AGI - Roberto Angelini, uno dei migliori chitarristi italiani, torna dopo molti anni al cantautorato, mette faccia e voce su canzoni sparpagliate come appunti di un viaggio lontano nel tempo, di quelli che lasciano solo meravigliose cicatrici nella memoria.
Un diario che intitola “Il cancello nel bosco”; dodici brani nei quali viene fuori tutta la delicatezza dello sguardo di Angelini sul mondo, dove si ferma la pulizia dei brani cantati, portati a casa con il mestiere di chi sa esattamente ciò che fa, arrivano gli strumentali, meravigliosi, che ti regalano un sospiro verso il soffitto, una parete bianca da riempire di flashback, una colonna sonora per la propria intima dispersione dei pensieri.
È un disco molto coraggioso…
Almeno quello mi resta (e ride) il coraggio non mi costa nulla: sono il mio discografico, il mio editore, devo rendere conto a me stesso e quindi faccio quello che mi andrebbe di fare. Quando è stato il momento di comporlo ho pensato che a fare un disco solo di canzoni mi sembrava di essere un anzianotto che cercava di fare il giovane, mi sentivo un po' a disagio, allora inserire dei pezzi strumentali, un po' da film, mi faceva sentire più vicino a quello che sono io. Alla fine i dischi si fanno per la gioia di farli e perché questi brani era triste tenerli dentro un hard disk.
Tra l’altro i brani strumentali sono anche importanti in questo disco, perché è tuo figlio quello che suona…
È mio figlio Gabriele quello che suona, gli passo simbolicamente il testimone. Sempre in questi hard disk avevo registrato questa sua canzone e ho pensato: “Cavolo, questo ragazzo ha qualcosa di speciale”, magari un giorno farà il musicista e potrà dire che un suo brano è stato pubblicato quando aveva 12 anni.
Adesso quanti anni ha?
Quindici
E come cresce un 15enne figlio di un musicista come Bob Angelini?
Lui è cresciuto con questa fascinazione per il piano e lo suona senza nessuno sforzo, io non ho mai spinto, conosco le regole di questo mondo, che se qualcuno ti spinge a fare qualcosa poi c’hai il rigetto. Noi non abbiamo fatto nulla, ad un certo punto lui ha cominciato a farmi sentire delle cose che faceva, io quando le cose erano belle, e devo dire che lo erano spesso, glielo dicevo. Poi mi ha chiesto lui di fare delle lezioni di piano ed io non faccio altro che ascoltare quello che lui fa e non ho niente da dirgli, è lui che ha da dire a me.
Aiuterà certamente essere figlio di un grande musicista…?
Non è che se sei “figlio di…” vuol dire nulla, sicuramente parti avvantaggiato perché hai degli strumenti a casa, un ambiente pieno di dischi, la passione viene trasmessa, ma poi c’è qualcosa che ogni individuo personalmente ha. In questo senso io lo tratto come un individuo, è sempre mio figlio, gli voglio sempre un bene dell’anima, ma non faccio il padre padrone…anzi, comincio a rosicare perché fa con facilità delle cose che non riesco a capire. Se questa è la sua strada sicuramente lo aiuterò laddove c’è bisogno di aiutarlo.
Ci hai mai sperato che diventasse un musicista?
Io ho sempre sperato che una passione qualunque, non per forza la musica, lo prendesse forte, in maniera tale da accompagnarlo da quando è più piccolo. Perché è questo che nella mia vita mi ha permesso, a 46 anni, di essere ancora un po' bambino, a fare quello che mi piace durante il giorno, ed è una fortuna. Quando cresci cominci ad essere un po' malinconico, ma continuare a vivere di musica per me è un miracolo.
La tua esperienza in effetti, oltre ad essere lunga è anche varia: c’è la musica in prima persona, come cantautore, c’è la musica come chitarrista, c’è l‘esperienza in tv con Zoro. Ma la musica resta ancora un tuo sogno? Perché sembra che tu lo abbia realizzato già da tempo in tutti i modi possibili
Bisogna capire bene chi sei tu, cosa ti rende felice e cosa sai fare meglio. Io sono insopportabilmente difficile da catalogare, non mi sopporto nemmeno io, mi gira la testa, ma ho capito, per esempio, che produrre non mi piace, preferisco l’estemporaneità del suonare, amo di più suonare con gli altri piuttosto che stare chiuso in uno studio. Come ti dico sinceramente che amo di più stare all’interno di un gruppo e non per forza al centro, ma anche in maniera laterale, piuttosto che mettermi io nella posizione di essere il cantante. Per questo probabilmente è passato così tanto tempo dall’ultimo disco, perché questa urgenza di mettermi al centro del palco a cantare le mie cose piano piano si è affievolita. Se mi chiedi che sogni ho, ci sono tanti progetti per il futuro, dei quali si parla con gli amici, vedremo quello che arriva, non vivo neanche di sogni irrealizzabili, quello che viene lo faccio con piacere.
