V incenzo Salemme è al Sistina di Roma con la sua ultima commedia, 'Con tutto il cuore'. L'autore, attore e regista di Bacoli ritrova il tocco delle sue opere più fortunate e divertenti (pensiamo a 'Passerotti o pipistrelli?', 'E fuori nevica' o 'Premiata Pasticceria Bellavista') raccontando la vicenda di una persona per bene, un insegnante di lettere antiche, Ottavio Camaldoli, che subisce un trapianto di cuore, ma non sa che l'organo che gli è stato donato è quello di un feroce delinquente, Antonio Carannante detto 'il barbiere' (perché faceva barba e capelli alle vittime) morto ucciso per mano di Pasquale Percuoco detto 'Mangiacarne', che prima di morire ha chiesto alla madre Carmela (Antonella Cioli), nella casa che si sono costruiti nell'area archeologica di Pompei, che colui che lo ricevera' in dono, possa vendicarlo. Il professore, che già subisce le angherie di una ex moglie (Teresa Del Vecchio) e del suo nuovo compagno, lui che è troppo remissivo con la figlia ventenne che vive in casa sua e si fa abbindolare da un finto infermiere (Domenico Aria) e della badante che dovrebbe accudirlo al suo ritorno a casa dopo due mesi di ospedale (Vincenzo Borrino, napoletano che per lavorare si traveste da indiana con la testa dondolante), si trova ad affrontare un dilemma: uccidere l'assassino del 'barbiere' o morire per mano del fratello gemello di questi.
'Con tutto il cuore' è un testo che come sempre in Salemme è motivo di spunti di riflessione. Stavolta però non c'è morale: la scelta è di lanciare il sasso e poi prendere una direzione decisamente comica. Ritorna in questo testo il debito che Salemme ha con Totò, più ancora che con Eduardo De Filippo con cui iniziò giovanissimo a lavorare e che gli fece da secondo padre (per anni è stato in compagnia col figlio del grande drammaturgo, Luca). Salemme vuole far ridere e utilizza la scusa del 'fesso' professor Camaldoli per divertire e divertirsi. Gioca con l'ignoranza che è motivo di sketch esilaranti, con l'avidità, con la superficialita', con l'egoismo. Ma gioca, soprattutto, con la morte. Una capacita' solo dei grandi di esorcizzare e di ridere e far ridere parlando di un tema del genere: il teatro 'viene letteralmente giù' quando segue le sorti del nonno raccontate dal nipote-professore dai pranzi a base di uova sode fino all'estremo addio. Salemme stavolta fa riferimento ai grandi comici della tradizione napoletana, Totò su tutti, creando battute a raffica legate ad assonanze e ignoranza ("Ho detto Socrate, non sorete"), malcostume ("Io non sono infermiere, io 'faccio' l'infermiere"), equivoci, paradossi e trovate esilaranti. Parla di un uomo buono (e quindi considerato 'fesso') che vogliono far diventare cattivo ma preferisce non dare giudizi.
Vincenzo, a differenza di altre commedie stavolta non c'è commento morale alla fine. Una scelta condivisibile per uno dei tuoi testi di maggior successo.
“Sì, devo dire che questo è uno spettacolo particolarmente felice. Ci ho lavorato tanto e mi sta dando grandi soddisfazioni. In quanto alla scelta di non fare la morale alla fine della commedia, devo dire che in realtà c’era un finale che dava una morale, ma poi l’ho eliminato perché non mi piaceva dare il mio commento sulla bontà e la cattiveria. Mi piaceva lasciare il campo alla risata senza fare il filosofo. Parlare di morale è così complicato che penso che il pubblico faccia da solo questo discorso”.
Ottavio Camaldoli è un buono, mentre i personaggi che lo circondano sono cattivi. Compresa la figlia, come sempre nelle tue commedie.
“I figli nelle mie commedie sono sempre cattivi. Pensa anche a ‘E fuori nevica’ dove perfino Cico, il picchiatello, era cattivo. Io penso che siano le paure dell’uomo moderno di essere circondato da persone di cui non si può fidare mai perché in realtà non ci fidiamo di noi stessi. Nella realtà, per fortuna, ci sono anche le persone buone”.
