N el ranking Fifa, la classifica mondiale di tutte le nazionali di calcio del mondo, occupano il 113esimo e il 118esimo posto. Sono Bahrein e Thailandia e il prossimo 10 gennaio, alle 12 ora italiana, si affronteranno nella seconda partita del girone A della Coppa d’Asia 2019 in corso negli Emirati Arabi Uniti. In pochi, almeno da questo lato del mondo, si appassioneranno alla sfida tra queste due squadre: ma fuori dal rettangolo di gioco proprio Bahrein e Thailandia sono uniti dal destino di un calciatore: si chiama Hakeem al-Araibi, è bahreinita, e da più di 40 giorni è rinchiuso in un carcere in Thailandia per un crimine che non ha commesso.
L’ex stella bahreinita ora è incarcerato in Thailandia
Nel 2012, con la maglietta rossa della nazionale del Bahrein, vinceva la medaglia d’argento al torneo tra le squadre under-23 del Consiglio di cooperazione del Golfo. Numero 2, terzino destro.
Vita e carriera, pochi mesi più tardi, sarebbero però state stravolte: a novembre al-Araibi viene arrestato per la prima volta. Tre mesi di carcere durante i quali viene torturato: “Mi hanno bendato e colpito con forza sulle gambe dicendomi che non avrei mai più giocato a calcio perché avrebbero distrutto il mio futuro”. L’accusa con la quale finisce dietro le sbarre è quella di aver preso parte ad alcune rivolte violente nell’ambito della cosiddetta primavera araba dell’anno precedente: episodi che in Bahrein erano sfociati soprattutto nella protesta della popolazione (a maggioranza sciita) contro la famiglia sunnita al governo della monarchia.
Due anni più tardi, nel 2014, la sentenza: ad al-Araibi, accusato di aver incendiato una stazione di polizia della capitale Manama, vengono inflitti dieci anni di carcere. Accuse rigettate dall’atleta che si difende sostenendo che, al momento incriminato, lui si trovava in Qatar su un campo di calcio per giocare una partita (questa, per la precisione).
La nuova vita da calciatore in Australia
Per scampare al secondo arresto, al-Araibi si rifugia in Australia dove nel 2017 ottiene asilo: ha 21 anni appena e tutta una carriera davanti. In campo ci ritorna, ma senza poter dimenticare quanto accaduto nella sua prima vita in Bahrein. Da Melbourne, dove gioca con il Pascoe Vale FC nella serie B locale, torna ad attaccare la famiglia reale bahreinita mettendo nel mirino uno dei suoi membri, Salman bin Ibrahim Al Khalifa: è il numero uno della confederazione calcistica asiatica, l’Afc, e poco dopo sarebbe diventato vicepresidente della Fifa, carica che ricopre ancora oggi. Al-Araibi lo accusa di non fare nulla per fermare la persecuzione degli atleti sciiti che avevano preso parte alle proteste.
Fermato in Thailandia durante il viaggio di nozze
A fine novembre dello scorso anno, con qualche mese di ritardo rispetto alle nozze, Hakeem decide di approfittare di alcuni giorni di vacanza per andare in viaggio di nozze con la moglie in Thailandia. Giunto all’aeroporto di Bangkok, però, per il calciatore rifugiato scattano le manette. Colpa di un cosiddetto allarme rosso dell’Interpol, la polizia internazionale, che chiede l’arresto di al-Araibi. È il 27 novembre.
Qualcosa però non torna: il mandato, datato 8 novembre (meno di venti giorni prima dell’arresto effettivo), secondo il Guardian risulta proveniente dagli uffici australiani dell’Interpol su richiesta proprio del Bahrein. Fosse davvero così, osserva il quotidiano britannico, l’Interpol avrebbe violato il proprio regolamento che impedisce di dare esecuzione a mandati di arresto nei confronti di cittadini che fuggono (come Hakeem) dai Paesi che li reclamano: una questione di buonsenso.
Nonostante gli appelli della comunità internazionale, però, al-Araibi continua a essere rinchiuso in un carcere di Bangkok. Su di lui pende la richiesta di estradizione avanzata dal Bahrain e sui cui il tribunale thailandese dovrà esprimersi.