Dai Baustelle a Blanco, le uscite della settimana

Gabriele Fazio
Chilldays - Blanco

Baustelle – “Elvis”: In Italia in questo momento non abbiamo un progetto che sia anche solo lontanamente paragonabile a quello dei Baustelle. Tanti bravi cantautori, ok, qualche promessa particolarmente interessante, sicuro, le vecchie glorie che assaltano il fortino della SIAE a colpi di classiconi, immancabili, chissà se anche irraggiungibili; ma non esiste una band che riesca a far coincidere musica straordinaria, coolness da capogiro ed un’efficacia così incisiva. “Elvis” rappresenta un’altra perla nella splendida carriera di Bianconi e soci, dieci brani nei quali con quel fascinoso distacco, come quello di un narratore esterno, vengono raccontate umane storie, una tac all’anima di una popolazione afflitta e temeraria, sconfitta e visionaria. I Baustelle, al suono di un rock voluto così coinvolgente e accessibile, vedi il riferimento a Elvis, impregnato del cantautorato immaginifico di Bianconi, dipingono un mondo che è crocevia di mille altri mondi diversi, cercando cercando, potreste anche trovare il vostro, perché è questo che fanno le canzoni splendide, parlano di te anche quando non parlano di te, per questo ce ne innamoriamo, perché nessuno ci tratta meglio di una canzone. Ecco, allora, trattatevi bene e prendetevi del tempo per ascoltare questo disco meraviglioso. Tiromancino feat. Enula – “Due rose”: Una di quelle canzoni che aleggiano nell’aria e ti strappano un sorriso. Che poi, in realtà, il brano racconta di un amore che vive di fughe e ritorni, di certezze e impossibilità, non esattamente la cosa più comoda e rilassante del mondo, eppure le voci di Zampaglione, autore senza tempo, ed Enula si mescolano con tale scioltezza che un sorriso ti scappa ugualmente, come se alla fine di una storia ti restassero in mente solo i momenti felici. Che è qualcosa che ha del miracoloso. BLANCO – “Innamorato”: Il vero successo di BLANCO non sta nell’aver prodotto un ottimo album, non sta nemmeno nei numeri, che non sta scritto da nessuna parte che premino i migliori, anzi, a dire il vero, quasi mai. Il vero successo di BLANCO, nello specifico di questo album, sta nell’essere riuscito a produrre un disco decisamente più ponderato, che non si porta avanti sorretto dall’istinto, dall’incontrollabilità della propria essenza musicale; senza perdere però quello stile che lo ha portato a diventare uno dei più seguiti giovani della musica italiana. Uno stile che resta azzardato, BLANCO ti avvolge nelle sue cantilene romantiche rappresentando una delle più interessanti visuali del pop italiano contemporaneo. Uno stile talmente forte che regge perfino il confronto con la suprema Mina, quindi con il nostro passato, con la nostra storia, dimostrando che anche questa generazione ha un cantautore nel quale rispecchiarsi per potersi raccontare, come i nostri genitori hanno avuto Battisti e Celentano, i nostri fratelli maggiori Dalla e De André, noi la generazione Silvestri-Bersani-Fabi-Consoli e anche, assolutamente, Max Pezzali. Ad ognuno il suo insomma, i ciovanitoggi non sentono questa soffocante necessità di una melodia, la musica, è evidente, gli risuona dentro in un modo del tutto diverso e, altrettanto evidentemente, sentono la necessità di questa nostalgia strappata in gola, ai confini col pianto, che BLANCO interpreta con una naturalezza e autenticità capaci di tirarti dentro un labirinto probabilmente senza uscita. Nina Zilli – “Innamorata (F____u!)”: Nina Zilli gioca in casa: atmosfere vintage, ipercolorate, decisamente primaverili, sostenute dalla produzione del compagno Danti, che è un fenomeno vero a far sbrilluccicare qualsiasi prodotto pop gli capiti sotto il naso. Tutto perfetto, forse non memorabile, non ci saranno scuole intitolate a lei in omaggio a quest’opera, ma ancheggeremo felici in spiaggia quando la sentiremo sputata fuori dalle casse del chioschetto che ti sta preparando granita al limone e birra. Mai provato, vero? Eeehh… Federica Abbate feat. Mr. Rain – “La pioggia prima di cadere”: Un amore sospeso incastrato in un pezzo dalla struttura forte ed efficace, d’altra parte parliamo di Federica Abbate, tra le più vincenti autrici del pop italiano; ma è tutto troppo leggero, il brano ha senso finchè lo ascolti, quando finisce non ti ricordi una nota, una parola, un concetto. Manifesto perfetto del pop contemporaneo, ma