“Fermarsi, ritirarsi, dire addio allo sport? E perché mai? Non è ancora il momento, e quando sarà lo deciderò io”. Vince Carter, un mito dell’Nba, si aggrega a Federer a Totti a Buffon e a tanti altri immortali dello sport, annunciando che rilancia la sfida per un’altra stagione, la numero 22.
Che sarebbe record nella Lega pro più importante del basket, primo di sempre capace di giocare in quattro decadi diverse: negli anni ’90 (con i Toronto Raptors), nei 2000 (con Toronto, New Jersey e Orlando), nei 2010 (con Dallas, Memphis, Sacramento e Atlanta) e nel 2020. Facendo una pernacchia alla carta d’identità, ai 42 anni che ha compiuto il 26 gennaio, ai luoghi comuni di noi mortali, e anche a chi lo accusa di togliere spazio ai sogni di qualche giovane.
Vincent Lamar Carter, figlio di Daytona Beach, cugino di terzo grado di un’altra stella del basket Usa, Tracy McGrady, nipote di Oliver Lee (ex di Marquette), è un super atleta che ha primeggiato sin dal college per brillare da professionista Nba come uno dei migliori schiacciatori di sempre nei Toronto Raptors e poi negli Atlanta Hawks. Nella rincorsa all’idolo Julius Erving, si è guadagnato già a 11 anni il nomignolo di UFO , per diventare presto Air Canada – in contrapposizione al celeberrimo Air Jordan –, Vinsanity (per l’eccitazione che provoca nei fan) e “Half man, half amazing”, metà uomo e metà meraviglia.
Vince non è più una star di prima grandezza, ma ha comunque chiuso la stagione con una media di 7,7 punti a partita, 2,6 rimbalzi, 1,1 assist in 17,5 minuti in 76 partite su 82 di regular season. Il più anziano a segnare 21 punti in una partita e il migliore realizzatore della squadra. Diventando il 23mo nella classifica marcatori All-Time con 25.430 punti.
Offrendo prestazioni diverse, molto diverse, dalle prestazioni sul viale del tramonto delle altre stelle, Dwyane Wade e Dirk Nowitzki, che hanno lasciato la scena quest’anno. Infatti, già a dicembre, dopo il match a Brooklyn, rivelava ai media: “Non so che farò, continuo a ricevere telefonate da società che sono interessate. A essere onesti, amo così tanto il basket, sento che non ne sono ancora fuori, malgrado gli anni miei e quelli nell’Nba, adoro ancora tantissimo il gioco e la partita”.
Soltanto altri quattro colleghi - Kevin Willis, Robert Parish, Kevin Garnett e Dirk Nowitzki – hanno giocato 21 stagioni nell’Nba. Vince ci è arrivato con questo biglietto da visita: Toronto Raptors (1998-2004), New Jersey Nets (2004-09), Orlando Magic (2009-10), Phoenix Suns (2010-11), Dallas Mavericks (2011-14), Memphis Grizzlies (2014-17), Sacramento Kings (2017-18) e Atlanta Hawks (2018-oggi). Con la legittima ambizione di allungare ancora.
Sui social, Gilbert Arenas, ex play dei Washington Wizards e degli Orlando Magic, si autonomina paladino dei giovani e lo contesta: “Ti rispetto ma ci sono giocatori che stanno provando a vivere il sogno che tu hai vissuto. Ogni anno che tu continui a giocare, c’è un giocatore che viene tagliato perché qualcuno sceglierà te al suo posto”.
Riassume il pensiero di altri. Ma come dargli ragione? I sogni vanno rispettati in tanto tali, unici, intimi, personali e, soprattutto, legittimi. Ancor di più nello sport, dove tutti i giorni, in allenamento, in campo, in palestra, nella vita da atleta, e poi in partita, ci si misura continuamente con gli avversari, con se stessi e col giudizio della gente. Senza sconti per la carta d’identità e per il proprio passato.
Il talento e la passione non possono certo vergognarsi di essere tali, o fare un passo indietro, per lasciare il posto libero a chi deve a sua volta dimostrare talento e passione. Anche per rispetto per l’oro olimpico a Sydney 2000 e la miriade di super risultati personali, 51 punti in una partita (2 volte), i 16 rimbalzi contro i Washington Wizards del 2007, i 14 assist contro i Milwaukee Bucks del 2009, le 6 palle rubate in una match (6 volte), le 6 stoppate contro i Chicago Bulls del 1999, i 63 minuti giocati contro i Sacramento Kings nel 2001.
Chi altri è stato citato in tante canzoni come lui? Da Slam Harder degli Onyx a Chum del rapper Earl Sweatshirt, da Basketball del rapper Bow Wow a We Love This Game di Ghemon, Mad Buddy, Kiave e Johnny Marsiglia, a Nostalgia II di Gemello a Weston Road Flows di Drake?