U na vagina stilizzata che svetta sulla copertina rosa, le avvertenze “astenersi puritani ” e “tenere lontano dai bambini” vergate sul risvolto e un incipit deflagrante (“Era stata una scopata noiosissima”) seguito dal racconto dettagliato di un cunnilingus maritale che anziché verso l’estasi conduce la protagonista “in un sonno senza appello”. È “Per sole donne” (Mondadori), il primo romanzo di Veronica Pivetti, non a caso definito dal direttore di Raiuno Stefano Coletta, che con l’autrice lo ha presentato al Piccolo Eliseo di Roma “un libro coraggioso, perché parla genitalmente di sesso”. Attraverso confidenze intime che non lasciano niente all’immaginazione. Il romanzo racconta la complicità, il legame profondo e le fragilità che uniscono cinque amiche sui cinquant’anni, quattro etero e una lesbica e risponde, ha spiegato l’attrice, scrittrice e conduttrice di “Amore criminale” (Raitre), a un’esigenza di mettersi a nudo che soltanto la pagina scritta poteva consentirle.
Nessuna autocensura, nessun imbarazzo?
“Sono grata di poter scrivere, la scrittura rappresenta il mio momento di sincerità assoluta, chi si aspetta la mia professoressa della fiction ‘Provaci ancora prof” qui non la troverà, sapevo di rischiare e sono grata alla casa editrice che non mi ha censurato nulla. Nella conduzione e nella recitazione si passa attraverso altre strade espressive, ma un’operazione di questo genere esigeva sincerità. Non avrebbe avuto senso non essere trasparente, ho messo sul piatto una confessione. L’ho scritto in sei mesi ma era un’idea che maturava da tempo, dopo il primo libro in cui raccontavo la mia depressione (“Ho smesso di piangere”) e il secondo sulla mia infanzia (“Mai all’altezza”). A un certo punto ho sentito la necessità di raccontare una storia romanzata e di essere spudorata”.
Rapporti orali ferroviari con sconosciuti, centimetri virili, maschi ribattezzati “il trivella” e “il coglione”, orgasmi che vanno e vengono, quanto c’è della vita reale delle cinquantenni?
“Quello che racconto è tutto vero, anche se romanzato. Io ho poche amiche, fidatissime, e ci diciamo davvero queste cose”.
Le sue cinquantenni confrontano i loro didietro e le loro cosce, una volta toniche e che ora “sventolano come panni stesi”, con quelle marmoree delle ventenni. A una certa età il confronto è inevitabile oltre che impietoso?
“Credo di aver raccontato come noi vediamo le ventenni, ma non ho nessuna invidia per loro, non tornerei indietro neanche di un giorno, sono felice della mia età, degli errori che ho fatto e per me esiste solo il futuro. Le donne del mio romanzo non hanno più il didietro sodo, ma sono evolute, orgogliose dei loro anni e per niente infelici. Personalmente, poi, trovo affascinante il decadimento del corpo, quando mi sono venute le prime macchioline sulle mani ho pensato che le trovavo affascinati perché mi ricordavano mia nonna”.
Dai racconti delle cinque protagoniste esce un uomo con poche speranze, il suo è un libro anti-maschio?
“Il mio è un romanzo che punta a parlare alle donne e a fare quadrato. Ho dato vita a un’operazione di parte, perché penso che nella vita per le donne sia ancora tutto complicatissimo, dobbiamo lottare il triplo per dimostrare l’ovvio, facciamo molta più fatica degli uomini. Nella prima parte della mia vita mi è capitato di concedere agli uomini di abusare mentalmente della mia persona esercitando la loro potenza, sono molto pentita di questo, sfiduciata dal mondo maschile, ma il mio libro non rappresenta una vendetta, piuttosto un grido di rabbia: non dobbiamo mai abbassare la guardia e dobbiamo continuare a lottare perché nessuno lo farà per noi. Però scrivere un libro per le donne non significa essere contro gli uomini, sarebbe banale interpretarlo così. Se i lettori non si fermeranno, offesi, dopo poche pagine, magari potranno raccogliere la mia richiesta d’aiuto”.
Il romanzo affronta il rapporto madre-figlia con il personaggio di Fabiola, la mamma della protagonista. Somiglia alla sua?
“Mi sono ispirata a mia madre, questo romanzo ha rappresentato anche un’operazione di emancipazione rispetto ai miei genitori: anche se ho cominciato a lavorare presto a sei anni, con il doppiaggio, sono stata sempre molto figlia, la vera autonomia l’ho conquistata tardi a trent’anni. Sono stata amatissima, apprezzata e incoraggiata dai miei genitori in tutte le mie attività ma anche quelli sono legacci che non ti fanno respirare ma che non vuoi tagliare. Dall’esterno mi aspettavo sempre, sbagliando, la stessa accoglienza che mi riservavano i miei. Il fatto è che la famiglia è difficile da gestire anche se è una bella famiglia, e con questo libro ho scioccato i miei. Mia madre scherzando, si autoconsola dicendo “beh, almeno io ne esco bene..”.
Perché ha scelto di puntare su cinque donne tutte felicemente senza figli?
“Non ho niente contro le mamme, anzi sono delle eroine perché non vanno mai in pensione, ma volevo dare dignità e identità a chi non lo è perché non è interessata alla maternità, spesso uno status che si insegue per avere un’identità che non viene riconosciuta. Volevo raccontare la categoria di donne che non ne hanno bisogno e sono tante. Ci rientro anche io e non diventando madre credo di aver fatto felici i potenziali figli che non ho avuto”.