AGI - I 90 anni di Quincy Jones celebrano una tappa importante nel percorso di vita di un artista poliedrico che ha segnato la cultura occidentale del ventesimo secolo, ma rappresentano, o dovrebbero perlomeno, anche un punto di arrivo per tutta un’intera industria musicale, una sorta di inevitabile checkpoint per studiare questo tratto di storia, un tratto di storia del quale Quincy Jones è stato assoluto protagonista.
Senza l’intervento di Quincy Delight Jones Jr., classe 1933, nato a Chicago, niente sarebbe uguale, specie per quel che riguarda la comunità afroamericana che lui ha sdoganato, di fatto, al largo pubblico statunitense e non solo. Basti pensare che stiamo parlando del produttore di “Thriller” di Michael Jackson, quindi del disco più venduto di tutti i tempi, e che organizzò e diresse tutta l’operazione “We Are The World”, probabilmente il più importante ed autentico featuring della storia della musica; per non parlare del ruolo di produttore (con qualche licenza attoriale) in “Willy il principe di Bel-Air”, che fu la sit-com che fece esplodere la stella Will Smith, certo, ma anche uno dei fondamentali passaggi televisivi nei quali la comunità di colore è stata raccontata in maniera più pop.
Una vita segnata dal destino
Una vita, a ripercorrerla oggi, davvero segnata dal destino, con la sua famiglia infatti decidono di lasciare Chicago per Bremerton, nei dintorni di Seattle, quando lui ha appena 10 anni, ed è lì che fa amicizia con un talentuoso pianista cieco, il suo nome è Ray Charles, e formano un duo con cui si esibiscono al Tennis Club della città, che oggi è uno dei più importanti templi del jazz della città, chiamato Pioneer Square.
Nel 1951 vince una borsa di studio al Berklee College of Music di Boston ma preferisce l’ingaggio di trombettista da 17 dollari al giorno con il leggendario Lionel Hampton. Resta con uno degli assoluti re delle big band jazz dell’epoca per quattro anni, non migliora molto con la tromba, non è che il talento in questo senso lo aiuti questo granchè, ma sviluppa un’innata capacità di ascolto, comincia a comporre canzoni e diventa famoso nell’ambiente tant’è che quando si trasferisce a New York le proposte di collaborazione gli piovono addosso, e a cercarlo sono nomi Betty Carter, Dinah Washington e, naturalmente, anche quel vecchio amico pianista non vedente.
Parigi e l'Europa
A cavallo tra anni ’50 e ’60 decide di trasferirsi a Parigi ma, più in generale, di girare l’Europa tentando di assorbire qualsiasi influenza musicale con la quale si trovi a contatto, il contatto in questo caso è Billy Eckstine, in quegli anni in tour nel vecchio continente, uno dei più grandi jazzisti dell’epoca, che lo vuole come direttore della sua orchestra, regalandogli lo status di nuova giovane promessa della scena afro jazz mondiale.
Il talento non manca ma mancano certamente i soldi per potersi mantenere, il conto è perennemente in rosso, così accetta la chiamata di Irvin Green, che lo vuole di nuovo a New York per dirigere la divisione cittadina della Mercury Records; così Quincy Jones entra forse per la prima volta a contatto con un universo musicale decisamente più pop, lavorando in quel periodo con nomi del calibro di Frank Sinatra, Barbra Streisand e Tony Bennett.
Il legame con l'Italia
Nel 1964 diventa addirittura vicepresidente della società, e non si tratta di una semplice promozione ma della posizione dirigenziale più alta mai raggiunta da un uomo di colore fino a quel momento all’interno dell’industria discografica americana; un aspetto fondamentale della carriera di Quincy Jones, che sostenne le attività di Martin Luther King e fu uno dei fondatori dell'Institute for Black American Music.
In quel periodo particolarmente felice si concede anche un’esperienza squisitamente italiana, infatti decide di collaborare al 45 giri di Tony Renis “Cara fatina/Lettera a Pinocchio”, inciso in ben sette lingue; e poi ancora nel 1973 torna nel nostro paese per lavorare con l’ormai dimenticata Lara Saint Paul ai singoli “Non preoccuparti” e “Adesso ricomincerei”, convocando in studio una serie di bravi musicisti, tra questi Tullio De Piscopo.
Da New York a Los Angeles
Sarà stata probabilmente questa instancabile voglia di immergersi nei più disparati aspetti del mestiere di producer che spinge Quincy Jones al salto da New York a Los Angeles e così dalla musica al cinema, scrivendo alcune delle colonne sonore più iconiche di quel periodo, da “La vita corre sul filo” (1965) di Sydney Pollack a “A sangue freddo” (1967) di Richard Brooks, da “La calda notte dell'ispettore Tibbs” (1967) di Norman Jewison a “L'oro di Mackenna” (1969) di J. Lee Thompson, fino alle musiche scritte per alcune trasmissioni televisive, tra cui i cult “Sanford and Son” e “The Bill Cosby Show”.
I grandi successi
In quel periodo Quincy Jones dà definitivamente addio alla tromba, nel 1974 infatti viene colpito da un aneurisma cerebrale che gli costò due delicati interventi e il divieto di soffiare ancora dentro il suo strumento per evitare pericolosi aumenti di pressione sanguigna intracranica.
Quattro anni più tardi arriva un altro incontro che si rivelerà fondamentale per la sua carriera, sul set di “The Wiz”, rifacimento funky de’ “Il mago di Oz” da quattro candidature agli Oscar, conosce Michael Jackson, che interpretava il ruolo de lo spaventapasseri, che lo convince a lavorare al suo prossimo album, il quinto della sua carriera, “Off the Wall”, che venderà ben 30 milioni di copie; un successo paragonabile a quello di “Bad” (45 milioni di copie), ma non a “Thriller” che toccò quota 110 milioni rendendo, di fatto, la coppia Quincy Jones/Michael Jackson la più vincente nella storia del pop mondiale.
Vincente e anche influente, come accade sempre nel mondo dello spettacolo quando si porta a casa un successo così travolgente; un potere che i due utilizzarono pochi anni dopo, siamo nel 1985, per realizzare un progetto sulla carta praticamente impossibile, un coro di 45 superstar assolute unite nel segno della musica e della beneficenza.
Parliamo chiaramente di “We Are the World”, che fruttò oltre 100milioni di dollari devoluti alle popolazioni dell’Etiopia, in quel periodo afflitta da una gravissima carestia; ma soprattutto un successo discografico senza precedenti. Quincy Jones al momento ha raccolto 26 Grammy su 76 nominations, nel 1991 ha vinto anche un Grammy Legends Award, ovvero un Grammy molto raro, che non viene assegnato tutti gli anni e che solo in 15 personaggi della storia della musica possono esporre in salotto. Personaggi come Andrew Lloyd Webber, Liza Minnelli, Aretha Franklin, Johnny Cash, Michael Jackson, Frank Sinatra, Elton John, i Bee Gees, gli ultimi ad averlo ricevuto esattamente vent’anni fa, e il nostro Luciano Pavarotti; e Quincy Jones, l’uomo che cambiò definitivamente la storia della musica afroamericana nel mondo.