Non ti piace fare il produttore però hai prodotto un disco, l’ultimo di Niccolò Fabi, “Tradizione e tradimento”, che è un capolavoro
Eh vabbè, ma lì c’è la materia prima, Nic è un fuoriclasse! Era un’esperienza particolare vissuta in produzione insieme a lui e a Pier Cortese, ma lì è stato divertente, avevo anche meno responsabilità. È stato più complesso quando qualche anno fa ho passato un anno e mezzo in studio con Margherita Vicario, che adoro, alla quale voglio un bene dell’anima e sono felicissimo di tutte le soddisfazioni che si sta prendendo, ma è stato un anno faticoso, non stacchi mai: fai il produttore, fai il musicista, fai lo psicologo, torni a casa e pensi ai brani; invece quanto è più sereno andare in uno studio, registrare delle chitarre e poi vai.
Hai usato due parole particolari: la prima è “necessità”. Se hai deciso di consegnarci questi brani ci sarà stata una necessità a prescindere dal peccato di tenerli in un vecchio hard disk, no?
Non mi permetterei di pubblicare qualcosa se non sentissi io in primis che ne vale la pena. Per me eh…perché quando pubblichi un disco devi essere sempre un po' pazzo a pensare che abbia un senso fare un disco in un mondo pieno di musica incredibile, passata, presente e futura. Però, sai, quando ti capita di ascoltare delle cose che hai fatto molto tempo prima e ti accorgi che quelle cose non invecchiano, allora quello è un buon segnale; a me è successo, per me vale, quindi mettiamo tutto all’interno di un disco e avventuriamoci in questo viaggio, anche con molta serenità, con quella maturità da 46enne. A me semplicemente questi brani piacciono.
Quando ormai si è musicisti così affermati e impegnati e d’esperienza non si punta più a scavalcare i trapper in classifica
Io non li vedo manco da lontano (e ride) per me è puro….non so neanche come definirlo…
…mestiere?
Si, fa parte di questa cosa che mette insieme tanti altri progetti ai quali voglio bene nella stessa misura del mio disco. Andare a suonare con Rodrigo D’Erasmo le canzoni di Nick Drake non è che non mi rende felice quanto fare i pezzi miei, anzi, forse anche di più. O andare in tour con Niccolò o andare in trasmissione…sono tutte cose che insieme completano la mia personalità, fare tutte queste cose mi rende sereno. Tra l’altro, non essendo mai diventato famoso (anche se forse ho rischiato con “Gatto matto” ma poi in qualche modo l’abbiamo superata quella cosa) non ho mai avuto un personaggio più forte della mia persona, quindi questo mi permette di essere libero nei miei progetti, non sono incatenato da niente in questo momento e questa cosa mi fa star bene.
Un’altra parola che hai utilizzato poco fa è “divertente”, tra tutte le cose che hai fatto nella tua carriera qual è stata la più divertente?
Non è facile, perché il divertimento è nella totalità di questo bizzarro mestiere. Perché è difficile salire sul palco a suonare le canzoni di Niccolò Fabi e dire che mi sto divertendo, perché in realtà mi sto emozionando, poi l’emozione si può trasmettere anche con un sorriso, una battuta, abbiamo imparato a sdrammatizzare, anche con lo stesso Nic, anche quando andiamo a suonare i pezzi di Nick Drake. Il divertimento vero di questo mestiere è tutto quello che c’è prima e che c’è dopo il suonare: il viaggio, la serata dopo, le cazzate negli alberghi…soprattutto se hai la fortuna, ed io in questo sono superfortunato, di condividere questo viaggio con amici dei tempi del liceo. Con la maggior parte delle persone con le quali suono abbiamo ricordi della saletta quando suonavamo le cover del Metallica, è chiaro che questo non ti fa percepire mai il senso del lavoro, della professione, del “tournismo”…ecco, questa è la parte divertente. Un evento in particolare che mi ha divertito in maniera assurda è certamente la follia di “Shock Because” dell’anno scorso, era una cavolata vera e in cinque secondi mi ha portato in dei posti inaspettati, sono stato considerato un genio per un mese e mezzo per quella cosa lì. E questo spiega un po' questo assurdo mondo, a volte passi sei anni a fare un disco del quale non si accorge nessuno e poi magari fai una cavolata e quella cosa ti da visibilità.
Tu sei stato testimone di tutte le rivoluzioni della musica italiana moderna: l’esplosione dell’indie, del rap, della trap, ora il pop che si sta nuovamente fagocitando tutto. Come hai vissuto questi cambiamenti?
Io ho cominciato questo lavoro quando già c’era la crisi della discografia, ho firmato il mio primo contratto, nel ’99 con la Virgin, che già c’era aria di mestizia, i primi licenziamenti, gli uffici che diventavano più piccoli…e naturalmente ho dato un contributo con la mia etichetta al mondo indipendente quando la musica indipendente non andava di moda, quando se facevi 300 persone dovevi stappare una bottiglia. Dopodiché ho assistito e ho anche partecipato lateralmente ai primi anni dei talent, quando sembrava che tutto dovesse passare attraverso la televisione, attraverso dei giudici, fino a quando il rap e la trap, passati attraverso dei canali non convenzionali, hanno cambiato le regole. Dalla televisione usciva musica un po' fake, dietro questi ragazzi c’erano autori e comunque l’idea della televisione è un po' fake di natura…
Si si, il pop televisivo…
Si, esatto. Poi da lì puoi anche uscirne, puoi fare una gran carriera, ma di base è un po' un “Truman Show”.