Eppure oggi non vanno così di moda, anzi sono decisamente in via d’estinzione. Oggi sembra che l’egoismo, il cinismo, il razzismo stiano prendendo il sopravvento.
“Penso che questi cambiamenti epocali non si verifichino nel giro di pochi mesi o anni. Penso che via via che diventiamo più numerosi, alcuni problemi si possono acuire. Quindi la paura di perdere il proprio fazzoletto di terra aumenta man mano che aumentano i commensali. Ma è così dall’inizio dell’umanità. L’essere umano tende a difendersi dalla perdita e di ricchezza e di identità. Sono queste le paure. La nostra ansia è quella di voler controllare le cose, ma non sono sempre controllabili. Neppure quelle personali. Quindi quando sentiamo parlare di problemi più grandi di noi ci spaventiamo e tendiamo a chiuderci a riccio, ma non è che siamo più cattivi di prima. Credo che l’essere umano si difenda o sia generoso a seconda dei momenti in cui vive. In questo momento in cui sono 10 anni che si parla di crisi, le paure si sono acuite e sembriamo più cattivi. Ci siamo incattiviti, ma non siamo più cattivi. Noi siamo bene e male e a seconda delle situazioni ci comportiamo. Dalla crisi economica all’immigrazione sono cose che vanno al di là di noi. Ci appaiono più grandi di noi e tendiamo a spaventarci”.
Hai pensato a fare una commedia che tratti in maniera specifica delle paure di oggi?
“In un certo senso lo è anche questa: una commedia su un uomo buono che vogliono far diventare cattivo. Le cose artistiche devono tenersi al di fuori dello specifico cronologico: devono fare riferimento alla realtà ma devono avere la forza di diventare metafora. Devono fare riferimento alla realtà ma le cose di cui devono parlare sono i grandi temi: la bontà, la cattiveria, il coraggio, il tradimento, la paura. Sono temi che appartengono all’essere umano”.
L'ìgnoranza fa ridere, ma oggi sembra che sia un titolo di merito. La cultura, la competenza fanno paura, al punto che il Censis parla di 'qualifobia', di paura della qualità. E si chiama in causa anche la nuova classe politica.
“Non credo che l’ignoranza sia patrimonio dei nuovi partiti perché se sono arrivati al governo vuol dire che hanno avuto delle competenze. Quello che secondo me invece scarseggia è la qualità sempre di più nelle persone. Noi tendiamo ad approssimare le cose, le facciamo 'più o meno' come andrebbero fatte. Invece secondo me in ogni aspetto della vita umana tutto andrebbe fatto con passione. Non credo sia politico o di competenze politiche”.
Un mondo dove la fretta e la superficialità dominano, dunque?
“La voglia di approssimare, di arrangiare, di fare le cose superficialmente è sempre esistita nell’essere umano. Il problema è che adesso si va talmente di fretta che spesso si è costretti di fare le cose arrangiate. Ma non chi ha coscienza, chi ha un’etica. Ma tante persone che quell’etica non l’hanno si sentono giustificate da questo: dicono che tanto deve andare per forza così perché non c’è tempo. Ma non è vero. Siamo noi che dobbiamo gestire il tempo nei nostri rapporti con figli, genitori, fidanzati, insegnanti. E’ questo che secondo me sta scadendo sempre di più, la qualità delle relazioni: tendiamo a svendere ciò che è il nostro patrimonio. Se ho talento non lo devo svendere e giustificarmi dicendo che non avevo tempo. Invece io devo andare in scena cercando di dare sempre il meglio, tutti i giorni. Quello che manca al giorno d’oggi, che si sta affievolendo, è il rispetto di noi stessi”.
In questi giorni sei al cinema con ‘Compromessi sposi’ con Diego Abatantuono. Un film in cui per la prima volta accetti di fare un ruolo quasi da spalla. Per te una novità assoluta.
“Innanzitutto bisogna dire che non sono io il regista, ma Francesco Miccichè. Il mio personaggio è comunque fatto in un certo modo, è di reazione: Abatantuono viene nella mia terra e con arroganza pretende di sopraffarmi e la mia reazione dev’essere comica.
A me non disturba comunque di fare la reazione da spalla. E’ capitato e mi fa piacere. Comunque sono scelte anche dei registi, degli sceneggiatori”.
