C ’è una frase di Micheal Jordan che racconta meglio di altre cosa vuol dire giocare, ma soprattutto vincere, nella NBA. E suona così: “Heart is what separates the good from the great”. È il cuore, quello che ciascuno di noi ha dentro, che distingue un buon giocatore da uno capace di fare, per davvero, la differenza. Ed è una frase che nella stagione che ha appena alzato il suo sipario potrebbe legarsi a più di una storia, a più di una vicenda. Le prime due vittorie della notte, quelle di Golden State e Boston, potrebbero infatti rappresentare il preludio musicale al concerto a cui assisteremo alla fine di giugno. Quando, cioè, i toni si alzano e il frastuono diventa armonia. Sono molti infatti quelli che considerano questa combinazione, a scanso di infortuni o imprevisti, come la più probabile. Ma come ricorda Flavio Tranquillo, voce storica del giornalismo sportivo e cestistico italiano “lo sport per fortuna non è teoria” e quello che può accadere lo potremo scoprire solo calcando i parquet americani nei prossimi lunghi, lunghissimi, nove mesi. Abbiamo proprio chiesto proprio al telecronista di Sky di rispondere a qualche domanda per capire un po’ di più lo spettacolo che ci aspetta e che, sulla piattaforma satellitare, potrà essere vissuto interamente grazie a un canale totalmente dedicato con più di 350 partite live e tanti approfondimenti. Da LeBron James agli italiani: come sarà la nuova stagione NBA? L’ultimo mercato estivo è stato assai il più rumoroso e appassionante degli ultimi anni anche dall’altra parte dell’oceano. Se nel calcio il più forte giocatore del mondo ha cambiato casacca, anche nel basket abbiamo assistito a un terremoto simile. Come Cristiano Ronaldo anche LeBron James ha deciso di accettare una nuova sfida. I due, che sono quasi coetanei, hanno in mano i destini di squadre che vogliono tornare a essere le più forti.
Quanto ci vorrà per King James per riportare in alto i Los Angeles Lakers? L’ultima volta Ronaldo ci ha messo 4 anni per riportare la Champions a Madrid e ha dovuto aspettare negli anni l’arrivo di Modric, Bale e altri campioni..
“Quattro anni sono tantini. Io credo che dobbiamo aspettarci un periodo di assestamento di qualche mese perché lui capisca in quale situazione si trovi e perché noi possiamo capire dove lui vuole andare a parare. Adesso non mi sembra che si capisca niente di tutto ciò. È banale dirlo, certo, ma è vero che negli sport di squadra non si vince mai da soli: il fatto che arrivino degli altri giocatori è una precondizione, ma non basta solo questo per vincere. Ci vogliono altre cose e questi primi mesi ci serviranno per iniziare a capire".
Poi c’è Golden State che con l’arrivo di Marcus Cousins sembra ancora più inarrestabile
"Golden State non è semplicemente la squadra più forte di questa stagione. È la squadra più forte sul periodo di 4 anni che ci sia mai stata nella NBA. Questo non significa però che vincerà tutte le partite o il titolo. Diventare campioni è il risultato di quello che accade in 9 mesi e poi a giugno".
A Houston è arrivato Carmelo Antonhy e spesso hai raccontato del matrimonio precedente, assai tormentato, tra il giocatore e l’allenatore, Mike D’Antoni, ma che hai sensazioni positive per questa nuova avventura. Io ribalto la questione: quanto mancherà Trevor Ariza a questi Rockets?
"A Houston mancheranno certamente delle cose di Ariza. Ma è anche vero che molto probabilmente più di quello che i Rockets hanno fatto la scorsa stagione (sconfitta nella finale della Western Conference 4-3 con Golden State, ndr) non sarebbe stato possibile fare. Almeno con quella versione. Credo anche che, da un punto di vista tecnico, l’arrivo di Carmelo Anthony e la partenza di Ariza non siano elementi necessariamente così legati. È chiaro che se non posso pagare sia Ariza che Capela faccio una scelta e poi riempio il buco nella maniera migliore possibile".
