AGI - Se Amadeus avrà avuto ragione lo sapremo, di fatto, solo nelle prossime settimane, quando i brani che ha scelto per il suo quarto Festival della Canzone Italiana di Sanremo si stiracchieranno in radio e sulle varie piattaforme. Il pubblico è sovrano nella musica, e lo sarà sempre, perché la musica vive di stream e di biglietti dei concerti staccati, quindi non facciamo fatica a definire, in realtà, la gara di Sanremo appena iniziata. I dati in mano oggi ci dicono che non c’è stata storia: Marco Mengoni con “Due vite” ha convinto tutti, dalla sala stampa al televoto, fino alla famigerata giuria demoscopica, alla quale, negli anni, nessuno ha mai saputo dare una definizione precisa ed esaustiva. Se tutte le votazioni fossero rimaste in mano al pubblico sarebbe cambiata solo la seconda posizione, che sarebbe finita nelle mani di Ultimo, forte di una fanbase che lo appoggia (e vota) a prescindere, pur avendo proposto un brano che non spicca in un repertorio già abbastanza ridondante di suo.
Ma “Alba” non è il brano che resterà di questa 73esima edizione di Sanremo e, come spesso accade, probabilmente non resterà nemmeno la canzone vincitrice, “Due vite”, un brano meravigliosamente complesso, dai tratti definitivi, che trascina la melodia alla quale, come popolo, come nostra cultura, siamo maniacalmente affezionati, verso accenni di contemporaneità; cosa che a Mengoni viene benissimo. È giusto che abbia vinto “Due vite” ma nessuno probabilmente si toglierà dalla testa quel “Ma che mare?? Mache mare??” del duo Colapesce Dimartino, nettamente il migliore scelto quest’anno da Amadeus. I due cantautori, che avevano già vinto senza vincere un paio di anni fa con “Musica leggerissima”, trasformato a sua insaputa dal pubblico in un tormentone, in vista del loro esordio cinematografico, ci riportano nella loro dimensione, una capacità riservata solo ai grandi; ed è una dimensione fatta di ironia e dramma, di alta poetica che poi si scioglie in un pop ficcante e significativo. Esce vincitore dal Festival di Sanremo certamente Lazza, che strappa un secondo posto costruito con furbizia.
Lazza è un rapper, e fin qui nulla che non si sia già visto sul palco dell’Ariston, solo che la sua partecipazione quest’anno contribuisce ad una narrazione del tutto inedita, che prende il testimone da Salmo che riempie San Siro e Marracash che vince la Targa Tenco come miglior album dell’anno. Con questo secondo posto quella “wave”, così come si definisce in gergo, di fatto si prende, se non il premio principale, certamente i riflettori dell’ultimo baluardo della canzonetta all’italiana. Tutto corretto; i nostalgici della tradizione cantautorale, così fortemente ancorati a quell’idea di musica lì, poetica e sociale, dovranno arrendersi all’idea che i nuovi “grandi” della musica italiana è lì che vanno cercati e, con un po' di fiducia, trovati. Certo, non si può dire che “Cenere”, il brano portato in gara da Lazza, sia esattamente riflesso di quello che la principale scena rap italiana solitamente propone; si tratta di un brano in cui il rap fa timidamente capolino in una composizione pop, e non certamente il contrario. Ecco, appunto, il rap; dettaglio da analizzare con preoccupata attenzione: soltanto venerdì, ovvero durante la serata delle cover, sul palco del Festivàl sono saliti Lazza, Salmo e Izi. Lazza era in gara e quella sera duetta con Emma, Salmo al festival è andato in qualità di superospite dalla nave ormeggiata al largo di Sanremo, ma poi ha anche calcato le assi delll’Ariston per far da spalla a Shari, prodotto della sua scuderia; e poi ancora Izi, genietto della scena genovese, che invece nei duetti ha accompagnato Madame.
Fermiamoci qui, parliamo di tre fenomeni veri del rap game italiano, tutti e tre coinvolti nei meccanismi dello show, nessuno dei tre ha minimamente accennato delle barre rap. È come se Sanremo, con quel carico di hype, spegnesse il coraggio, è come se riuscisse a modellare, a domare, chiunque si presenti lì. Lazza con Emma (forse la più pop tra le scelte immaginabili) canta “La fine”, un brano scritto da Nesli e portato al successo da Tiziano Ferro, si converrà, non la più underground delle storie; Salmo insieme a Shari annunciano un medley di Zucchero e mentre tutti si aspettavano uno stravolgimento di “Diavolo in me”, lui, semplicemente, la canta. Anche Izi canta, in questo caso “Via del Campo”, senza accennare niente che ricordi anche vagamente una rima. L’unico personaggio del Festival che si lancia in un rap, perfino originale, scritto ad hoc, è Fedez, che tra l’altro ci tiene a specificare ogniqualvolta può, di non essere un rapper, di non considerarsi tale; e invece non solo ci regala una composizione di livello, ma fa scoppiare anche una delle più rumorose polemiche dell’edizione, quando strappa la foto del viceministro Bignami vestito da nazista, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa con il nemico giurato Codacons e quindi, di fatto, regalando un’esperienza davvero rap.
