La seconda vita di Rosanna Banfi, tra l'impegno contro il cancro e il suo ristorante

Antonella Piperno
Race for the Cure - Rosanna Banfi
“La paura uccide più del cancro. E’ importante parlare di prevenzione perché il terrore di scoprirsi malate spesso tiene le donne lontane da controlli che potrebbero invece salvarle".
Rosanna Banfi, 56 anni attrice, neo-ristoratrice nonché figlia di Lino Banfi, dieci anni fa ha lottato contro un tumore al seno e da allora vive quasi come una missione il suo ruolo di madrina di “Race for the cure” di Komen Italia, la corsa evento per la lotta contro i tumori al seno che, in programma a Roma il 19 maggio, si sposterà poi in tutta Italia, con la tappa finale a Matera, a fine settembre.
In questi giorni che precedono l’evento Banfi è impegnata con la carovana mobile di Komen, dedicata a screening itineranti per i tumori al seno tra piazze, carceri, conventi e anche templi dello shopping popolati da donne, come il Castel Romano Designer Outlet, che per l'occasione ha colorato le sue vetrine di rosa, il colore della corsa solidale, e dove medici e volontari si sono fermati per due giorni.
Agi l’ha incontrata lì per un’intervista sulla sua vita a dieci anni dalla scoperta di quel nodulo al seno che ha cambiato la sua prospettiva e a due dalla partenza del suo “piano B” professionale, l’”Orecchietteria Banfi” con cui si è trasformata in ristoratrice abbandonando la sua prima esistenza da attrice.
Ora è in gran forma, bionda con i grandi occhi chiari che sorridono ma, racconta, "quando partecipai per la prima volta alla Race for the Cure ero senza capelli, gonfia, sotto chemio. Non volevo farmi vedere in quelle condizioni. Ma, appena arrivata, ho visto migliaia di donne come me. Allora non sono sola, mi sono detta. E ogni anno questa magia si rinnova, in questo mondo dove ognuno morde il prossimo ho scoperto che esistono anche delle grandi oasi di solidarietà”.
Con chi si è confidata dieci anni fa quando ha scoperto di essere ammalata?
"La prima persona a cui ho parlato e' stato mio marito, (lo sceneggiatore Fabio Leoni ndr) , la seconda mio padre, Con cui ho sempre avuto un rapporto strettissimo. E’ stato lui a farmi nascere quando l’ostetrica era in difficoltà, ed era anche in sala parto quando sono nati, con il cesareo, i miei due figli".
Fu lui, poi ad ufficializzare la sua malattia durante un'intervista con Lamberto Sposini alla Vita in diretta...
“L’avevamo deciso insieme per giocare d’anticipo prima che cominciasse a circolare qualche foto che mi ritraeva sofferente per la chemioterapia, e anche per dare forza alle altre donne. Quando lui era in diretta io ero davanti alla tv con mio marito e appena disse “Ora devo parlare di una donna che mi sta molto a cuore..” noi scoppiammo a piangere e dopo due minuti fui sommersa da telefonate. La condivisione è importante, rispetto la scelta delle tante e dei tanti che non dicono nulla agli altri perché temono di suscitare pietà, ma quando ricevevo piccoli gesti di solidarietà come quello del fruttivendolo che metteva da parte per me le cose migliori, o quello della vicina di casa che mi chiedeva come stavo con gli occhi lucidi, io mi sentivo meglio. A qualcuno può dare fastidio, ma non siamo tutti uguali. La pietà non è necessariamente una brutta parola…”. Di quel periodo non dimenticherò mai neanche la vicinanza di tutta la mia famiglia: sono stata fortunata perché non è così scontato, in tanti fuggono dalla malattia di chi chi gli è vicino, ci sono donne che vengono lasciate dai partner. C'è invece un aspetto che mi ha dato parecchio fastidio".
Quale?
