AGI - Un’estate in giro per l’Italia a tutto blues e non solo, in una dimensione bellissima che si è cercato sin da ragazzino fra Jimi Hendrix e Steve Vaughan passando per Carlos Santana e Paco de Lucia. Fino a miscelare tutto e metterci del suo, per diventare Alex Britti, uno dei chitarristi italiani più bravi. Musicista e cantautore, Britti, romano cresciuto a Monteverde, preme lo start al suo nuovo tour che inizia dal basso, da Melilli, in provincia di Siracusa, l’11 maggio per poi risalire lungo l’Italia. “Un tour lungo e laborioso, intenso – spiega all’AGI l’artista – perché vogliamo fare le cose per bene. Oltre a me c’è un gruppo che suona pianoforte, basso e batteria e ci sono i cori”.
Sono usciti in questi giorni due nuovi singoli “Tutti come te” e “Nuda” e poi che succede?
“Sì. Sono stati fatti uscire due singoli in contemporanea - prosegue Britti - perché danno l’idea di quello che sarà poi l’album che verrà. Io cerco di essere poliedrico: mi piace il blues, il blues in tutti i suoi stili. Poi ovviamente il rock e il pop. ‘Tutti come te’ è un po’ una sorta di gospel divertente, allegro. ‘Nuda’ è più hendrixiano, psichedelico, un po’ più rock. Sono due aspetti dello stesso stile di musica e ce ne saranno ancora di queste cose nell’ album. Ora sono usciti questi due singoli per dare un assaggio”
25 anni fa hai fatto ballare tutti con ‘Solo una volta (o tutta la vita)’, che rapporto hai ancora con quel successo?
“Ci vado ancora d’accordissimo, ci sentiamo spesso…. Andiamo a cena insieme!”, scherza Britti. “È un bel rapporto, quel brano non salta un concerto, ogni volta che lo suono lo ballano. ‘Solo una volta’ è stato una delle mie chiavi di accesso e gli sono molto riconoscente”
Era un pezzo un po' pop, e tu ami il blues…
“Ma noi viviamo di stati d’animo – dice il cantautore – anche a seconda dei momenti della giornata. Come pubblico o da utente, dico che a me piacciono blues e jazz allo stesso modo, da ascoltatore posso dire che mi piace il pop. Perché mi piace anche ascoltare altre cose. Noi siamo fatti di quello che mangiamo cosi come produciamo quello che ascoltiamo. Io sono onnivoro… Ascolto tante canzoni, non solo blues e jazz e anche quando scrivo ogni tanto sento l’esigenza di altro. Con gli anni poi, ho imparato ad affinarmi e in studio, quando produco, riesco a mantenere un suono più blues anche perché sono cambiati i tempi, i mezzi. Oggi ho ripreso la chitarra elettrica perchè ne sentivo l’esigenza e sono contento di averlo fatto. Prima usavo l’acustica che ti rende piu cantautore. Sia la canzone più leggera che il blues e o il jazz più ‘ intrippato’ fanno parte della giornata di una stessa persona, cioè il sottoscritto. Io che sono utente, fan, pubblico e musicista”.
E quel singolo famosissimo ‘Oggi sono io’ divenuta poi una cover interpretata dalla grande Mina, che effetto ti ha fatto ascoltare quella versione?
“Eh beh - commenta Alex - è una bella sensazione. All’epoca ero uscito da poco, ero considerato un cantante per i ragazzini, ‘Oggi sono io’, invece, ha messo d’accordo tante persone e quando l’ha cantata Mina ha allargato la forchetta dell’utenza: il pubblico più adulto ha sentito Mina e poi è andato a vedere la mia discografia e si è accorto che avevo anche altro, non avevo solo canzoni più leggere. C’era sempre stata questa cosa… Ma le canzoni da mandare in radio le scelgono la casa discografica e le radio. Certo è che se quelle canzoni, non fossero andate in radio e io suonavo solo blues e jazz, non facevamo questa intervista!”.
Oggi viviamo un’epoca in cui la musica in classifica è sempre meno suonata, credi sia una deriva irrecuperabile o c’è ancora spazio per chi vuole fare musica con uno strumento in mano?
“Sì - afferma il cantautore - effettivamente oggi c’è meno strumentismo, tutto è molto prodotto, più computerizzato. Ma fa parte dei tempi che viviamo. Non è cambiata la musica ma il mondo in cui si fa. Siamo più digitali, adiamo su Instagram. Venti anni fa prendevi la metro e tutti leggevano il libro o il giornale. Oggi stanno tutti con il telefonino o l’Ipad in mano. Il mondo è cambiato e la musica gli è andata dietro come è sempre accaduto: arte, musica, cinema, pittura, rappresentano il periodo storico che si vive. E tanti giovani cantanti rappresentano questo momento storico. Noi possiamo essere o non essere d’accordo ma abbiamo avuto il nostro periodo, ora devono averlo loro. A volte è difficile interagire e trovare punti fermi sulle cose di oggi ma anche mio padre faceva fatica a capire quello che ascoltavo quando io ero ragazzino. Diceva che Hendrix era un caciarone, spaccava le chitarre e gli dava fuoco e che la sua non era musica ma solo rumore e bla bla bla…. Quindi, lungi da me fare la stessa cosa oggi: se una cosa non ti arriva, può essere che è sbagliata ma anche che sei tu a non capirla. Io mi metto sempre in discussione. Oggi, non tutto quello che arriva mi piace, però ci sono delle cose buone. Intanto preferisco i rapper ai trapper…”.
