I l futuro del basket italiano ha i capelli color carota, un mucchio di lentiggini, due mani molto educate e uno sguardo che sembra non avere paura di niente. Niccolò Mannion è nato nel 2001, a Siena, ma è dall’altra parte dell’oceano, l’eldorado della pallacanestro, che il suo nome sta iniziando a circolare sempre più frequentemente. E non solo tra gli addetti ai lavori. Pochi giorni fa, ad esempio, “Nico”, così viene ormai chiamato da tutti, ha avuto l’onore di partecipare al SC30 Select Camp. Non è un evento qualsiasi. L’invito è riservato solo ai migliori talenti che militano nelle squadre delle High School americane. Giovani prospetti che hanno avuto la possibilità di allenarsi con Stephen Curry, una delle stelle della NBA, e di mettersi in mostra davanti a scout ed emissari di varie franchigie. Nico si è aggiudicato il torneo di 1 vs 1 superando giocatori più grossi e quotati di lui. Con giocate come queste.
Buon sangue non mente
Nelle vene di Niccolò scorre sangue americano. Il papà, Pace Mannion, ha fatto le fortune di Cantù che anche grazie alle sue prodezze, 35 punti in finale contro il Real Madrid, conquista nel 1991 la coppa Korac, una delle più importanti manifestazioni europee di allora. Pace arriva in Brianza dopo una discreta carriera al college, a Utah, e 6 anni, piuttosto altalenanti, nella NBA. Ma è calcando i nostri parquet, giocherà anche con le maglie di Treviso, Caserta, Reggio Emilia, Fabriano, Roseto, Siena e Cefalù, che trova la sua dimensione come giocatore di pallacanestro.
Nella sua annata senese conosce poi una ragazza, Gaia Bianchi, quattordici anni più giovane di lui. È una giocatrice di pallavolo professionista con un passato nella nazionale juniores. Un grande talento, anche lei. Un’eredità che Nico ha anche pensato di inseguire prima della decisione di dedicarsi interamente al basket: “All’high school c’era la possibilità di provare anche lo sport materno, ma io mi sento un cestista”.
Del resto anche la mamma di Stephen Curry era una pallavolista. Le doti fisiche per poter dedicarsi a più sport non mancano. L’altezza, di poco superiore al metro e novanta, non è certo un problema; l’elevazione e la capacità di galleggiare in aria, neanche. Ma è la capacità di leggere cosa succede su un capo da basket che, al momento, impressiona più di tutto. Fare la cosa giusta, al momento giusto.
Il ritorno negli USA
Dopo l’ultima stagione in Sicilia, Pace, che ha 42 anni, decide di appendere le scarpette al chiodo. La famiglia Mannion fa ritorno negli Stati Uniti d’America quando Nico ha appena due anni. Ma l’Italia rimane presente nella sua vita con le estati da passare a casa. Il papà, nel frattempo, ha accettato di diventare analista televisivo per la squadra di Utah, i Jazz, che segue anche durante i playoff. Nel 2010, durante la serie con i Los Angeles Lakers, il dodicenne Nico incontra Kobe Bryant, il suo idolo che, inaspettatamente, gli parla in italiano.
Anche le loro storie hanno dei punti in comune. Il papà di Kobe, Joe, venne a giocare nel nostro campionato, a Reggio Emilia. Anche quella fu una storia di andate e ritorni. E così, visto che Bryant in quel momento era già soprannominato “Black Mamba” per il suo essere letale con il pallone in mano, qualcuno inizia a chiamare il giovane Nico “Red Mamba”, sempre per quei capelli un po’ strani. Un nomignolo, come racconta La Giornata Tipo, non tanto apprezzato. Almeno se messo in confronto con “Ginja Ninja”, scelto dai suoi amici.
Uno abituato a bruciare le tappe
Nel 2017, la popolarità di Nico crebbe anche per un articolo molto dettagliato che Sport Illustrated gli dedica. L’autore, Chris Ballard, inizia il suo racconto con una schiacciata e due parole, “basketball prodigy”. Un prodigio. Un predestinato, insomma. Un’etichetta pesante per chi ha quasi 16 anni e già diverse offerte dai migliori college americani. In quel momento Nico ha già centomila follower su instagram (ora sono 175 mila), mangia una quantità enorme di biscotti Oreo, un’altra grande passione, e cerca di gestire la prima botta d’adrenalina che la notorietà sta dispensando. Nell’articolo, infatti, si racconta come la prima chiamata da un college sia arrivata quando Nico frequentava l’equivalente della nostra terza media. Prima, cioè, che iniziasse l’High School. Un’offerta, quella della California State University, e dell’allenatore ex NBA Reggie Theus, che avrebbe fatto girare la testa a qualunque altro tredicenne d’America.
