AGI - Il report di un concerto ha un’utilità ben precisa: raccontare cosa vi aspetta quando avrete l’occasione di andare ad assistere a quel concerto; quindi questo non è esattamente un report o, perlomeno, non avrà quell’utilità, forse sarebbe più opportuno chiamarlo omaggio.
Omaggio a un’impresa, un modo come un altro per fermare un momento, perché non sappiamo se e quando sarà nuovamente possibile assistere a un concerto di Samuele Bersani accompagnato da un’orchestra di 36 elementi, nello specifico l’Orchestra I Pomeriggi Musicali, quando avrete la fortuna, come chi ha assistito a questi due eventi speciali al Teatro Dal Verme di Milano e alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, di ripercorrere parte della sua carriera con questa veste nuova ed emozionante.
Noi abbiamo assistito alla data romana e lo consideriamo un regalo. È questa la sensazione che pervade, tra il pubblico, un’aria gonfia delle sue parole, delle sue storie, ben oltre la piacevolezza di ascoltare alcune tra le più belle canzoni mai scritte nella nostra lingua: la gratitudine.
Non sappiamo se questo regalo lo abbia fatto Samuele Bersani a noi o Samuele Bersani a Samuele Bersani, o Samuele Bersani ad alcune delle proprie composizioni, che per tutto quello che hanno fatto in questi oltre trent’anni di vita, se la meritavano proprio una serata di gala, un’uscita in abito nero, lungo, quando ci si fa belli che più belli non si può, con 36 bravissimi stilisti solo per te, per assegnarti le giuste tonalità, per permetterti di farti vedere come non ti sei ancora mai visto.
Noi lo riceviamo come un regalo, ci teniamo stretto il ricordo di questo concerto eccezionale tra le braccia, lo conserveremo in un posto in alto nella libreria della nostra memoria, dove tutti lo possano vedere e nessuno lo possa toccare.
Un regalo evidentemente gradito anche al cielo che, dopo aver fatto spaventare tutti con un’impietosa bomba d’acqua, ha chiuso i rubinetti in tempo per permettere che tutto ciò accadesse. Quindi grazie, nel dubbio, grazie.
Grazie soprattutto a Bersani stesso, non solo perché tra i principali responsabili della nostra formazione cantautorale, insomma, con lui ci siamo cresciuti, ma perché se è vero che ci sono altri eccellenti artisti che possiedono un repertorio degno di un’orchestra, non tutti hanno parole e intenzioni per potersi permettere un concerto di questo tipo, di questa entità.
Le canzoni di Bersani, accarezzate dal suono di un’orchestra, letteralmente, volano, si innalzano come in un celebrazione eucaristica, qualcosa di mistico, di definitivo, di irraggiungibile, che però viene tirato per la coda e offerto, con la semplicità e profondità ed efficacia del gesto musicale.
Questo è il vortice che ti si crea dentro all’ascolto di brani come (citiamo i nostri preferiti) “Il mostro”, “Pycho”, “Occhiali rotti”, “Ferragosto”, “Giudizi universali” (è chiaro), “Il tuo ricordo”, che scopriamo non essere stata accettata a Sanremo, complimenti vivissimi, “Replay”, “En e Xanax”, “Il pescatore di asterischi” o “Barcarola albanese”, che ascoltiamo realizzata dal vivo per la prima volta e ci esplode in faccia con tutto il suo carico di violenta attualità.
Tu ascolti e pensi che sei fortunato a essere lì, ad assistere a uno spettacolo del genere; anche Bersani se la gode, calca il palco con il solito ipnotico carisma, ti cerca, come se ti conoscesse, come se si divertisse a stanarti con i suoi versi, conscio probabilmente che ognuno ha il suo, i suoi, ma senza mai porsi con l’arroganza da prima donna in vena di mostrarsi, anzi, Bersani sembra offrire in sacrificio la propria voce alla propria genuina ispirazione, il che lo mette dalla parte del pubblico, artefice e vittima della sua stessa magia.
E a te che assisti non resta che alzare le mani, sopraffatto come sei dalla bellezza, da questi suoni che, in un’epoca di plastificazione totale, di tecnologia asfissiante, ti sembrano tutti così corretti, così giusti, che è come se qualcuno ti stesse frustando con un pezzo di arcobaleno; avresti voglia di farti piccolo piccolo per infilarti nel suo cervello per capire cosa gli è mai passato per la testa, qual è stato il momento esatto in cui per la prima volta ha buttato giù certi pezzi, versi come “Chissà se gli errori del passato sono ancora adesso in garanzia / E se mi verrà mai perdonato il fatto che io spesso andassi via” oppure “Il tuo ricordo quando arriva ha fame e sete”, “In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore / E su di me puoi contare per una rivoluzione”, “Se correggerò gli effetti dei miei guasti nucleari / Se troverò il coraggio ti telefono domani”; ti interessa perché ogni volta che ti capita di riascoltarli è come se sentissi un solletico all’anima, come quando soffri disperatamente e non sai come vomitare fuori quel male, ecco, in quel modo, con quella tenacia, ma il totale contrario.
