AGI - Due film in uno, un’opera lunghissima e a tratti magnifica, quella che ha realizzato il regista americano Damien Chazelle, già premio Oscar per ‘La La Land’, che nella sua ultima fatica, ‘Babylon’, in sala dal 19 gennaio per Paramount, ha raccontato alla sua maniera la nascita del cinema in America. La nascita di Hollywood, quando nel deserto di Los Angeles un gruppo di persone ha iniziato a fare cinema in maniera creativa, semplice e assolutamente folle. Una pellicola, interpretata da due superstar in stato di grazia, Brad Pitt e Margot Robbie, in cui Chazelle non fa sconti a nessuno e ripercorre la strada tracciata da Kenneth Anger nel suo celeberrimo ‘Hollywood Babilonia’, raccontando gli albori del cinema muto e il traumatico passaggio al sonoro che ha spazzato via come uno tsunami i divi dell’epoca, travolti dalla novità.
La pellicola non ha avuto un’accoglienza troppo calorosa ed è stata quasi snobbata nella notte dei Golden Globe (ha vinto solo per la miglior colonna sonora originale a Justin Hurwitz). Il motivo, racconta il regista, è che in America “provocare il risentimento e fa arrabbiare le persone” perché “dà fastidio e fa il contropelo a quel mondo raccontato sempre da Hollywood in superficie” in maniera indulgente se non addirittura idilliaco.
Cosa rappresenta’ Babylon’ per lei?
“Sono felice di portare il film a Roma. Questo film ha preso ispirazione da molte delle opere di Fellini, la ‘Dolce vita’ per esempio. Voglio offrire una panoramica della società di Hollywood: come si lavora e come ci si diverte. Volevo esaminare questo periodo della storia di Hollywood attraverso il prisma del divertimento e del lavoro. Come un ciclo: attraverso i set, attraverso le feste. Alla fine l’obiettivo è di dare l’idea di cosa ci fosse sotto la superficie: speranza, politica, tragedie, sogni infranti, ecc.”.
Si sente più vicino al personaggio di Brad Pitt o a quello di Margot Robbie?
“In ogni personaggio ho tentato di mettere qualcosa che mi riguardi e che è in un certo senso il risultato dell’esperienza di un certo momento. Nello scrivere i personaggi scuramente c’è stato l’eco di alcuni aspetti che mi appartengono. Ho cercato di mettere in ogni personaggio un aspetto personale, ma nulla di diretto. Sono tutti personaggi che mi appartengono, il gruppo di personaggi sono me per qualche aspetto. Era un modo per esprimere me stesso”.
Nel film racconta il mito della Hollywood del cinema muto. Com’è cambiato questo mondo da allora?
“Quello che è andato perduto è la libertà, ma è anche comprensibile. Era esercitata nei primissimi giorni e lo vediamo nei film muti, raccontati e rappresentati in questo film. E’ intrinsecamente legato al fatto che Hollywood era qualcosa di nuovo. Era considerata una forma d’arte volgare, forse neanche una vera forma d’arte. Los Angeles era considerata la città folle, frontiera del Wild West dove i pionieri avevano quello che volevano. Era un’esplosione di creatività. Abbiamo molto da imparare a quel periodo. Oggi a Hollywood c’è tanta paura, conformismo, moralismo puritano. Gli artisti dovrebbero esprimere tutto questo e dovrebbero rivendicare la libertà soppressa. Questa storia lo racconta in forma evolutiva. In questi 15 anni Hollywood è cambiata moltissimo”.
Il film compie un brusco cambiamento negli ultimi 45 minuti, si passa dalla commedia alla tragedia in salsa noir, quasi horror.
“Dall’inizio avevo l’idea era di fare un film che si trasformasse in un altro film anche in termini di ritmo, di genere e di stile. Volevo riflettere il momento in cui la società si trovava. Volevo passare dalla commedia alla tragedia. Man mano che scrivevo la sceneggiatura, però, mi sono reso conto che questo livello di esuberanza della commedia si dovesse trasformare in tragedia, ma mi sono reso conto che non era sufficiente. Per cui ho pensato che servisse qualcosa di molto violento, quasi horror. Così l’apice della festa, del party, è contrapposto alla caduta: dal cielo all’inferno. Un po’ come andare verso l’alto e scendere negli inferi. Nell’ultima parte in cui parliamo degli anni ’50 volevo far vedere allo spettatore una cosa che facesse riflettere su cosa era stato e rappresentasse la sintesi di quello che era avvenuto fino ad allora”.
‘Babylon’ è stato accolto tiepidamente negli Usa, snobbato anche dai Golden Globe (ha vinto solo per la colonna sonora). Andrà meglio in Europa?