la produzione della Abbate in generale è un manifesto perfetto del pop contemporaneo, funzionante ed effimero, quindi ci sta. Sergio Cammariere – “Una sola giornata”: C’è la musica che dà e la musica che toglie. La musica che da è per tutti, è facile, è la musica che può essere studiata a tavolino, come una ricetta, deve far sentire l’ascoltatore, in qualche modo, pieno, sazio, deve riempire i buchi, anche alla meno peggio. La musica che toglie invece è quella più interessante, è quella che i buchi, al contrario, li crea, è quella che ti fa crollare un pezzo di cuore con un verso, basta anche un accenno, un’intonazione, una parola, una nota, e ti senti punto alla bocca dello stomaco, ti accorgi che i tuoi occhi non si guardano più intorno con quella superficialità, cambia la luce, cambia la nostra lettura della realtà. Questo fa la musica vera e, purtroppo, se ne produce sempre meno. Poi fortunatamente c’è il maestro Sergio Cammariere che in questo senso non è che toglie, rade proprio al suolo. “Una sola giornata” è un album stupendo, che riprende, anche grazie alla meravigliosa penna del fido Roberto Kunstler, quel capolavoro assoluto di “Dalla pace del mare lontano”, certamente uno dei più bei dischi italiani di sempre. I brani sono carezze per le orecchie, quella voce calda, assorbita da quel tocco musicale così raffinato, risulta davvero impagabile, un’esplosione di poesia e delicatezza che non lascia scampo ma, soprattutto, istintivamente, ti costringe a portare le mani al petto, come se una parte di te stesse volando via e tu la volessi bloccare. Una felice violazione del tuo sentimentalismo, tanto che poi alla fine non denunci nemmeno il furto, se è un pezzo di cuore il prezzo da pagare per ascoltare musica di questo spessore, allora va bene. Don Joe – “Don Dada”: La seconda parte di “Don Dada”, l’album firmato dal bravissimo producer Don Joe, ci conferma ciò che abbiamo pensato ascoltando la prima: gli album non si possono reggere solo sulle produzioni, anche se molto cool; serve ciccia, sostanza, contenuti, e in “Don dada”, ahinoi, salvo rare eccezioni (a ‘sto giro “Lauryn Hill”) mancano. Paolo Benvegnù feat. Malika Ayane – “Non esiste altro”: I grandi dilemmi della vita affrontati con il garbo e l’artigianalità di due mostri sacri della nostra canzone. “Non esiste altro” ti trascina via lontano da dove sei, ti costringe a sbattere il grugno su scelte, deviazioni, diversivi, nuclei, indirizzi e risoluzioni. Un incontro artistico di rara fattura che permette alla scintilla di scattare e a tutto quel fuoco di incendiarti. Fasma – “Ho conosciuto la mia ombra!”: Se c’era una cosa che ci piaceva di Fasma era il suo entusiasmo, ok, alle volte immotivato, esagerato, perfino irritante, ma certamente autentico; per tutta risposta lui venerdì esce con un album per celebrare la propria parte oscura, più cupa, più tetra. Noi schiviamo il pensiero che sia proprio una sfida personale tra noi e lui e ascoltiamo questo album con la massima fiducia possibile, ma ne usciamo oggettivamente a pezzi. Le sonorità, architettate tutto sommato con gusto, non bastano, in generale il disco è piatto, non offre spunti, guizzi, sottolineature, più che cupo ci arriva spento e del tutto trascurabile. Peccato, lui è molto simpatico, ma questo disco sembra più un modo per dire: “Ehi, ci sono, sono ancora qui”. Lucio Corsi – “Magia nera / Orme”: Ma quanto è bello restare spiazzati dai pezzi di Lucio Corsi? Autore straordinario che tramite le sue canzoni apre finestre su mondi sconosciuti, con ironia e vere e proprie illuminazioni musicali. “Magia nera” sembra orbitare a metà strada tra la sigla di una serie tv italiana degli anni ’80, quelle belle insomma, sulla scia del miglior Augusto Martelli, e il puro musical; un brano che ispira immediatamente la fiction, intesa come azione, come narrazione, il che vuol dire che il contenuto deve essere ispirato ma anche congeniato in funzione della fruizione del pubblico. In “Orme” invece lo ritroviamo poeta metropolitano, uno dei pochi che riesce a prendere questo mondo tutto storto e a cantarlo come se fosse ciò che non è. Bravissimo. Vipra – “Musica dal morto”: La rivoluzione post-punk di Vipra prende definitivamente forma in questo suo “Musica dal morto”, un album favoloso in quanto ben scritto, ben pensato nelle sue varie forme, certo, ma soprattutto perché rivendica, con una potenza mai stata