"Giornali e tv che per anni non mi avevano mai cercata, snobbandomi, mi hanno corteggiato e invitato esclusivamente durante il periodo della mia malattia. Ho esordito al cinema con mio padre nell’’86 in “Grandi magazzini” ho poi fatto tanta tv, a cominciare dallo “zio d’America” e “Un medico in famiglia” ma ho sempre dovuto lottare per conquistare l'attenzione dei media".
Adesso però le frustrazioni legate alla sua vita artistica sono finite visto che ha cambiato lavoro...
"Due anni fa con la mia famiglia abbiamo deciso di aprire un ristorante a Roma, l’Orecchietteria Banfi. Non ne potevo più di stare appesa al telefono, sperando di ricevere telefonate che non arrivavano mai. A un certo punto ti stufi. Il fatto è che oggi in Italia ci sono pochi ruoli per le attrici che hanno passato i cinquant’anni. Devi essere giovane, preferibilmente bonazza e soprattutto frequentare i giri giusti. Io non ho mai amato uscire e darmi da fare con le relazioni. E allora mi sono inventata un piano B. Dirigo il ristorante con il menù ispirato ai film di mio padre, con mio marito e mio fratello. Mia figlia Virginia 26 anni, aiuta in cucina il suo fidanzato Gianluca, lo chef del locale. L’altro mio figlio Pietro, che ha 20 anni, è l'unico che non partecipa, studia Fisica in Olanda, comunque nessuno dei due ha mai pensato di lanciarsi nel mondo dello spettacolo”.
Ma è stato semplice cambiare vita dopo tanti anni sotto i riflettori?
“All’inizio mi hanno destabilizzato la quotidianità e la ripetitività, il fatto di andare ogni giorno nello stesso posto, la vita nel mondo dello spettacolo è più varia. E poi fare l’attore è comodo, sei servito, riverito, ammirato. Ora sono passata dall’altra parte, sono io ad occuparmi dei clienti. Ma quando li vedo andare via contenti, oppure intonare le canzoni de “Il vigile urbano”, il mio primo lavoro in tv con mio padre, beh, sono felice”.
Anche il suo ristorante è ispirato a sua padre, come vive il fatto di essere considerata da sempre "la figlia di Banfi"?
"Non posso negare di aver lavorato molto spesso con lui ma credo anche di aver costruito, con il mio lavoro, una mia nicchia. Ad essere tacciati come “figli di” a un certo punto ci si abitua. Mio padre è sempre stato dalla mia parte. E pensare che quando alla fine del liceo artistico ho pensato che mi sarebbe piaciuto seguire le sue orme, avevo paura anche di parlargliene. Gliel’ho detto con un certo timore e lui invece con tutta tranquillità mi rispose: “Se posso, ti do una mano”. Fu lui ad accompagnarmi al mio primo provino, per i fotoromanzi Lancio. Non mi presero, poi però lavorai per Grand Hotel, divertendomi parecchio)e quindi arrivarono Grandi magazzini e Il vigile".
I suoi momenti professionali da incorniciare?
"Gli anni del Medico in famiglia, è un peccato che sia stato sospeso. Ma quello che mi è rimasto stampato nella mente è il Saint Vincent dell’88 che presentavo in eurovisione con papà: ero ai miei esordi, terrorizzata, mi veniva da vomitare. Papà era in ansia per me. Ma poi andò tutto liscio, lui per me è un albero con delle grandi radici”.
Oggi con Lino che tipo di rapporto ha?
"Gli telefono ogni mattina e ogni giorno vado a trovare lui e mamma, malata da tempo. Lo aiuto anche a rispondere alla mail da cui è inondato da quando è diventato il rappresentante italiano nella commissione dell’Unesco. Ne arrivano tantissime, molte delle quali, pensando che lui possa prendere chissà quali decisioni, gli chiedono di far diventare patrimonio dell'Unesco specialità alimentari di tutti i tipi patrimonio dell’Unesco. Ma più stravagante di queste richieste è il fatto che mio padre non abbia partecipato finora a nessuna riunione dell’Unesco, dal momento della nomina non ha avuto alcun impegno”.
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