Uno in particolare? Uno che si avvicina più a te?
“Non c’è qualcuno in particolare che mi somiglia, sono cose diverse appunto. Faccio parte di un altro periodo come ho detto. Mi piace per esempio Salmo. Ci avvicina il rock anche se veniamo da mondi diversi: il blues diventa rock, lui viene dal punk rock che diventa parlato e rap, quindi abbiamo punti in comune. Mi divertiva molto la Dark Polo Gang, mi facevano sorridere e ridere. Poi io non giudico. Quando sento i testi che non sono scritti per uno della mia generazione mi viene da sorridere e penso che in fondo è giusto cosi. È giusto che quei testi debbano parlare in quel modo perché fanno parte di quel tipo di generazione. A giudicare siamo capaci tutti, mentre a fare, di meno. Non stimo chi giudica, non giudico e mi diverto invece. Lazza con il brano ‘Cenere’, che ho ascoltato a Sanremo, è bravissimo. ma già lo avevo sentito con Sfera Ebbasta, in un brano prodotto da Supreme che ho ascoltato tutta l’estate: è fichissimo e l’ho messo in due o tre mie playlist. Chi viene con me durante i viaggi e si trova ad ascoltare le mie playlist, se non è preparato si fa venire la labirintite perché metto da Hendrix, alla musica classica, fino alla Dark Polo Gang. La qualunque insomma. Esiste la musica fatta bene e quella fatta male ma non c’è una musica bella o brutta”.
Citi sempre Hendrix…
“Si, lui è il mio faro illuminante da seguire. Lo è stato, come chitarrista e come artista completo. Mi piacevano i testi, non solo come suonava la chitarra. Mi piaceva il mondo Hendrix, la psichedelia, come pensava le canzoni e come lavorava in studio. Lui era un innovatore, soprattutto per come pensava la chitarra e le cose che faceva che anche per quell’epoca, non erano iper tecniche e magari non capite. Ma Hendrix tirava fuori il suono giusto che altri non riuscivano ad ottenere, faceva distorcere le chitarre tirando fuori un suono che altri non capivano e pensavano fosse un difetto, ecco perché era un innovatore. Come tecnica chitarristica, quando studiavo in cameretta io seguivo piu Steve Vaughan e Carlos Santana. Ho fatto il clone di loro due. E quando ho scoperto Hendrix mi si è aperto il mondo e poi mi sono avvicinato anche a Paco De Lucia e a Pat Metheny, molto importanti per me. E poi basta, sono diventato grande e toccava a me miscelare tutto quello che avevo per far uscire fuori qualcosa di personale”
Cosa hai fatto durante il Covid, si parla di lezioni di chitarra?
“Quella era una situazione complicata per tutti, ho un bambino che all’epoca era ancora più piccolo, la mia priorità era distrarre lui e farlo giocare. Poi però mi sono sentito addosso la responsabilità del mio ruolo di artista e di persona in questa società e, invece di fare solo il papà, ho pensato a qualcosa come all’idea di tener compagnia alle persone. E mi sono venute in mente le dirette Instagram, che dopo poco sono diventate importanti: chi si collegava mi chiedeva consigli sulla chitarra, non solo accordi, ma anche impostazioni. E mi sono ritrovato a fare delle lezioni, delle specie di seminari online. Una cosa che andava molto bene e allora, mi sono fatto mettere a disposizione dalla nazionale cantanti il numero verde con l’Iban dell’ospedale Niguarda di Milano che all’inizio era quello in grande sofferenza, e ho fatto da ponte. A chi mi ascoltava, se voleva, chiedevo di dare due o tre euro. Ogni volta arrivavano anche trecento euro o mille euro. Lo abbiamo fatto per qualche settimana e abbiamo tirato su 50 mila euro ed è stato un gran successo. Sentivo che le persone c’erano e e avevano bisogno di fare qualcosa e io allo stesso modo, volevo fare qualcosa. E questo mi ha fatto stare bene., lo facevo un giorno sì e uno no. Mi arrivavano tanti messaggi dall’ospedale di infermieri, medici, all’inizio nessuno era pronto alla pandemia, mancava tutto, mascherine, disinfettante… Con quei soldi sono state comprate bandane da mettere davanti alla bocca, acqua ossigenata e, poi sono arrivate mascherine e il gel e sono stati comprati due respiratori. Insomma, ho cercato di darmi da fare”
Da piccolo immaginavi di riuscire ad arrivare fin qui? Sei diventato l’artista che volevi?
“Eh, da piccolo più o meno sì, non mi sono mai posto il problema del livello, della graduatoria in classifica. Sapevo che avrei lavorato con la musica, ma non sapevo come: se da cantante, produttore, compositore, chitarrista, arragiantore, autore. Poi sono arrivato a un buon livello diventando quello che sono ora. Dove voglio arrivare? Credo da nessuna parte, già mantenere quello che ho è un bel risultato. E’ un pò come la borsa valori, una volta sei più giù e una volta più su ma sempre in ballo. Sto dentro una bolla bellissima che mi sono cercato sin da ragazzino, mi piace suonare, andare in giro a fare concerti... Quindi mantenermi, mantenere quello che ho, il più a lungo possibile. E’ quello che mi auguro e che cerco di fare ogni giorno”.