così esplicita, la funzione dell’elemento canzone nella nostra società. Alla musica da intrattenimento fine a se stessa, Vipra oppone la musica che, abbiamo l’impressione ascoltando, pretenda di vivere solo di impegno, di significato, di nutrimento per anima e muscoli; l’album infatti è violento, le canzoni ti schiaffeggiano e nel frattempo ti deridono e nel frattempo ti sfidano. Ancor più che un disco bello, che per fare un disco bello bastano due spicci di talento, un disco utile, che potrebbe (dovrebbe?) essere formativo per un’intera generazione di artisti ingoiati, e felici di esserlo, dal mainstream più spudorato. Ascoltando “Musica dal morto” si balla, ci si arrabbia, ci si infuria, poi di nuovo si balla, poi si urla ma sempre, dalla prima all’ultima nota, si pensa; che è attività sempre più assente in questo mondo. Insomma, un discone. Bravissimo. Nashley – “Amelie”: Ottimo brano, forse tra i migliori del bravissimo Nashley, che racconta di Amelie, che altro non è in fondo che un nome come un altro, una figura utile per rappresentare le nostre debolezze, i nostri dubbi e anche la nostra fuga, quella rigenerante ed egoista, quella che lascia un vuoto in chi ci sta accanto, ma che è anche l’unica strada percorribile in certi frangenti della nostra esistenza; che la presenza è sempre così faticosa, no? Giuse The Lizia – “Crush”: Giuse The Lizia è il più credibile tra i cantautori della famigerata generazione Z, perché ne parla si, ma non solo, anche e soprattutto perché la incarna. La incarna in questa modalità di canto sguaiata, distratta, sprecisa in termini di pronuncia delle vocali, ma anche intensa e particolarmente centrata, con questa visione che sembra poter contenere tutto il possibile, il mondo in una tasca, compresa Edwige Fenech, ad un ritmo schizofrenico che varia tra il forsennato e il quieto, sentimentale, romantico ma, sempre, sempre, autentico. Giuse The Lizia è come se su questo terreno altamente sismico riesca a costruire il proprio disco perfetto, riesca a raccontare la sua visione del mondo giovane e concreta, romantica e affamata. Lavoro eccellente. Bruno Belissimo – “Desiderio”: Perdersi nelle sonorità di Bruno Belissimo, uno dei più intriganti personaggi dello showbiz musicale italiano, è uno spasso. Si balla tanto e si balla bene. Avincola – “La febbre, l’amore, la tosse”: Il corpo rappresentazione plastica di un cuore sempre alle prese con i malanni di un romanticismo semplice e tangibile. Il romanticismo di Avincola e di Cimini, che insieme a lui firma il brano; due autori che lasciano entrare molti colori nelle proprie opere, anche quando si parla di un malessere tormentante come la febbre o la tosse o, appunto l’amore. Gregorio Sanchez – “Luna di miele, fine del mondo”: Un EP garbato dalle sonorità eteree, dall’ascolto piacevolissimo, il cantautorato che vorremmo tutti ascoltassero, in quanto modalità di approccio perlomeno: serio, efficace, non in linea con quello che va, non pensato sulla scia di quelle hit da classifica grandi e volatili come coriandoli, ma pregno dell’urgenza creativa di un artista vero. Bravissimo. Camilla Magli – “Forever Young”: La brava Camilla Magli firma un brano per l’omonimo film di Valeria Bruni Tedeschi; un brano che ha un’anima piena, molto femminile, che non scade in stereotipi gne gne, né in eccessi di cazzimma autentici come monete da tre euro. Invece è una canzone ti rimbalza nel cuore, asfissiante nella composizione, impossibile staccarsene, alla fine viene perfino voglia di riascoltarla; che, solitamente, chi ce l’ha il tempo? Grande lavoro. Shari – “Ti uccido”: Operazione vintage per la bravissima Shari, una delle meno comprese, ahilei, ma anche ahinoi, dell’ultima edizione del Festivàl di Sanremo. Se fosse un film sarebbe il mitico “La signora ammazzatutti” (1994, superate la scelta sconclusionata del titolista e recuperatelo), il brano infatti ipotizza l’omicidio come un’opzione come le altre in una vicenda amorosa; un ragionamento, chiaramente folle ma anche logicamente portato avanti (prendiamo questo “logicamente” con le pinze, non perdiamo tempo con inutili sottigliezze), che si stiracchia nel ritornello: “Io ti uccido/Perché l'amore uccide/E io provo amore/E poi mi uccido/Per farla finita e vederci all'inferno io e te”. Il tutto offerto con queste sonorità retrò che permettono a Shari di giocare anche con un’interpretazione che risulta allo