Ma allora, viene da chiedersi, il Festival di Sanremo è davvero un macchinario così gigantesco da disinnescare qualsiasi disobbedienza? È possibile che l’unico a fare un passo più in là sia Fedez e solo perché la percezione comune è che tra la Rai e lui, il colosso sia lui? Quale altra spiegazione può esserci in una squadra di rapper che non rappa mai? Nella lista manca naturalmente Mr. Rain, un ragazzo che ha fatto faville in questi anni in rete, ma che la sua morbidezza non ha mai fatto nemmeno percepire al pubblico che si trattasse di un rapper. Tant’è che si presenta all’Ariston accompagnato da un coro di bambini che, prima di tutto, gli permette di esibirsi sempre prima della mezzanotte, un vantaggio mica da ridere in un concorso che ospita 28 canzoni e che, quando è andato bene, ha chiuso entro le due di notte. Significa non solo trovare il pubblico ma trovarlo anche discretamente sveglio e recettivo. Tornando alla gara, Giorgia viene considerato un flop, questo naturalmente per chi fosse rimasto affezionato a quella degli anni ’90, per chi si aspettasse da lei una sequela musicalmente logica di acuti; ma Giorgia non è evidentemente più stimolata da quella visione, altrimenti non avrebbe cominciato a lavorare con il maestro Big Fish, uno dei producer storici della old school rap italiana. Un altro brano che certamente andrà benissimo in radio è quello di Elodie, che comunque in vetta alla classifica dei brani più trasmessi in radio ha praticamente preso casa. Elodie, compresa l’esibizione con BigMama nella serata dei duetti, ha dimostrato di essere la regina assoluta della pop music all’italiana, che poi è una pop music che scimmiotta un po' lo stile statunitense. Si tratta di un pregio che lei porta avanti con grazia, peccato che i brani, essendo privi di anima, privi di consistenza, poi svaniscano nel nulla dopo pochi mesi; peccato perché lei sarebbe capace di molto di più, la prima posizione in radio è comunque un accontentarsi.
Questo Festival di Sanremo ci consegna anche la meravigliosa “Tango” di Tananai, l’anno scorso ultimo in classifica e da lì una risalita impressionante; il brano, accostato al videoclip, risulta essere praticamente illegale, spezza il cuore, impossibile non amarlo. Sarebbe un peccato se il Festival di Rosa Chemical sia rovinato dalle manifestazioni provocatorie, che fanno parte della proposta artistica, ma non ne rappresentano l’essenza. C’è la musica, ci sono i contenuti, espressi alle volte con un mood molto cafonal, alle volte con un’intensa e contagiosa ironia, ma “Made in Italy” è un brano vero, non una parodia, non una rottura degli schemi liturgici del Festival; se restasse solo un bacio, si provocatorio, a Fedez, ci perderemmo tutti qualcosa di speciale. Anche Madame e Coma_Cose non sono stati capiti; hanno entrambi portato brani molto intensi, non molto differenti, in termini qualitativi, da “Voce” e “Fiamme negli occhi”, che sempre da Sanremo, anni fa, hanno fatto esplodere i rispettivi progetti musicali. A questo giro sembra che l’Italia da quell’orecchio non ci volesse sentire e non li ha votati. Un peccato vedere così bassi nella classifica finale anche Ariete con il pezzo scritto insieme a Calcutta e Leo Gassmann, con il pezzo scritto insieme a Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari; la prima è come se si fosse trovata a nuotare in acque ancora troppo alte per lei, ciò che funziona così meravigliosamente bene nel privato della sua comfort zone, sembra che non sia di facilissima ricezione per il grande pubblico. Il secondo non è mai stato così in forma, mai stato così centrato, così presente, il brano portato in gara è molto azzeccato e lui lo canta con divertito trasporto, ma il pubblico non lo premia. Due storie a parte gli Articolo 31 e Gianluca Grignani, che hanno partecipato alla gara senza la necessità artistica di trovarsi dentro una gara, incastrati in una classifica. J-AX e Dj Jad hanno accettato quel Festival di Sanremo a lungo in gioventù preso per i fondelli (ma si trattava di un altro Festival che orbitava in un universo musicale del tutto passato) per chiudere un cerchio, tra di loro, con il pubblico, con Fedez (loro ospite nella serata dei duetti). Gianluca Grignani invece sentiva di dover cantare una struggente lettera al padre da quel palco; una canzone dalle tinte molto forti e crude, che però già dal secondo ascolto in poi mostra delle evidenti lacune. E infine i giovani: tutti i ragazzi promossi da Sanremo Giovani alla gara tra i big, sono racchiusi, tutti e sei, nelle posizioni che vanno dalla 20 alla 28, segno che il loro apporto al Festival non è che sia stato così fondamentale.
Tra questi a distinguersi è giusto gIANMARIA con la sua “Mostro”, un brano poco ruffiano che non vuole accontentare quel pubblico televisivo che lo ha già appoggiato ad X Factor. Bene anche Shari, anche se tutto il suo percorso è stato condizionato da un’emozione di fondo che non ne ha fatto brillare le indubbie qualità. Tutti gli altri ragazzi hanno cantato sul palco dell’Ariston la propria canzone, tutte più o meno gradevoli, nessuna capace di lasciare alcun segno. C’era allora bisogno di allungare la lista dei convocati a 28, rendendo queste cinque serate alle volte fisicamente intollerabili? Con il senno di poi, certamente no. Vedremo se l’anno prossimo Amadeus imparerà la lezione o, così come ha fatto in questi anni, calcherà l’acceleratore e aumenterà le canzoni in gara. In fondo ne avrebbe diritto, i numeri ci dicono che ha ragione lui. Vedremo cosa diranno i dati sulle vendite, riguardanti i tour, vedremo quante di queste facce rivedremo e quante sono state piazzate nel cast giusto per soddisfare il più ampio target possibile e la musica, quella buona, se c’è stata, è stato solo un colpo di fortuna accessorio. Ce ne accorgeremo più o meno quando sarà il tempo di andare al mare; “Ma che mare?? Ma che mare??”.