AGI - "Credo che gli scacchi mi abbiano aiutato nella mia professione. Costruire la scaletta di un programma, puntare sui propri punti forti, e saperli rinforzare ulteriormente, è un’abilità figlia anche della forma mentis che mi ha dato" il gioco. Marco Liorni, noto volto della televisione e conduttore di 'L'Eredita'' su Raiuno, ha ereditato la passione per gli scacchi dal padre con cui giocava quando era piccolo, durante le vacanze al mare dove "non abbiamo mai perso l'abitudine di sfidarci". Una infatuazione che perdura ancora oggi, tra partite online e ricordi d'infanzia, raccontata nell'ultimo numero di 'ScacchItalia', il periodico della Federscacchi, in un'intervista a firma di Anania Casale. Liorni spiega come abbia percepito, negli ultimi anni "un grande ritorno," degli scacchi. "È qualcosa che si respira nell'aria. Un tempo se dicevi che ti piacevano gli scacchi, pareva che ti dilettassi con qualche passatempo ottocentesco, ora invece si sente dappertutto di gente che gioca o inizia a giocare".
Un mondo che, però, non è tutto rose e fiori. "Credo che gli scacchisti siano affetti da un agonismo eccessivo, e che il gioco metta a nudo la violenza segreta che alberga nell'animo di ognuno di noi. Una volta ero ospite dei 'Soliti ignoti' e tra le persone che dovevo indovinare c'era un campione di scacchi. Allora gli ho chiesto se è vero che gli scacchi sono uno sport violento, come dice Kasparov, e lui stesso mi confermo' che lo sono davvero. Del resto, il fatto stesso di "mangiare" i pezzi nemici, di stringere d'assedio l'avversario e costringerlo in un angolo, sono manifestazioni di violenza. Violenza che spesso si manifesta anche nel gioco online". Con effetti devastanti: "Davvero mi stupisce lo squallore di chi ti scrive delle cose volgari mentre gioca, è una cosa che mi dà molto fastidio, che contamina la nobiltà del gioco. Le chat di queste piattaforme sono terribili, alcuni sfogano proprio la' i loro bassi istinti. Io ho bloccato tutti".
A Liorni e' stato chiesto come portare sui media generalisti il gioco e come comunicare e propagandare i lati più positivi. "Mi pare che la strada giusta sia quella offerta da fiction come 'La regina degli scacchi'. Far intuire il fascino del gioco attraverso il meccanismo narrativo di una 'storia' è il metodo migliore per suscitare curiosità e interesse, e il successo del telefilm lo dimostra. Per il resto, gli scacchi non sono molto televisivi. Per capirci qualcosa, bisogna giochicchiare almeno un po', e conoscere bene le regole, e non è semplice. Di scacchi si parlerebbe molto se ci fosse un forte giocatore italiano, un campione tipo Sinner. Gli scacchi da soli pero' non funzionano, vanno inseriti in una struttura narrativa che aiuti a metterli in luce", conclude.