AGI - Se ci si guarda intorno la luce negli occhi di chi attende l’inizio del live è sempre la stessa, tutti sconosciuti, com’è normale che sia, tutti uniti, come non è sempre normale che sia, tutti accomunati dal bene che si vuole all’artista che tra poco salirà sul palco, per le parole che ha regalato a tutta una generazione, con semplicità ed efficacia, con intuizioni romantiche inarrivabili e una sorta di riscatto sociale degli sfigati, quelli che conservano il ricordo delle donne “mito”, delle scorribande con gli amici verso “casa di Dio” e, più in generale, di un tempo che non c’è più e per il quale si prova una nostalgia che quasi ti denuda della speranza che tornerai, un giorno, chissà come, ad essere felice in quel modo lì. Insomma, siamo andati al concerto di Max Pezzali.
Il tour in questione si chiama “Max 30 nei Palasport #HitsOnly”, il che già fa intuire cosa ci aspetta, Pezzali ripercorre questi suoi primi 30 anni di carriera portando nei palasport di tutta Italia le sue hit, anzi “only” le sue hit, il che vuol dire due ore di festa, rientro a casa senza un rivolo di voce e una gioia quasi liberatoria, come di chi in qualche modo si sente risolto. Si perché i concerti di Max Pezzali, specie questi ultimi, in cui vengono ripresi i brani che hanno contribuito alla formazione del suo mito, sono in realtà dei riti collettivi, una forma pop e gentile, senza deformazioni mistiche, di quelle messe televisive americane con i santoni, dove ognuno entra con il proprio carico di turbe secolari e ne esce “guarito”, dove il rapporto che si crea con chi ha il microfono in mano, nonostante ci si trovi all’interno di un palazzetto, in questo caso il Pala Alpitour di Torino, è del tutto intimo.
Ascolti “Sei un mito”, che apre la scaletta, e ti risale su per il naso l’odore della macchina mentre aspettavi che uscisse dal portone bella come poche cose i tuoi occhi hanno mai visto, ascolti “Rotta x casa di Dio” e ripensi a quegli scemi degli amici tuoi, appena maggiorenni, quando ogni uscita era una sorta di missione, regolarmente mitologica, regolarmente fallita, e andava benissimo così. Quello che subisci è una specie di bombardamento, una full immersion nel tuo passato più dolce e più doloroso, messo all’angolo e demolito dai jeb, versi su versi, traumi su traumi, non puoi fare a meno di parlare con il te di venti e più anni prima.
“La regina del celebrità” è un rigurgito dei primi pruriti, “Ti sento vivere” dei primi drammi, “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” ti ricorda che quando è uscita stavi alle elementari e oggi ti esalta esattamente come allora; una genialata vera. Poi chiaramente scatta anche la valutazione artistica, Pezzali ti ricorda che lui è anche quello degli 883 di “Non me la menare”, “Te la tiri”, “6 1 sfigato”, “Jolly Blue” (che sarà il titolo dell’immortale flop cinematografico del progetto 883) e “S’inkazza”, tutte celebrazioni avanguardiste del tamarro di provincia, brani sempre troppo poco considerati quando si pensa alla discografia del nostro. E se “La regola dell’amico” inaugura il concetto di friendzone, “Nella notte” ti ricorda che Pezzali è un musicista vero, capace di pennellare fulminanti, hit che ancora oggi lasciano diversi scalini ai cantantucoli acchiappa stream.
Il momento topico di questo incontro musicale noi lo identifichiamo quando è il momento di “Nessun rimpianto”, siamo certi che a 15657 ex fidanzatini delle medie saranno fischiate le orecchie all’unisono mentre ognuno dei 15657 presenti al Pala Alpitour si liberava del proprio antico dolore sparando un braccio al cielo al momento del ritornello; la scena è surreale, ricorda quella finale di “Ghostbusters”, quando il cielo si fa tetro e viola ed i fantasmi ricompaiono nella realtà; una riscossa terapeutica, definitiva, rigenerante. Arriva poi il momento de’ “Gli anni”, forse il miglior brano composto in assoluto da Pezzali, certamente tra i migliori mai composti nella nostra lingua, manifesto di quel rapporto con il passato che nelle canzoni torna con meravigliosa puntualità. Un passato che riporta a “Come mai”, che è anche una delle prime canzoni d’amore mai dedicate dai ragazzini che oggi vanno spediti verso i 40, la colonna sonora dei primi lenti, quando il corpo delle nostre coetanee si misurava in centimetri di fianchi sfiorati durante i lenti alle festicciole in casa. E si va avanti così a colpi di hit fino al gran finale in cui si susseguono capolavori come “La dura legge del gol”, didascalia dell’amicizia maschile, metafora calcistica tra le più azzeccate della storia del nostro pop, e ancora “Il grande incubo” (che gran pezzo!), “Nord sud ovest est”, “Tieni il tempo” e “Con un deca”, che chiude la scaletta.
Questo live di Max Pezzali, che toccherà ora Livorno, due volte il Forum D’Assago di Milano, Catania, Bari e due volte Ancona, è imperdibile in quanto fenomeno realmente unico; nemmeno Vasco Rossi, che dei live italiani è imperatore assoluto e senza concorrenti, può permettersi una festa del genere, non perché, come Pezzali, non abbia una trentina di hit assolute da concentrare in una scaletta, ma perché non ha una trentina di hit assolute che raccontino in maniera così specifica un’intera generazione. Non è solo una questione di merito, è più una questione di sentimentalismo, di una forza che rappresenta un comune denominatore in tutti i brani di Max Pezzali, un’appropriazione debita, legale, romantica, della quale tutti in qualche modo ci siamo resi colpevoli e pur crescendo è rimasta lì, incastrata in gola, sulla punta della lingua, dinanzi a quegli occhi che senza il supporto dell’amico Max non avresti avuto modo di affrontare.
La musica di Pezzali è uno scrigno che racchiude gli anni più belli di un’intera generazione, di un periodo al quale è ormai impossibile tornare, roba che se sei troppo piccolo o troppo grande per apprezzarlo, non sai cosa ti sei perso; uno scrigno che in questo tour viene spalancato e fulmina peggio dell’arca perduta di Indiana Jones, giusto per restare in tema di miti, e non hai scampo, e non vuoi scampo. Nel suo essere parte di te, la musica di Pezzali è senza pietà, ti riporta al nucleo, a quando tutto era fugace e limpido, pur essendo drammatico fino al midollo, ispirazione per guardare alla tua vita con un romanticismo che crescendo, non puoi farci nulla, si perde. La musica di Max Pezzali insomma fa risuonare la parte migliore di noi, quella che fisiologicamente non può più tornare e che ci manca da morire.