J ohann Trollmann pianse di felicità al suono del gong che segnò, dopo sei round, la fine del match con “l’ariano” Adolf Witt: lui, pugile di etnia sinti, aveva coronato il suo sogno, diventando campione tedesco dei pesi medi.
E questo nonostante che un gerarca nazista presente – tale Georg Radamm, incidentalmente presidente dell’associazione pugili tedeschi - avesse cercato di far annullare l’incontro: la folla invase il ring, difese il suo campione e lo portò via in trionfo. Ma Rukeli – questo il suo soprannome da “zingaro” – non sapeva che questa storica vittoria avrebbe anche segnato l’inizio della sua discesa agli inferi. Era il 1933: l’anno in cui Adolf Hitler si inghiottì tutta la Germania.
Una vicenda, quella di Rukeli, che fino a dieci anni fa quasi nessuno conosceva. Ora la storia tragica e leggendaria di Trollmann - che finì i suoi giorni nel campo di concentramento di Neuengamme – si incrocia con quella di una delle serie di maggior successo degli ultimi anni: Babylon Berlin, che si svolge negli anni furenti e magici della capitale tedesca subito prima dell’ascesa del Terzo Reich.
Ebbene, alla fine dell’ultima puntata della terza stagione – visibile in Italia su Sky – a sorpresa compare un manifesto che pubblicizza un match di Rukeli Trollmann, classica posa da pugile con i guantoni infilati, contro tale Erwin Pescher.
Viene mostrato alla protagonista della serie, Charlotte Ritter (interpretata da Liv Lisa Fries), andata alla ricerca della verità sulla propria madre: scoprendo – ed è uno degli ultimi colpi di scena della serie tedesca – che quasi certamente Trollmann è suo fratellastro.
Sui social si rincorrono le domande: Rukeli sarà uno dei personaggi principali della prossima stagione? Molto probabile, per non dire che è certo. A suo modo, è il riconoscimento – tardivo – che la Germania deve ad uno dei suoi eroi più tragici e straordinari. Dimenticato per troppi anni: solo nel 2003 ai suoi discendenti fu riconsegnata, in una cerimonia triste e desolata, la cintura da campione che i nazisti gli avevano tolto nel ‘33.
Due volte vittima - come sportivo e come sinti, disprezzato, disonorato, discriminato - il fantasma di Trollmann oggi danza ancora con noi. E questo soprattutto grazie alla scelta che l’ha reso immortale: quando i nazisti decisero di togliergli il titolo - obbligandolo a combattere in un match in cui era condannato a perdere, dicendogli che non poteva muoversi dal centro del ring, che gli avrebbero tolto la licenza se avesse “danzato” schivando i colpi - Rukeli si presentò al match con i capelli tinti di biondo oro e tutto il corpo cosparso di bianca farina. Come dire: “Volete l’ariano? Ecco il vostro ariano”.
Un gesto di smisurato coraggio, che irrideva di tutta la retorica del “combattente ariano” con la quale il nazismo aveva avvelenato la Germania. Piantato al centro del ring, per cinque round Trollmann fu martellato da Gustav Eder – lo sfidante, un pugile mandato lì a vincere per ordine superiore – finché non crollò a terra, con una bianca nuvola di farina che si alzò per aria, avvolgendo lui, l’avversario, tutto il ring, le prime file del pubblico. Un’immagine di una forza immensa, che nessun film è mai neanche lontanamente arrivato a raccontare.
Ma da quel momento la vita di Rukeli - che fino all’arrivo dei nazisti nella Berlino di “Cabaret” e di Bertolt Brecht così amata dagli scrittori, dalle puttane e dagli avventurieri, era riuscito a diventare una celebrità fascinosa, con i suoi riccioli neri, la sua eleganza e il suo stile - fu un unico e terribile precipizio nell’orrore del nazismo. Per qualche anno riuscì ancora a combattere nelle fiere di paese, in altri periodi si vide costretto a riparare nei boschi.
Spesso i rom e i sinti – degradati al livello “non-umano” degli ebrei soltanto nel 1938 – vennero obbligati a farsi sterilizzare: lo stesso successe a Trollmann. Che, nonostante ciò, fu mandato al fronte, senza che però il Reich smettesse ad infierire: nel 1942 venne arrestato dalla Gestapo e deportato a Neuengamme.
Quando gli aguzzini delle Ss si resero conto che quell’uomo, ormai ridotto a poco più di uno scheletro, una volta era stato un campione di boxe, iniziarono con lui un gioco di morte spietato: ogni giorno gli infilavano i guantoni, gridandogli “adesso difenditi, zingaro”, per poi massacrarlo di botte.
Per tenerlo in piedi – l’idea era di prolungare il proprio divertimento – gli concedevano una doppia razione di cibo. Questo finché un giorno, nel ’43, Trollmann crolò nel fango del lager. Può darsi che sia anche partito uno sparo, la ricostruzione dei fatti non è certa. Quello che è certo è che Rukeli morì lì, a 35 anni.
Eppure la storia di Johann Trollmann rimane una delle più straordinarie e meno raccontate del Terzo Reich. Meno raccontate per un solo motivo: per quanto integrato, almeno fino al ’33, era pur sempre un sinti. Un affronto inaccettabile per i nazisti: quasi sempre aveva avuto la meglio sugli avversari – anche quelli di categoria superiore - grazie ad uno stile che all’epoca era pura avanguardia: veloce sulle gambe, quasi danzante, colpi brevi e formidabili. Roba “effeminata”, niente a che vedere con “il vero pugilato ariano”, secondo i nazisti. Il titolo, conquistato appena una settimana prima, gli era stato tolto con una motivazione ridicola: le lacrime – di gioia – che gli erano corse sulle guance non erano “degne di un vero pugile”.
Dopodiché, finita la guerra, non furono certo i sinti, ossia gli “zingari”, ad essere messi al centro del lavoro sulla “memoria” dei crimini del Terzo Reich. Anzi: mentre ad alcuni degli aguzzini fu concessa persino una pensione (per esempio al calciatore Tull Harder, che in qualità di ufficiale delle Ss aveva prestato servizio nello stesso lager di Neuengamme), questo privilegio non veniva concesso ai pochi “zingari” sopravvissuti, dato che diversi tribunali avevano stabilito che erano finiti nei campi come “criminali”, e non a causa di una persecuzione razziale.
Con tutto il suo carico di dolore, ingiustizia e discriminazione, una vicenda emblematica, ma quasi ignota, non solo in Italia, anche in Germania, dove era uscito un libro di Roger Repplinger, “Buttati giù zingaro”, quasi che la storia del “pugile danzante” fosse stata inghiottita dal buio del Terzo Reich.
Questo finché nel 2010 un artista tedesco, Alekos Hofstetter, non riuscì a realizzare un monumento “temporaneo” alla sua memoria - un ring inclinato e bianco come la farina – e finché l’Unità, quello stesso anno, non uscì con un articolo che ne ricostruiva la storia. Dopo, in Italia ci furono uno spettacolo teatrale di Gianmarco Busetto (“9841/Rukeli”), un libro di Dario Fo (“Razza di zingaro”), un romanzo di Mauro Garofalo (“Alla fine di ogni cosa”) e una canzone con tanto di videoclip della band pugliese C.F.F (“Come fiori”). Ora è la volta di Babylon Berlin a far disputare a Rukeli un nuovo match. Quello per l’immortalità.