Nord, sud, ovest, est. C’è un motivo per cui la serie dedicata agli 883, Massimo (Max) Pezzali e Mauro Repetto sta avendo così grande successo? Me lo sono chiesto in questi giorni mentre, sul divano, trasformavo lo scetticismo iniziale in un enorme esercizio di malinconia. ‘Come mai, ma chi sarai, per farmi stare qua’ avevo stupidamente pensato prima di premere il tasto play, giocando sul fatto che mi sarebbero bastati 10 minuti per dirle addio. Non mi piacerà, è certo. Matematico. Figurati. Gli 883 sono intoccabili. Guai a chi lo ha fatto. Come hanno osato? E invece, tutto ad un tratto, la porta ha fatto slam. E no, non è entrato il guercio, ma una valanga di fotografie annebbiate dal tempo, frammenti, storie. Gli anni ‘90, maledetti. Sì, quelli delle immense compagnie e dei viaggi in motorino sempre in due. Così ho fatto un esercizio difficile. Ho provato a spostare le lancette del tempo e a capire chi siamo noi, quarantenni o giu di lì, oggi, cresciuti con quelle canzoni lì. Con Max e Mauro.
No, non è un momento facile per noi. Per i millennials. Quelli che spesso non fanno figli, per volontà o destino, quelli che non riescono a lottare e a dar voce alle loro battaglie, una cosa che riesce molto meglio ai nati alla fine dello scorso millennio e all’inizio del nuovo. I millennials, quelli che, in fondo, davanti a un giorno positivo, si illudono che forse, basta un giorno così per cancellare 120 giorni stronzi. E invece, forse no, per cacciar via tutti gli sbattimenti, oggi, ci vuole qualcosa in più.
E non sono solo gli 883. Sono sentimenti, sensazioni che cerco, e trovo, in tante forme d’arte, in tanti autori di oggi. Nei libri e nei podcast di Pablo Trincia, ad esempio, dove il dolore e il rispetto per le storie delle persone, trova sfogo nelle parole e nella loro micidiale bellezza. O nei disegni di Zerocalcare, dove quella maledetta sensazione di cercare costantemente una rotta per casa di Dio esplode sotto forma di una triste e disperata ironia. Scavare. A noi serve scavare, a fondo e in fondo. Perché nessuno ci leverà quel senso di incompletezza che aveva il giovane Repetto nelle prime puntate della serie di Sky. Anche lui, infatti, ci ha messo tanto per far uscire quel calore che è tanto difficile spiegare, e per scrivere quella canzone d’amore verso la vita che non suona mai come vorremmo. Guardare la storia di Max e Mauro aiuta. Insegna come sia importante provare a continuare a tenere il tempo, a scendere in strada, ballare e buttare fuori tutti quello che abbiamo. Sempre di più e ogni volta che ne abbiamo la possibilità.
La verità è che noi millennials restiamo appesi tra treni che sono partiti lasciandoci inermi, immobili sulla banchina; treni da cui siamo scesi troppo presto, dopo esserci sentiti degli inetti; treni in cui siamo saliti e da cui, nonostante gli sforzi, fatichiamo a scendere, pur non sentendoli più nostri. Nelle canzoni degli 883, in fondo, c’è il manifesto di una generazione a metà, che non è nativa digitale ma neanche boomer, che deve continuamente adattarsi a una società che si è trasformata troppo presto per essere del tutto compresa e in cui è terribilmente difficile sentirsi accettati. Una società che non è nostra, costruita dalle generazioni passate, ma già minata e picconata da chi sta arrivando. Una società che abbiamo ereditato quando già puzzava di antico e che oggi è sempre più plasmata secondo i nuovi ambiziosi parametri in cui giustamente si misura una civiltà (nuovi diritti e desideri di una comunità, o meglio, di una community che sgomita per prendersi tutto). E a noi chi ci rappresenta? A noi, penso, manca quel mito che non racconta in giro favole. Un mito che abbiamo inseguito e su cui abbiamo fantasticato per troppo tempo. E molti, troppi, si sono persi lungo il tragitto. Forse è stato il tempo. Forse quella solitudine che ci portiamo dentro. Forse è stata la certezza che ricominciare tutto, stavolta, non si può.
A noi millennials anche le fotografie spaventano. Perché, poi lo sappiamo, scattan le paranoie. Luoghi, occasioni, aspettative (di altri) entrate nelle nostre vite e poi, scappate di corsa, per non tornare mai. Guardando le prime puntate di “Hanno ucciso l’uomo ragno” ho riflettuto a lungo su cosa sia successo a me e ai miei coetanei. E ho pensato.. Ma è così tutto nero? Beh no. La serie si apre con la storia della bocciatura di Max Pezzali al liceo. Un altro che è stato bocciato è Pablo Trincia (lo racconta nel suo libro ‘come nascono le storie’, leggetelo, è illuminante). Anche chi scrive questo articolo è stato bocciato. Da lì è cambiato tutto. Max ha incontrato Repetto e dato vita agli 883. Io, nel mio piccolo, ho deciso che non sarei mai rimasto più indietro, mai più. E sono convinto che, chi leggerà, ha avuto storie simili, di sconfitta e rinascita, di smarrimento e ricalibrazione della propria barra, del proprio timone. Ecco, forse a noi è stato risparmiato di vivere in un tempo in cui la performance è tutto, l’errore non è ammesso e la sconfitta non considerata nella pianificazione della vita. Allora, forse, è questo che noi millennials possiamo trasmettere alla generazione X, così forte e così fragile: perdere del tempo, fallire, non è poi così male. Guarda Max. Tanti hanno costruito partendo da una caduta.
Io so già come finisce la storia degli 883 ed è una storia, in qualsiasi modo la si veda, a lieto fine. In quelle canzoni, in quell’amicizia, in quello sguardo sul mondo, ci siamo noi, quarantenni difficili. Questa è l’eredità degli 883. Sono quei testi, quelle musiche, i videoclip (come si chiamavano allora) che raccontano meglio di qualunque articolo, di qualsiasi serie tv, di ogni intervista, chi eravamo allora e chi siamo oggi.
Nord sud ovest est, dicevamo, e forse quel che cerchiamo neanche c’è. Nord, sud, ovest, est. Ancora oggi, dopo tanti anni. Con la stessa domanda: starò cercando lei o forse me? Noi millennials siamo così: sempre alla ricerca di coordinate, tra ricordi e memoria, per trovare senza bussola il nostro posto su questo mondo.