Se non facessimo il lavoro che facciamo probabilmente ci accontenteremmo di tornarcene a casa soddisfatti, come chi ha fatto l’amore con la donna dei propri sogni, quell’appagamento che solo l’amore può darti, quello che ti fa pensare che in fondo tutto è quadrato, al proprio posto, va tutto bene se ancora esistono pozzi di poesia talmente profondi.
Ma noi facciamo il lavoro che facciamo quindi è evidente che siamo costretti a contestualizzare questa bellezza in un ambiente, quello musicale attuale, in cui, ci viene certificato praticamente ogni giorno da ogni genere di dato, per questa bellezza parrebbe non esserci più posto.
Non è un problema di Samuele Bersani, è chiaro, lui ormai ha raggiunto uno status tale che finché ci concederà pezzi di se stesso attraverso i suoi brani avrà sempre un pubblico al quale rivolgersi aldilà di stream, classifiche, follower e tutte quelle diavolerie che hanno ingarbugliato il circuito musicale.
Questo concerto ha però un risvolto decisamente amaro rispetto a tutto ciò che questo concerto non è. L’invito a leggere è in particolare per tutti coloro i quali fanno musica o hanno intenzione di farla: la semplicità che si insegue oggi non è la soluzione a nessun enigma sul farcela o meno in questo settore, dovrebbe essere palese, basterebbe fare mente locale su quali sono gli autori e le relative opere che rimangono nella storia e quali no. Le canzoni di Samuele Bersani non sono quelle di Lucio Battisti, non hanno quella semplicità di facciata, non sono dirette, dipendono del carattere di chi le ha composte e, anzi, sono piuttosto complesse.
Pensate a “Replay” a “Il pescatore di asterischi”, perfino a “Chicco e spillo” e “Coccodrilli” che sono quasi dei divertissment; non sono le tipiche canzoni da schitarrata, hanno una composizione ricercata, il testo si presta a tonalità inconsuete, quasi scoordinate, a cambi di registro intellettuali, vivono di guizzi, di poetica, della brillantezza della parola; eppure oggi, in alcuni casi decenni dopo, stiamo lì a cantarle, emozionati, letteralmente commossi, ci arrivano e restiamo inermi incapaci di restituire il colpo, di proferire parola, come se non esistesse bellezza oltre la bellezza di certe sue canzoni.
Questo perché l’unica strada possibile per dire di aver fatto qualcosa di sensato nella musica e, se si dedica la vita alla musica, di conseguenza, nella propria vita, è che ciò che si fa abbia un significato profondo, bisogna chiedersi che genere di artista si intende diventare. Secondo noi qualsiasi cosa non generi nel pubblico le emozioni che noi l’altra sera abbiamo vissuto come pubblico, non vale nemmeno la pena essere fatta.
Ma sono scelte, al contrario si può inseguire la hit, il tutto e subito, l’exploit, i fuochi d’artificio, ci si può godere quel quarto d’ora di stream, ricordandolo poi con nostalgia quando girerete come reliquie di voi stessi alle feste di paese nell'entroterra della provincia più remota, trascinando la carcassa dei vostri sogni con il desiderio di tornare indietro e scegliere a ogni bivio l’altra strada; perché è a questo che vi state condannando.
Se volete invece regalare gioie per oltre 30 anni (finora), restare nella vita di chi vi ascolta oltre il tempo di un vodka lemon, allora prendetevi il tempo, mettete alla prova il vostro talento, se c'è, fatelo respirare, dategli una possibilità, credete in voi e non in chi vi ascolta, provate a offrire tramite la musica la vostra umanità, la vostra vulnerabilità, come, per esempio, Samuele Bersani fa in ogni propria espressione artistica.
Vedrete che vi verrà restituito qualcosa che vi riempirà il cuore prima ancora delle tasche e del profilo Instagram e del letto, che un giorno vi volterete indietro e sentirete che, qualsiasi sarà il risultato, ne sarà valsa la pena, specchiandovi negli occhi di una persona, anche una sola persona, alla quale, con un vostro verso, avrete deviato la vita.