A Dallas, dove c’è ancora Nowitzki, forse il più forte giocatore europeo degli ultimi vent’anni, arriva anche Luka Dončić che potrebbe raccoglierne l’eredità, almeno in termini di impatto nella Lega.
"Dončić è un giocatore che mi piace moltissimo ma è forte in un altro senso rispetto a Nowitzki che è diventato nel tempo un giocatore dalla produzione offensiva, diretta, incredibile. Dončić non credo possa essere mai un giocatore di quel tipo ma potrà diventare un effetto moltiplicatore per la squadra, un giocatore decisivo in attacco ma anche in difesa. Il punto su Dončić penso sia un altro: senza una squadra di un certo tipo non avrà mai lo stesso impatto di Nowitzki che in determinate epoche era quasi “la squadra“. Lo sloveno sarà invece quello che potrà sì fare la differenza ma “all’interno di una squadra”, soprattutto ad alto livello. Dallas, dobbiamo dirlo, oggi non è una squadra di alto livello per cui i prossimi due e tre anni saranno utili per Dončić per capire come gira un po’ nella NBA. Trascorso questo tempo vediamo a che punto è lui e a che punto è Dallas e faremo altri discorsi".
Tobias Harris, coach Doc Rivers e Danilo Gallinari dei Los Angeles Clippers (foto AFP)
Poi c’è il capitolo San Antonio, senza Ginobili e Parker
"Paradossalmente dopo vent’anni non la conosciamo. Eravamo abituati a sapere esattamente cosa aspettarci dagli Spurs ma ad oggi neanche loro sanno cosa aspettarsi da questa stagione. Io non credo che siano a destinati a disastri ma non credo neanche che siano destinati a grandissime cose. Hanno troppi veterani e troppo vissuto nel club per andare troppo giù, ma non hanno una situazione tecnica ed emotiva per andare troppo in sù. Saranno molto degni e molto decorosi. Dopo questa stagione, forse, piano piano, si comincerà a dissolvere un po’ di nebbia. Anche perché mi sembra di capire che prima o poi ci sarà un passaggio importante sulla panchina (quella di Gregg Popovich ed Ettore Messina, ndr) e quello sarà il momento in cui per davvero cambieranno diverse pagine".
Boston, Philadelphia, Toronto. Nella Eastern Conference saranno loro a giocarsi tutto o dobbiamo aspettarci qualche altra sorpresa?
"Sarei stupito se la rappresentante in finale non fosse una di queste tre. Però magari una di queste tre andrà fuori molto presto. Non so chi, naturalmente. C’è del resto anche Milwaukee che riparte da zero in una situazione in cui un po’ tutto l’ambiente è molto carico: se dovessero partire bene non mi stupirei di vederli fare bene anche dopo".
Capitolo italiani. Gallinari, Belinelli in campo, Messina e Scariolo in panchina. Quale sarà il loro contributo?
"Io penso che ormai per gli italiani in NBA, anche se Sergio Scariolo è all’esordio, è arrivato il momento di non fare neanche più notizia. È naturale che possano dare un contributo significativo. Onestamente considerare il loro luogo di nascita, che sia Catania o San Giovanni in Persiceto, è una pura nota biografica. Anche se, questo è vero, per noi a livello di immaginario è un elemento importantissimo. Però sono degli allenatori e giocatori NBA, punto. E non importa, del resto, che siano italiani. Potrebbero essere spagnoli, belgi o senegalesi e sarebbe lo stesso. Questa è la forza della NBA ed è ormai un processo inarrestabile e fisiologico".
Facciamo un passo indietro in chiusura. Nico Mannion ha scelto Arizona per il suo debutto in NCAA.
"Siamo tutti molto curiosi di vederlo all’opera. Ci sono delle cose che non si possono insegnare come un certo tipo di fisicità o atletismo e una mentalità da giocatore maturo. Sono due elementi necessari ma tutt’altro che sufficienti. Ma se dovessero esserlo a dircelo sarà quello che succederà per lui da qui in avanti".