AGI - Giovanni Allevi racconta con lacrime e sorrisi il suo viaggio dentro la malattia. Il dolore ma anche la scoperta di nuove e luminose parti di sé ed epifanie di bellezza sulla vita e di consapevolezza sulla morte. "All'improvviso è crollato tutto, il dolore era così forte che non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello e non sapevo ancora di essere malato. Ho perso molto: il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze ma non la speranza".
Da questa traccia è ripartito. "Era come se il dolore mi porgesse anche degli inaspettati doni. Vi faccio un esempio: a un certo punto ho notato una poltrona vuota e mi sentivo mancare eppure agli inizi facevo concerti per 15-20 persone ed ero felicissimo.Oggi non so cosa farei per suonare per 15-20 persone. I numeri non contano. Ogni individuo è unico e irripetibile e a suo modo infinito".
Il pianista evoca le sfumature delle "albe e dei tramonti che non si contano che ho ammirato dal letto d'ospedale", "la gratitudine per medici e infermieri, la riconoscenza per la ricerca scientifica senza la quale non sarei qui, il sostegno che ricevo dalla mia famiglia, la forza, l'affetto e l'esempio che ho ricevuto dagli altri pazienti guerrieri". A loro riserva un pensiero delicato: "Li ho portati tutti qui sul palco con me, anime splendenti, esempio di vita autentica".
E il finale, trepidante di speranza e consapevolezza, "liberatorio". "Sento che in me c'è qualcosa che permane ed è ragionevole che rimarrà e se le cose stanno davvero cosi'...". Allevi si toglie il cappello e spuntano i suoi "nuovi, bellissimi capelli" li definisce Amadeus, prima di accarezzare di nuovo il piano dopo un lungo ma fervido silenzio.