stesso tempo dolce, intensa, fredda e meravigliosamente da squilibrata. Geniale. Golden Years feat. Giorgio Poi e Drast – “Fantastico”: Su un riff che richiama fortemente le hit anni ’80, Golden Years, producer dal talento sopraffino, convoca Drast e Giorgio Poi, seppur diversi tra loro, due dei migliori autori di nuova generazione. Il brano funziona che è una meraviglia, si fa ascoltare e, volendo, anche ballare. Quelle due note, computerizzate fino a ricordare le sonorità dei videogame della Commodore, che reggono le fila del pezzo, risultano tanto semplici quanto trascinanti, come un cuore robotico e, comunque, innamorato. Michael Sorriso – “Fubu”: Il rap di oggi che incontra quello di inizio 2000, con il rispetto e l’arroganza tipici di chi ora pratica la più seguita delle discipline musicali. Michael Sorriso sforna un altro brano di valore, dimostrando di maneggiare la materia con cura e talento, riuscendo anche a plasmare poi il tutto a propria immagine e somiglianza. Mille – “Sbagliare sbagliare”: Il riferimento alle hit anni ’80, con quei synth in cassa dritta, è decisamente esplicito, tanto da poterlo quasi chiamare omaggio. In “Sbagliare sbagliare” Mille si denuda, è come se ce la figurassimo al centro di una pista, illuminata solo da una stroboscopica, a ballare forsennata come chi desidera scrollarsi di dosso tutti i problemi, le preoccupazioni, le ansie, restituendoli alla loro dimensione invisibile; e a te vien voglia di unirti a lei. Ottimo. Beatrice Quinta – “Attrazione fatale”: Il sospetto è che vogliano venderci l’ex X Factor Beatrice Quinta come una sorta di sex symbol musicale, lei, anche dal punto di vista visivo, ci sono diversi video di suoi live che girano sui social, sembrerebbe puntare a Lady Gaga ma non va oltre Bridget Jones, e l’effetto si riflette anche su brani che vorrebbero riprendere quel pop ammmericano ma che poi, di fatto, si riducono a macchiette, in questo caso davvero inascoltabili. Tipo che la cosa fatale di questa canzone è proprio l’ascolto, non ci sono ammiccamenti, non ci sono allusioni, non c’è malizia, solo una cafonaggine di fondo che tutto fa tranne che eccitare. Valerio Mazzei – “Diverso”: Certamente il miglior brano finora proposto da Valerio Mazzei, altro narratore della propria generazione, la Z, che però decide di andare decisamente controcorrente rispetto allo status quo della musica destinata ai teeneger, così invece di aggiungere, di caricare, con iperproduzioni, sonorità buttate a casaccio, decide di togliere, di far brillare il brano di luce propria. Scelta azzeccata. Eva Pevarello – “Da soli qui”: Che classe Eva Pevarello, cantautrice non abbastanza celebrata del nostro panorama musicale, che piagnucola spesso per la mancanza di voci femminili ma poi quelle che ci sono per avere un seguito devono vendere la propria immagine su Tik Tok, come se la musica fosse un prodotto per televendite. Bleah. E invece di donne nella musica ce ne sono eccome, Eva Peverello è una di queste e in “Da soli qui” riesce con un’interpretazione magistrale a tenere alta la tensione senza bisogno di accelerate furiose, di intensità rilasciata a casaccio. Si fa accompagnare nella realizzazione da due fuoriclasse come Fabio Rondanini alla batteria e Josè Ramòn Caraballo Armas alla tromba e Viviana Strambelli in fase di scrittura, che è anche lei una cantautrice, in arte Lamine, ed è anche lei bravissima. “Ma noi (sigh!) non abbiamo cantautrici donne nella nostra musica (sob!)”, roba da mandarvi a letto senza Sfera Ebbasta. Angelo Sicurella – “Cigni”: Album di gran classe, da cantautore vero, che non utilizza la musica per arrivare ad altro, ma si ferma alla necessità di comunicare qualcosa; in questo caso una visione del mondo poetica, lineare e autentica, forte di una struttura inattaccabile, così che ogni brano, potenzialmente, potrebbe essere il nostro della vita. Basta cliccare play e lasciarsi trasportare. Mutonia – “Baby”: Sarà che il pezzo è stato lavorato con il supporto della premiata ditta Manuel Agnelli/Rodrigo D’Erasmo, ma l’ex band in gara a X Factor, con gusto ma con pochissima consistenza, si avvicina sempre più alle tonalità degli Afterhours; che comunque, manco a dirlo, erano tutt’altra cosa. Questa “Baby” convince poco, l’intenzione può anche essere corretta, ma manca di mordente, manca di essenza cantautorale.

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