AGI - "Palermo è una città mitica. Si vive e si cammina su una stratificazione della storia. Si vede il passato, ma anche il passaggio del futuro". Aurelien Bory, folgorato da Antonello da Messina e dal 'Trionfo della morte', regala il suo sguardo su Palermo provando a restituire un racconto che come l'aratro possa smuovere le zolle della città e rimettere in circolo un nuovo humus, un nuovo terreno di pensiero e consapevolezza. Venerdì 20, alle 21, debutterà in prima mondiale al Teatro Biondo il suo "Invisibili". Prima tappa di una tournee che porseguirà in Francia, sin da gennaio quando farà tappa a Parigi.
Il coreografo e regista francese di fama internazionale, da sempre affascinato dalle contaminazioni linguistiche e culturali, 34 anni dopo "Palermo Palermo" di Pina Bausch, realizza per il Biondo, nei suoi 120 anni, uno spettacolo che nasce dalla sua "infatuazione" per la città. Invisibili è il risultato di diversi sopralluoghi del regista, di incontri con cittadini e artisti, di riflessioni sull'arte, la storia, le bellezze e le contraddizioni di Palermo.
"A Palermo - spiega Bory - l'invisibile risiede nelle tracce sui muri, nelle strade, ma anche nei canti e nei gesti tradizionali degli artisti che incontro. La storia di Palermo è attraversata da importanti sconvolgimenti, cambiamenti di paradigma provocati a più riprese da molteplici capovolgimenti, le cui tracce hanno finito per confondersi. Nel cuore del Mediterraneo, tra l'Africa e l'Europa, Palermo è un crocevia di miti antichi e racconti moderni".
Afferma di avere intravisto allora la possibilità di uno spettacolo che possa svelare questi spazi invisibili, di avere immaginato un fondale che riproduca il Trionfo della morte nelle sue dimensioni reali, sei metri per sei. L'affresco rappresenta la peste bubbonica, flagello della storia che ha duramente colpito la città di Palermo. E il regista ha immaginato l'affresco nel contesto attuale, che esprime i flagelli della nostra epoca: le morti dei migranti, la guerra, le catastrofi naturali.
Ma l'opera, avverte Aurelien Bory, "non tratta solo della morte, raffigurata al centro come un impressionante scheletro dalla risata sardonica, in groppa al suo cavallo emaciato, mentre è intenta a scoccare le sue frecce a piacimento e quasi per caso. Si tratta piuttosto della sua rappresentazione. Il pittore ci ricorda che l'arte non esisterebbe senza la consapevolezza della morte e che ricorriamo alle rappresentazioni per parlare di ciò che rimarrà per sempre a noi sconosciuto".
Sulla tela sono rappresentati artisti, musicisti, danzatrici... "sono esattamente gli artisti che ho incontrato per primi a Palermo". Innanzitutto Gianni Gebbia, sassofonista di fama internazionale, che ha lavorato con grandi artisti. Poi Chris Obehi, cantante nigeriano che ha iniziato la sua nuova vita a Palermo arricchendo il suo repertorio con canzoni in lingua siciliana.
E infine le danzatrici, che ha voluto vedere come le figlie di Pina Bausch: Valeria Zampardi, Blanca Lo Verde, Maria Stella Pitarresi, Arabella Scalisi. Con loro l'affresco al centro della scena, dice ancora il regista, "si anima e, attraverso la loro danza, assume un'altra dimensione. Per gli artisti l'immagine costituisce uno spartito drammaturgico vertiginoso, un insieme di scene invisibili che si offrono alla recitazione, a condizione che le si guardi ancora una volta, prima che l'affresco si sgretoli definitivamente e scompaia per sempre".
Uno spettacolo multidisciplinare di teatro, musica e danza, che a partire dal Trionfo della morte di Palazzo Abatellis e da altre suggestioni legate alla città di Palermo, sviluppa, dunque, un percorso poetico sulla funzione dell'arte, ma anche uno scavo sull'attualità, sulle relazioni, l'identità e la complessità del contemporaneo.