AGI - "Con le storie di questo libro apro le porte a un ambito della mia vita di cui non ho mai parlato. Con la letteratura la sensazione è di dover raccontare più cose di sé mentre nel cinema ci sono più possibilità di nascondersi”.
Il regista spagnolo Pedro Almodòvar si racconta in un’intervista al Paìs presentando il suo nuovo libro, “L’ultimo sogno”, e confessa, appunto, di avere la sensazione “di essere più esposto nelle mie storie che nel mio cinema”. Poi racconta della sua “vocazione precoce alla scrittura, fin da bambino, anche se questo non fa di me uno scrittore” al punto che, dice, “anche pubblicare questo libro non fa di me uno scrittore. Non me ne vergogno, penso che sia abbastanza interessante da poter essere letto ma scrivere è qualcosa di più grande. La grande letteratura è un'altra cosa. Voglio solo che le persone si divertano a leggermi. È il massimo che posso chiedere”.
Il giornale titola l’intervista in modo curioso: “Se non avessi lasciato la città, sarei finito in carcere e mi sarei suicidato”. E a questo proposito, Almodòvar spiega che “quello era per lui vivere in città”, una sorta di conto alla rovescia verso l’appuntamento con la morte, cioè “il disagio di vivere in un luogo a cui non mi sentivo di appartenere”.
Di questo racconta il libro, e “se non fossi uscito di lì sarei finito in galera o mi sarei suicidato”, aggiunge il regista: “A 17 anni ho detto ai miei genitori che sarei andato a Madrid. È stata l'unica grande discussione che abbiamo avuto. Mio padre mi disse che mi avrebbe denunciato alla Guardia Civil, perché ero minorenne. Gli ho detto di farlo se voleva, ma che stavo comunque per andarmene. Devono aver visto una determinazione tale che li ha fatti impazzire...”.
Insomma, per lui la città era sinonimo di morte. E aggiunge: “Penso sia bello che oggi ci sia un ritorno alla vita contadina. Ma essere un bambino in una città del dopoguerra era come vivere nel selvaggio West”. E oggi? “Ora però sono un cittadino irriducibile. Non mi verrebbe in mente di vivere di nuovo in un paesino”.
Almodòvar parla anche della sua diversità e precisa: “Quando in ‘Dolore e gloria’ dico che non sono il figlio che mia madre si aspettava e che mi dispiace essere stato una delusione, non parlo proprio di mia madre, ma della città, di come la città si presenta quando sei un bambino gay. Ancora non sai di esserlo, ma capisci benissimo cosa ti stanno dicendo. È molto difficile vivere quel rifiuto quando sei un bambino. Ti lascia un brutto segno addosso”.