Si Giorgia, no Ultimo, 'ni' Elodie. Le recensioni della settimana

Gabriele Fazio

Gianni Morandi feat. sangiovanni – “FATTI riMANDARE DALLA MAMMA”

“Fatti mandare dalla mamma” è una canzone assolutamente perfetta, per questo 60 anni dopo ancora oggi la cantiamo, la balliamo, un brano che abbraccia la totalità delle generazioni, dei target, talmente pop da non invecchiare davvero mai. Riproporla con sangiovanni, non propriamente una cintura nera musicale in termini di carattere, risulta operazione inutile e quasi mortificante. La produzione di Shablo, uno dei principali producer in circolazione, non è male, ma toglie via quella patina di vintage che invece secondo noi è proprio il segreto del successo di un brano meraviglioso. Divertente nei fatti, si, perché no?, basta provare a distrarsi mentre canta sangiovanni; ma concettualmente bocciata.

Ultimo – “Alba”

Il confine tra stile e incapacità di sperimentare, di andare fuori dalla propria comfort zone è piuttosto labile, spesso abbastanza indistinguibile. Ultimo è un artista certamente strutturato, che ha successo e che è facile spiegarne il motivo: è semplice e diretto, ha trovato una ricetta e ha scelto consapevolmente di riproporla costantemente, o perlomeno finchè il gioco funziona. “Alba” la canzone presentata nelle interviste alla stampa come se fosse “Imagine”, come se fosse quella giusta per raddrizzare le storture di questo mondo, è in realtà del tutto inconcludente e pretenziosa e se non fosse per quella forte fanbase, che televota di default, non sarebbe arrivata nemmeno a quel quarto posto, rubando uno slot a canzoni decisamente migliori (vedi alla voce Colapesce Dimartino, Coma_Cose, Madame…). L’album evidentemente non a caso si intitola “Alba”, perché in linea di massima rispecchia questa costante di Ultimo, che fin quando sta lì pianoforte e voce, ok, sa il fatto suo, non dice nulla che possa interessare un qualsiasi maggiorenne, ma è un successo accettabile, anche quando snervante nel suo essere così dannatamente ripetitivo nelle intenzioni; quando si avventura lontano, come per esempio in “Sono pazzo di te” o “Vivo per vivere” (a proposito, che titolo!), è un disastro totale.

Elodie – “Ok. Respira”

Il disco di Elodie è una delle più autentiche manifestazioni pop forse dell’intera storia della musica italiana, forse mondiale, probabilmente della storia dell’universo. Non si legga come se fosse una critica negativa, un lamento, un grido d’aiuto, perché il disco, benché di una noia mortale, condizione inevitabile quando pubblichi brani che non hanno la pretesa di comunicare alcunché, ma solo di funzionare a livello sonoro, radiofonicamente, non è nemmeno la cosa peggiore del mondo. Ma se sogni di diventare una sedicenne che campa di video su TikTok, diciamo che funziona meglio.

Giorgia – “Blu¹”

Se desiderate giocare a fare a gara a chi c’ha l’acuto più lungo con Giorgia, se vi aspettate il classicone sanremese eterno e definitivo, allora resterete delusi, un po' come, immaginiamo, sarete rimasti delusi da “Parole delle male”, presentata in gara a Sanremo; diciamo che avete sbagliato disco. “Blu¹” non sarà un album di immediata ricezione, ma è certamente un album sensato, che permette a Giorgia di portare la sua voce in un ambient perfino più giusto di quello comodo comodo delle “Come saprei” e “Gocce di memoria” e “Di sole e d’azzurro”. “Blu¹” è un disco fondamentalmente R&B, è un disco molto adulto, molto raffinato, meravigliosamente gourmet. Ci aspettiamo che, nonostante Giorgia, a ben ragione, sia amatissima dal pubblico generalista, questo disco non sia accolto come la salvezza in terra per gli uomini di buona volontà, ma tanto ormai dischi così non ne escono più e nemmeno ci sono là fuori tutti questi uomini di buona volontà, consci né desiderosi di dover essere salvati. Ma, attenzione, va bene così, Giorgia ha assunto un tale status artistico e non è che può star lì a pendere dagli umori dei bambini che ascoltano la trap, ormai è passata avanti, canta per noi adulti e a noi adulti piace sempre da matti.