Un tredicenne, dall’accento italo-americano molto marcato, che aveva ancora tanta strada da fare prima di pensare alla NBA. La prova? La sconfitta, 1 contro 1, con il papà Pace durante il suo 56esimo compleanno. Nel frattempo, i Mannion si sono trasferiti in Arizona, vicino a Phoenix. Nico continua a giocare nonostante quei capelli arancioni che non sarebbero proprio il tratto principale del campione di basket ma che, almeno per papà Pace sono un’arma da sfruttare: “Ogni avversario ti concederà cinque minuti. Cinque minuti che gli servono per superare ogni suo pre-concetto”.
Il primo assaggio di notorietà, Nico, lo ha dopo questa schiacciata, la sua prima in una partita. Un’azione, pubblicata su Vine, che viene rilanciata da un giornalista di Mashable su Twitter, da Brandon Jennings, giocatore NBA passato anche lui dall’Italia, e da Ezekiel Elliott, stella dei Dallas Cowboys. Le conseguenze sono immediate. I suoi follower sui social crescono di migliaia nel tempo di una cena.
Poco tempo dopo, Dan Majerle, ex stella dei Suns, gli propone una borsa di studio e un posto fisso alla Grand Canyon University, a due passi da casa. Poi si fanno vivi anche Arizona, San Francisco, Utah State e Utah, il college del padre. Nico ha sei offerte da Università prestigiose ancora prima di entrare a far parte della squadra della Pinnacle High School, con cui inizia a giocare nel 2016. Lo scorso giugno, a conclusione del suo secondo anno (23,4 punti, 5,8 assist e 4,7 rimbalzi a partita), e con la conquista del titolo di miglior giocatore del campionato statale, Nico decide di rendersi eleggibile per il college e, in un tweet, elenca quali sono quelle università a cui direbbe sì. Una top ten che comprende le migliori realtà “cestistiche” d’America come Duke, Oregon, Villanova, Marquette, UCLA, Kansas. Eppure, secondo 247sports, che in queste previsioni spesso ci azzecca, la favorita resta Arizona.
La chiamata della Nazionale
Nella vita come sappiamo ci sono scelte che sono delle vere “Sliding Doors”. Scelte che spesso non prendiamo direttamente ma che condizionano il nostro futuro. C’è stato un momento in cui la nazionale italiana avrebbe potuto perdere definitivamente la possibilità di convocare Nico Mannion. Nel giugno del 2017, il ragazzo italo-americano viene incluso nella lista dei 32 possibili giocatori che andranno a comporre il team della nazionale USA ai campionati U-16 che vedono coinvolte tutte le squadre delle Americhe. Dall’Argentina, padrona di casa, a Porto Rico, dal Messico al Canada.
Nico, per nostra fortuna, viene tagliato nell’ultima selezione. Appena due mesi dopo, Pino Sacripanti, assistente della nazionale, e Antonio Bocchino, selezionatore della squadra Under 16, non perdono tempo e lo convocano per l’Italia. È agosto, manca pochissimo all’inizio del campionato europeo di categoria. Nico viene aggregato alla squadra a una settimana dall’esordio. L’Italia. alla fine, arriva nona nonostante le sue prestazioni (20 punti, 6 assist e 4 rimbalzi a partita). Ma è dopo aver segnato 42 punti alla Russia che il suo nome trova spazio nei giornali e nei siti.
Eppure non basta. Per non rischiare di perderlo c’è bisogno di una convocazione da parte della nazionale maggiore che arriva nell’estate del 2017. Sacchetti lo include nel team impegnato nelle qualificazioni al prossimo Mondiale. A 17 anni e 3 mesi è il quarto più giovane della nostra storia a esordire con la maglia dell’Italia. Prima di lui solo Nesti, Riminucci e un certo Dino Meneghin. E la sua mano non trema neanche in questo caso, come dimostra la partita con l'Olanda
Nel suo futuro, come tutti i predestinati, c’è di sicuro la NBA. Molti dicono dal 2020, altri propendono per un’attesa un po’ più lunga. Molto dipenderà dalla sua prima stagione al College e da come gestirà l’impatto con un basket diverso, più fisico, e le pressioni che avrà addosso. L’unica cosa certa, a oggi, è che continuerà a indossare la maglia azzurra. E di questo possiamo già essere molto felici.