D a un giocatore dei Lakers all'altro. Il logo della NBA è stato disegnato da Alan Siegel, nel 1971, prendendo come spunto una foto di due anni prima che raffigurava il profilo di Jerry West, uno dei cestisti più forti di quegli anni. Una petizione online punta ora a cambiarlo per rendere omaggio a Kobe Bryant, deceduto domenica in un incidente in elicottero insieme alla figlia 13enne ad altre sette persone. Ma non è una cosa così facile.
La posizione della NBA
Nel logo c'è Jerry West. Su questo non c'è alcun dubbio. Lo ha confermato Siegel, più volte, lo ha ribadito, più volte, lo stesso West. Eppure questa non è una cosa ufficiale. O meglio. È una cosa che la NBA non ha mai deciso di confermare e che crea imbarazzo. L'attuale dirigente dei Warriors, 81 anni, ha ribadito più volte che non avrebbe problemi a un cambiamento del logo. Anzi, in qualche modo è una cosa che desidera.
Nel 2017, ospite della ESPN, West ribadì come l'onore concessogli da Siegel fosse "lusinghiero" ribadendo quella che per tutti è un'ovvieta: "So che sono io e se fossi la NBA, ne sarei imbarazzato. Non mi piace attirare l'attenzione su di me. Vorrei che lo cambiassero. In qualunque modo, ma vorrei che lo facessero".
Tre anni prima, nel 2014, intercettato da TMZ, West ribadì, con tono quasi stizzito, che apparire sul logo ufficiale della NBA non comportava per lui nessuna entrata economica. Non un solo centesimo. Non che volesse che gli si riconsocesse qualcosa. Semplicemente "è una situazione complicata". O almeno questo è quello che aveva ammesso al giornalista che gli chiedeva quali fossero i vantaggi di rappresentare, con la sua fisionomia, l'intera Lega. Pochi, insomma. E tutti in termini di visibilità. Certo, per molti è diventato "The Logo". Ma quello è un soprannome che negli anni è diventato pesante.
Una petizione da 3 milioni di firme
La campagna, pubblicata su Change.com, nel momento in cui scriviamo, ha praticamente raggiunto il suo obiettivo. In poco più di 3 giorni sarà raggiunto il traguardo delle tre milioni di firme che saranno inviate direttamente ai vertici della Lega per far sì che Kobe Bryant abbia, attraverso il logo, una sorta di "immortalità" sportiva. O almeno questo è quello che vorrebbero i creatori della petizione.
La NBA si trova quindi davanti a una scelta importante. Sfruttare un'opportunità nata dall'affetto e dal dolore per la scomparsa di Kobe, con un conseguente difficile, e almeno parziale, re-branding, o tirare dritto per l'ennesima volta su quello che resta, a tutti gli effetti, un tema assai delicato. Parlare del logo, infatti, significa tornare su una vicenda che è quasi un tabù. Rinnovarlo, infine, quali questioni legali comporterebbe?
Il rapporto tra West e Bryant
Il fatto di aver vestito entrambi la canotta della squadra gialloviola, non è l'unico punto d'incontro tra i due ex giocatori. Bryant deve molto a West. Fu quest'ultimo infatti a imbastire (e a portare a termine) la trattativa per portarlo in California durante il draft del 1996. Direttamente da Charlotte, che lo aveva scelto al primo giro, e rinunciando a un campione come Vlade Divac, spedito a Sacramento.
Era bastato un solo provino per convincere West a puntare su quel ragazzo che, saltando il College, aveva deciso di provare a passare direttamente "al piano superiore". Una mossa che pago i dividenti e che cambiò il destino della franchigia e dello stesso Kobe. Vent'anni di matrimonio cestistico e cinque titoli NBA vinti sono una prova abbastanza convincente per poterlo affermare.
Cosa succederà ora?
Jerry West, 81 anni, si è già schierato più volte dalla parte di chi vorrebbe una nuova versione, più fresca e moderna, del simbolo per eccellenza della NBA. I creatori della petizione sottolineano come la necessità di ricordare la figura di Bryant sia un motivo più che valido per procedere verso questa direzione.
Ma non è un'operazione facile visto che un marchio così riconoscibile e così "storico" si porta dietro una diatriba non di poco conto. Riuscirà, quindi, l'amore dimostrato per Kobe Bryant dai suoi fan a far cambiare idea alla NBA? Le proposte, soprattutto su Twitter, non mancano. E sono molto sentite e molto belle. Ma qui, purtroppo, non è solo una questione di affetto.