Francesca Michielin – “Un bosco”

“Un bosco” parte come una semplice pop ballad voce e pianoforte e man mano cresce, come un mostro che prende forma e si fa sempre più grande. Questo mostro forse è la nostalgia, il ricordo, quando tutta quella voglia di tornare indietro nel tempo, di rimediare ad errori fatti tanto tempo fa, diventa soffocante, ti sovrasta come una cascata, lasciandoti lì, inerme, mentre la musica ti surclassa, ti avvolge, in un crescendo di rara fattura. Bravissima.

Levante – “Opera Futura”

Il motivo per cui giudichiamo i lavori di Levante, tutti, dagli esordi come raro esemplare di voce femminile nell’universo indie, fino agli exploit sanremesi, è che ogni singola parola messa in musica ha sempre avuto un senso logico ben preciso; Levante non è mai andata oltre il proprio universo, che in fin dei conti è una forma di rispetto nei confronti di chi la segue. “Opera Futura” è un disco/confessione, dieci brani nei quali la cantautrice siciliana apre le finestre di quello che ci arriva come un tormento, una rivoluzione intima forse rispetto alla crescita, alla maturazione, che non è una cosa che tutti prendono benissimo. Diversi i brani che ci hanno interessato, forse anche più della stessa “Vivo”, presentata al Festivàl, come “Mi manchi”, “Fa male qui” e “Mater”. Lì in mezzo, dobbiamo essere onesti, non si nasconde un capolavoro, ma si tratta di un nuovo passo nella carriera di un’artista che merita ogni attenzione; preferivamo la Levante di “Alfonso” o “Pezzo di me”, più ironica, dai colori più vivaci? Si. Ma se andando avanti nella vita si ritrovasse a cantare sempre e solo quella roba lì, allora si tratterebbe di un fallimento e Levante non è un fallimento, è un’autrice vera.

Lucci feat. Gemitaiz – “Deja Vu”

Piccola grande perla di conscious rap, un confronto in barre tra due amici che buttano sul tavolo le proprie fragilità. La notizia è l’uscita di un singolo di Lucci, uno dei più forti del rap game ma bagnato poco, perlomeno rispetto a quanto meriterebbe, dal successo del genere in Italia; ma parliamo di uno che ti stropiccia l’anima con un paio di versi.

LDA – “Quello che fa bene”

Un album senza capo né coda, in cui tema centrale è il famigerato ammmore, che ormai nella storia ha infranto più orecchie che cuori, ma affrontato con una tale superficialità, non freschezza giovanile, superficialità, che non lascia spazio di manovra nemmeno per essere vagamente indulgenti, del tipo “So’ ragazzi!”. Niente, è un prodottino buttato sul mercato per alimentare quella notorietà televisiva racimolata tra Amici e Sanremo. LDA spesso l’abbiamo sentito lamentarsi del fatto di essere trattato male in quanto figlio di Gigi D’Alessio; no, c’è un equivoco, la proposta è talmente bassa, leggera, ininfluente, ammiccante, che uno esce dall’ascolto rimbambito e nemmeno si ricorda il nome dei propri genitori, figuriamoci dei suoi.

VillaBanks feat. Tony Effe, Slings e MamboLosco – “Il Doc 3”

Una offensiva sequela di porcherie, proposta senza alcuna ironia, senza nemmeno provare a buttarla in esercizio di stile, talmente accecante che offusca pure il lavoro in fase di produzione di quel genietto di Andry The Hitmaker. Ma la cosa che da più fastidio è che certi prodotti, che facciamo davvero fatica a chiamare “canzoni”, magari ci fanno apparire come vecchi tromboni che non percepiscono il potenziale linguistico, musicale, letterario, poetico, del rap; proprio noi che viviamo un costante senso di hangover e siamo sempre sull’orlo dei guai, che non riusciamo a guardare alla vita oltre dopodomani e chiamiamo amici solo disadattati e sociopatici di altissimo livello e grandiosa bellezza. Cari ragazzi, insomma, per intenderci, qua nessuno è boyscout, qua parliamo di musica e contenuti. Scadenti.