“Sapevo che il film avrebbe suscitato determinate reazioni in America. L’idea era di dare fastidio, di fare il contropelo alle persone, provocare il risentimento, far arrabbiare le presone. Questa era la mia aspettativa: realizzare un film controcorrente. Anche per questo ci ho messo tanto tempo a farlo e a trovare chi lo finanziasse. Siamo stati fortunati di trovare a Hollywood un posto dove poterlo girare. Sono anche grato alla Paramount che ha rischiato sapendo che il film era difficile. Sono stati coraggiosi a sostenerlo e non mi hanno mai fatto pressioni. Mi sono sentito libero e protetto, non ho dovuto annacquare o filtrare qualcosa del film. Mi rendo conto che è uno shock, ma era importante che si facesse un film che andasse a scavare nel profondo, perché oggi si mostra sempre la patina superficiale quando si parla degli esordi di Hollywood”.
Cosa si augura per il suo film?
“Spero che il film possa trovare il suo pubblico e possa suscitare dibattito, discussione, risvegliare gli animi, non semplicemente scivolare via. Ho fatto questo film sperando che facesse rumore. Ora non mi appartiene più, diventa del pubblico, di chi lo guarda. Io ho fatto quello che sentivo di dover fare e adesso lo lascio giudicare al pubblico. Io sono contrario a rimaneggiare i film, non mi piace il ‘director’s cut’. E’ come lasciare che un figlio vada via di casa, l’hai creato tu ma ora deve andare con le sue gambe, gli starai sempre vicino ma non ti appartiene più”.
Spieghi perché ha deciso di girare scene piuttosto sgradevoli.
“E importante cercare di mostrare quello che Hollywood è spesso troppo brava a nascondere, a infilare sotto il tappeto. All’epoca il cinema non era visto come oggi, ma qualcosa di criminale, di basso, di volgare, di pornografico. Era parte del Dna dei film mostrare la volgarità, lo sporco se così si può dire. Per andare a rivendicare quegli elementi della reputazione di cui godeva, già nel titolo mi rifaccio a quell’idea – peccato, vizio – descritto e definito, non solo come Babilonia, ma anche altri riferimenti biblici come Sodoma e Gomorra. Hollywood era nata ancor prima di Las Vegas, era il luogo di nascita dell’industria nuova che veniva creata da immigrati, criminali, reietti, persone ai margini della società che vanno a costruire qualcosa nel mezzo del nulla. Corrisponde anche all’idea di questa follia andare a costruire una città nel mezzo del niente. In quanto alle scene sgradevoli, le rivelo che quelle più estreme che ho girato sono state ammorbidite perché se avessi mostrato la realtà dell’epoca, le assicuro che il film non sarebbe mai uscito”.
Come è cambiata la vita con l’Oscar vinto nel 2016 per ‘La La Land’?
“I premi non mi hanno cambiato la vita a livello personale, ma di certo non penso che ci sarebbero stati Studios disponibili a finanziare ‘Babylon’ senza quei premi. Aiutano ad aprire molte porte”.
Qual è stato il suo rapporto con Margot Robbie sul set?
“Margot Robbie è una forza della natura, è disposta a fare tutto. Lei paragona la recitazione a essere un animale: per ogni ruolo che interpreta è come se abitasse in lei un animale. Al contempo è anche un attore di grande disciplina, in grado di girare 12 ciak uno dietro l’altro e di piangere davvero con un occhio solo come fa nel film: ha una grande tecnica, cosa rarissima se combinata al suo essere selvaggia. E’ stato sorprendente lavorare con lei: basta cerare un ambiente in cui si sente al sicuro, supportata. Abbiamo girato e improvviato girando ciak su ciak”.
Qual è a suo giudizio il futuro del cinema al tempo dello streaming?
“Vediamo che il film finisce nel 1952 e, se andiamo a vedere nel contesto, ci rendiamo conto che ci sono molti film dell’epoca che contengono la paura che il cinema stesse morendo. Molti film di quegli anni portano questo timore: che la tv avrebbe sostituito i film in sala. In realtà il cinema non è morto. E’ morto forse il sistema degli Studios che comunque è stato sostituito da qualcos’altro. Io sono ottimista: c’è un continuo ciclo di nascita e morte ma c’è una continua costante evoluzione. Hollywood continua a cambiare, muore e rinasce. Si dice da sempre che il cinema è morto, ha cominciato nel 1892 lo stesso Lumiére. In una gigantografia che ho a casa del 1952 con Marylin Monroe c’è il titolo: il cinema è morto?”
Che ne pensa del 3D in sala?
“Può essere qualcosa di interessante come molti strumenti che il cinema ha usato nel corso dei decenni per fornire allo spettatore un’esperienza diversa. Pensiamo all’avvento del cinemascope, del whitescreen, tutti espedienti per convincere il pubblico a tornare in sala. Ci sono altre cose che arriveranno in futuro. Credo che poi sia responsabilità dell’artista di utilizzare questi strumenti come una novità, non come trucchetti che non aggiungono nulla al valore, cosa che è arrivata invece col suono, col colore, col cinemascope. Il 3D può fare la differenza nelle mani di Cameron che dà un valore estetico, forse meno nelle mani di altri. E’ come un pittore che se ha tanti colori riesce a esprimersi meglio. Si tratta spesso di una transizione difficile. Ricordiamoci che il cinema non è qualcosa di vecchio e invece se paragonato alle altre forme d’arte è giovane e non abbiamo ancora esplorato tutte le possibilità e le innovazioni che può dare”