…e poi l’indie…
Si, gli schemi con la chitarretta acustica, ragazzi che partono dai localini e dopo due secondi fanno i palazzetti…e questo, ti dico, a prescindere dal genere, a prescindere se mi piace o no, a me rende felice, perché comunque almeno sono riusciti a ritrovare una chiave per parlare alla loro generazione, riportando i ragazzi a cantare a squarciagola delle canzoni e riempiere dei grandi spazi, quindi sono stati bravi. Al solito, la discografia arriva sempre in ritardo e copia e ricopia una cosa che funziona fino a fartela stare sulle scatole.
Quindi ti ha già stufato?
Se ci fosse un po' più di diversità di suono sarei più felice. L’indie sfigato era forte perché ognuno aveva il suo suono strano, oggi non c’è una grande ricerca di sound, magari c’è ricerca in termini di song, di scrittura, ma il suono è un po' omologato. Ecco, mi manca un po' di sperimentazione nel suono, un po' di coraggio…
Ecco che torna il tema del coraggio, tu fai un disco cantautorale in un momento in cui tutto va tranne che i dischi cantautorali…
Certo, infatti fortunatamente non devo vivere di questo disco. Mi posso permettere di fare questo disco perché ho altri lavori! Adesso devo capire, ho una popolarità televisiva che è diversa, magari la gente che mi incontra per strada che segue il programma vuole bene pure a me, ma magari non ha voglia di andarsi a sentire un mio concerto, la maggior parte magari non sa nemmeno quello che faccio, quindi non so bene quello che succederà. Quello che viene è tutto buono, per il resto mi va bene un commento, qualche messaggio, è questo il bello quando rendi pubblica qualcosa che è stata solo tua per anni.
Tu sei considerato a ben ragione uno dei più bravi chitarristi italiani, come stai vivendo il passaggio, fortunatamente non totale, ad una musica sempre meno suonata?
Io conosco tanti musicisti straordinari, chitarristi meravigliosi, io ho acquisito una credibilità musicale ma non mi sento assolutamente un chitarrista straordinario, sicuramente a me quello che ha dato tanto e mi ha portato fortuna non è tanto la tecnica o la bravura, ma ad un certo punto aver trovato delle chiavi originali di suono, perché oggi si tende a saper suonare benissimo qualcosa ma si perde quella cosa di cercare un suono originale, che è quella cosa che ti fa ricordare di Brian May, di Slash, Eric Clapton…il suono. Allora io cercherei sempre di ricercare un suono originale e quello non si ottiene facendo lezioni di chitarra ma si ottiene girando, ascoltando, vedendo, leggendo, stando male, prendendo una fregatura, magari pensando anche che ti piace più un altro strumento e provando a portare quello strumento al tuo, anche spesso l’errore è alla base di alcune delle cose più belle della musica. O la difficoltà, se pensi a Chet Baker che suonava da Dio, gli rompono i denti e lui trova un suono di tromba soffiato che poi diventerà la sua chiave, o Django Reinhardt che perde tre dita e grazie a quello trova un suo stile…le difficoltà spesso portano ad una ricerca.
Tu suonando a “Propaganda Live” sei proprio testimone dell’attualità, ma tu che idea ti sei fatto della considerazione che le istituzioni hanno del tuo mestiere di lavoratore dello spettacolo?
Io l’ho vissuta, come dicevi bene te, da un punto di vista estremamente privilegiato, ci siamo ritrovati ad essere una trasmissione che andava in onda con la musica quando in giro non c’era nessuno. Io viaggiando un po' mi risulta sempre triste l’idea che siamo lontani anni luce da situazioni un po' più eque, giuste, come magari sono quelle di alcuni paesi vicino al nostro. Questo periodo ha portato alla luce tutte quelle problematiche che ci sono sempre state e conosciamo bene, il nostro è un mestiere assurdo, l’85% delle persone che lo fa per lo Stato non esiste, non ci sono. Ci vorrebbe veramente un movimento forte ma questo è un paese sfilacciato, non ha un’identità di nazione unita, che quando succede una cosa si muovono tutti, scioperano tutti, no. Io non ho nessuna soluzione, ci mancherebbe, ma più volte negli anni è stato proposto il modello francese ma non è mai stato preso in considerazione. Gli aiuti che sono arrivati al nostro mondo sono stati ridicoli, c’è stato un movimento che c’ha provato (e magari ci riuscirà pure) a spiegare che non c’è solo il cantante, non c’è solo Vasco Rossi, ma dietro di lui ci sono 200 persone e molte non sono riconosciute. Speriamo, è un problema gigantesco.