Leo Pari – “Giorni no”

“Giorni no” parla di quei giorni no, quelli durante i quali sembra che niente, dalle cose più insignificanti alle più impegnative, ti riesca come si deve. In qualche modo è anche un grido d’aiuto sviscerato con questo sound che ci riporta indietro di una decina d’anni a quelle atmosfere indie che cominciano a mancarci pesantemente, soprattutto perché estremamente autentiche. Ecco, “Giorni no” è autentica, Leo Pari non nasconde la malinconia nel cantato, rendendo liberi, noi che ascoltiamo, di sentirci giù di corda anche noi. Che poi, quando hai quelle giornate no, o ascolti musica che in qualche modo, piano piano, ti risolleva, e in questo senso “Giorni no” mica male, oppure vuoi compagnia, solo una spalla dove appoggiare la testa mentre in tv scorrono immagini che non segui. Tutto vero. Bravo.

Colla Zio – “Rockabilly Carter”

Se avete seguito i Colla Zio a Sanremo e vi sono piaciuti allora probabilmente non siete proprio adulti adulti, diciamo che probabilmente avrete un bel pezzo di vita davanti a voi e noi ne siamo chiaramente lieti; a questo punto però vi autorizziamo a buttarvi serenamente in questo disco che è ricco, ma proprio pieno fino all’orlo, di tutti quei colori, quell’incoscienza, quella leggerezza, quella dannata giovinezza. Il disco fila che è un piacere perché pensato con gusto e raziocinio, perché si da largo spazio all’estro dei ragazzi ma senza lasciare da parte la struttura, affinchè i pezzi funzionino, arrivino, suonino. Niente di significativo, ma se uno cerca qualcosa di significativo, che possa illuminarlo sulla via, e mette su un disco dei Colla Zio, allora il problema è suo.

Finley feat. Naska – “Porno”

Si si, proprio quei Finley lì; che nel 2015 volevano diventare star e invece oggi, otto anni dopo ma, dobbiamo ammetterlo, sembrano molti di più, ci propongono questa “Porno”, sempre con quella vena pop punk di “Diventerai una star”. Bisogna dire che il sound è talmente vicino tra i due pezzi, nonostante il tempo passato, che uno, così, ascoltando, potrebbe quasi fare un frullato nella testa e verrebbe fuori un unico brano sulla speranza di diventare una star, ma del porno, il che va benissimo, è certamente più facile che diventarlo nel mondo della musica, specie se passano gli anni ma alla fine la proposta resta sempre la stessa. E non è sto granché significativa. Chi non muore…!

Qualunque – “32 Denti”

Bravo Qualunque, il sorriso a 32 denti che chiede nel brano, lo ottiene in chi ascolta. La sua indie ballad respira, ti permette di chiudere gli occhi e farti accarezzare da una poetica che non ha fretta, che non ricerca l’attenzione di chi ascolta, come succede nei grandi brani, ma vive di ciò che deve, arriva dove deve arrivare, senza strafare, senza accelerare, senza dimenarsi in inutili barocchismi musicali. C’è, semplicemente, sta lì; e menomale.

Scrima – “Puttane”

In realtà il titolo non riflette il ragionamento composto che Scrima porta avanti nel brano, in cui si chiede fondamentalmente quale sia il modo migliore per far convivere il ricordo della vita con una donna e la sua assenza, senza che il mondo finisca per rotolare sotto le scarpe. Un brano particolarmente efficace. Bravo.

Davide Diva – “Centrale nucleare”

La centrala nucleare utilizzata come metafora per un’esistenza sempre sull’orlo della pericolosità, qualcosa che conserviamo nel cuore sempre pronta ad esplodere, a radere al suolo ogni cosa. E chissà se l’adrenalina che ne consegue, quella paura di sottofondo che mai ci abbandona è qualcosa che ci fa andare avanti o ci blocca, ci pietrifica, lì dove siamo. Bravo.

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