamenti riservati ad atleti e atlete.
La causa era stata presentata proprio il giorno della Festa della Donna del 2019, le cinque giocatrici più forti della nazionale campione del mondo che fra tre mesi difendono il titolo, avevano fatto causa a nome delle 28 compagne di squadra alla Federcalcio degli Stati Uniti per “istituzionalizzata discriminazione sessuale”. A guidare la rivolta le superstar Hope Solo, Megan Rapinoe, Carli Lloyd, Becky Sauerbrunn e Alex Morgan, che contestano la stridente differenza di trattamento economico dei colleghi uomini, molto meno vincenti, eppure retribuiti il 40 per cento in più.
Il premio individuale per le giocatrici della nazionale è 99 mila dollari se vincono almeno 20 amichevoli (niente bonus se superano questa soglia), con una retribuzione quindi di 5.000 dollari a partita vinta, mentre per gli uomini la cifra sale a 263 mila dollari – più di 13 mila per ogni successo - con in più un garantito di 100 mila a testa e un extra di 5-17 mila dollari dalla ventunesima partita disputata in poi.
La questione va avanti da anni. Dopo che invano le ragazze si erano rivolte tre anni fa alla Equal Employment Opportunity Commission. “Siamo le migliori, abbiamo vinto tanto, ma la nazionale maschile viene pagata molto di più”, dichiarava già prima dell’Olimpade di Rio 2016 il portiere, Hope Solo. Portando alla luce l’eclatante disparità di retribuzione per spiegare la pubblica denuncia con un comunicato: “Siamo state noi il motore di questo sport che è finalmente decollato negli Stati Uniti”.
Impossibile dar loro torto. Mia Hamm è ancora per molti il simbolo del soccer Usa, uomini compresi. I 90.185 spettatori della finale dei Mondiali del 1999 contro la Cina rappresentano tuttora il record per questo sport in America. Così come i 25 milioni di telespettatori per la trionfale finale dei Mondiali 2015. Ed è proprio da quell’anno, esattamente dal 4 febbraio, che oggi le pioniere del calcio negli Stati Uniti chiedono giustizia nella causa arcimilionaria che hanno intentato alla corte distrettuale di Los Angeles contro la USSF (United States Soccer Federation).
Con tanto di risarcimento danni per tutte le giocatrici che hanno vestito la maglia della nazionale e il chiaro obiettivo di sfruttare la sentenza per dividere la torta anche delle sponsorizzazioni e dei diritti televisivi. In considerazione del +20 milioni di dollari nei ricavi dell’ultimo anno della Federcalcio Usa.
Tutto mandato in fumo dalla sentenza del giudice di Los Angeles.