Davvero ti fa piacere?
“Io le vivo sempre bene tutte le situazioni artistiche, se vedo nella sceneggiatura delle potenzialità di un buon prodotto. Quando faccio l’attore soltanto mi fa piacere eseguire quello che mi chiede il regista. Comunque anche la spalla può essere protagonista, basti pensare ad Aldo Fabrizi che è stato citato, a mio avviso impropriamente, avvicinando ‘Compromessi sposi’ a ‘Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi’”.
Com’è stata per te che sei autore e regista l’esperienza di attore cinematografico in oltre 20 anni? Con chi ti sei trovato meglio?
“Due più di chiunque altro. Mi ha trattato benissimo Carlo Vanzina che mi voleva bene perché gli piacevo proprio: sentivo l’affetto di Carlo mentre giravamo, si divertiva con me. Sono stato trattato benissimo anche da Roberto Cimpanelli in un film poco conosciuto che si chiamava in ‘Baciami piccina’, film che non ha avuto grande diffusione. Questi sono due esempi. Devo dire poi che sono stato benissimo anche da Tornatore in ‘Baaria’, dove facevo una parte piccola ma Giuseppe ci aveva messo tanta attenzione. Mi fa piacere essere chiamato da un regista, ma deve accadere perché gli piaccio non perché sono famoso. Secondo me un attore è un attore: lo vedi a teatro o in altri film e lo apprezzi per quello che è. Se ti piace non devi pensare di cambiarlo”.
Per quanto riguarda i tuoi film, a 21 anni da ‘L’amico del cuore’ a cui ha fatto seguito l’anno dopo ‘Amore a prima vista’ che bilancio puoi fare?
“Sono molto contento di alcuni miei film, altri invece mi farebbe piacere rigirarli perché forse non l’ho fatto come avrei dovuto. I primi due li ho girati benissimo, con tranquillità. ‘A ruota libera’, invece, è un film in cui forse mi sono lasciato prendere un po’ dall’entusiasmo, sono stato un po’ superficiale. Era scritto meglio di quanto non l’abbia girato, c’erano tante risate. Forse ero in un momento in cui c’era un'esuberanza eccessiva che mi ha fatto fare degli errori. ‘Volesse il cielo’ è un film che ha un’idea molto bella, però è venuto in un momento critico di Vittorio Cecchi Gori, per cui eravamo un po’ sbandati. Poi c’è stato ‘Cose da pazzi’ che col tempo mi ha dato grosse soddisfazione perché c’è un monologo di quel film, che tra l’altro andò anche bene al botteghino, che ha fatto più di 10 milioni su Youtube.
Un monologo sul comunismo che c'è anche nella commedia da cui era tratto, 'Lo strano caso di felice C.'. Il bilancio, comunque, col tempo è più positivo di quanto credessi”.
Quali sono i tuoi prossimi impegni cinematografici come regista e come attore?
“Per quanto riguarda un altro film da regista, che spero di girare l’anno prossimo, ti dico che ho 4-5 idee in mente, alcune tratte da commedie teatrali e altre originali. Nulla è ancora definito, né sceneggiatura né produttore. Come attore, invece, ci sono diverse chiamate ma non so se andranno in porto”.
Al di là del discreto successo, i film che hai tratto dalle tue commedie non sono al livello degli spettacoli teatrali. E’ così difficile portare al cinema una commedia teatrale?
“Le mie commedie sono molto comiche: quella comicità al cinema è impossibile da realizzare. E’ impossibile ridere come in teatro. Giovedì un uomo si è sentito male per le risate al Sistina. Mi dicono che anche in passato i vari Totò, Eduardo in teatro facevano ridere più che al cinema. A parità di commedia sicuramente si ride di più a teatro che al cinema. Non so, forse sono io che non sono capace. Mi farebbe piacere a questo punto che un regista, degli sceneggiatori, visto il successo di alcune commedie mie decidessero di farle diventare un film come succede negli altri Paesi. Non mi è mai capitato che un regista me lo chiedesse, per questo li dirigo io. Una volta, ai tempi d'oro di Aldo, Giovanni e Giacomo, sono stato tentato di chiedergli di fare un film da 'E fuori nevica'. Mi sarebbe piaciuto”.