Geolier – “Il coraggio dei bambini – Atto II” : Altri sei brani firmati dalla perla rap di Napoli, il giovane fenomeno Geolier, che crescendo non si sta facendo impantanare nei clichè del genere, non si fa tentare da quella narrazione esponenzialmente street che alla lunga da la nausea. Tira dritto invece verso quello stile di scrittura facilmente accostabile al cantautorato, senza negarsi sonorità cool, una produzione ultramoderna, ma pensata con un gusto talmente musicale da poterci incastrare dentro anche Marracash, che vabbè, lui sta bene ovunque, e Giorgia, che proviene da un ambient totalmente diverso ma con la quale crea queste due meravigliose linee di cantato che contrastano e si mescolano creando un agrodolce irresistibile. Geolier, 23 anni compiuti una manciata di giorni fa, scrive maledettamente bene, propone musica che taglia il mercato in maniera trasversale e, nella scena rap italiana, è sicuramente tra quelli che meglio riesce a produrre musica all’altezza del mercato internazionale. Non si può davvero chiedere di più.
Boomdabash – “L’unica cosa che vuoi” : Messo un attimo da parte il classico tormentone, i Boomdabash, si affidano alla produzione di JVLY per una ballad d’amorosi intenti evidentemente molto sentita, ma davvero poco funzionante, didascalica ai limiti dell’elementare nella scrittura e scarica nelle sonorità.
Sfera Ebbasta feat. Luciano – “Orange” : Brano che non fa che alimentare quel fuoco che ci brucia dentro ogniqualvolta ci ritroviamo costretti ad ascoltare roba di questo tipo, e ci costringe a chiederci come mai sia possibile che uno degli artisti più ascoltati in Italia sia Sfera Ebbasta, che, attenzione, non sono i tatuaggi, non è il genere, non sono i vestiti, i denti d’oro e tutti gli orpelli utili a portare avanti quella narrazione plastificata legata alla strada e all’avercela fatta; così sarebbe troppo facile difendersi timbrandoci all’istante come boomer che non capiscono. No, è proprio che le canzoni sono, tutte, tutte, tutte, scritte molto, molto, molto male, che la semplicità richiesta dal target di riferimento, ovvero ragazzini che non hanno avuto il tempo di scoprire la magia della musica fatta come si deve, venga fatta esplodere con così tale superficialità, servita come uno snack che altro non fa che far ingrassare la loro sete di nulla. Un vecchio proverbio delle nostre parti recita: “Cu e' chiu´ babbu? U cannaluvari o cu ci va appressu?”, ecco, forse è giunto il momento di porci questa domanda molto seriamente.
Francesco Gabbani – “L’abitudine” : Se lo scopo è riappropriarci delle nostre vite, con un brano di Francesco Gabbani è chiaro che viene un po' più semplice. Gabbani forse è rimasto vagamente fregato dal fatto che in passato la sua “Occidentali’s Karma” sia stata scambiata per un tormentone, un classico sanremese, ultimamente basti pensare a “Musica leggerissima” di Colapesce e Dimartino, cantata da tutti e capita da nessuno; perché è come se da quel momento in poi tutti ricercassero in lui quel pop e quel pop soltanto, efficace, divertente, colorato e tutti poi in spiaggia a fare il balletto. Gabbani col tempo ci ha dimostrato di essere molto di più, tutta la produzione a quattro mani con il maestro Pacifico per esempio è di grandissimo valore; “L’abitudine” invece è scritta con Fabio Ilacqua, altrettanto bravissimo paroliere, e ancora una volta all’efficacia del pop non va sottratta la volontà di dire qualcosa di particolarmente centrato.
Nitro – “Outsider” : Alla fine dell’anno diremo che “Outisider” di Nitro è uno degli album più belli dell’anno. Il rapper vicentino pondera un disco schizofrenico, una sorta di meraviglioso scarabocchio in cui ognuno può leggerci e riconoscerci la figura che meglio gli si confà. Perché con “Outsider” si balla e si piange (non perdetevi “Ti direi”, che straccia il cuore dalla bellezza), è un album da studiare per sonorità mai sentite (insieme a Low Kidd si sono addirittura inventati l’iperdub, un nuovo genere con delle possibilità musicali esponenziali) e per capire in che modo il carattere di un artista possa sempre dare nuova luce ad un genere che tende a rimbalzarsi addosso in loop. Nitro si denuda, si da in pasto al proprio pubblico, sottolineando che quella che molti scambiano per rabbia in realtà è solo l’autenticità di un liricista che non si accontenta, che va in fondo alle cose della vita con la necessità di chi vede in quello che fa uno scopo, per se stesso e per chi ascolta. Perché alle volte la musica è un’opzione, una possibilità per risolversi, anche attraverso il pensiero altrui, utilizzare l’arte solo come intrattenimento è come prendere la Ferrari per andare dal salotto alla cucina: uno spreco. “Outsider” certamente illumina Nitro, che lo ha scritto, lo pone definitivamente in quella fascia di rapper tra i quali rintracciare l’eredità di quel cantautorato che tanto rimpiangiamo; ma illuminerà anche la via di chi ascolta, renderà tutto un po' più chiaro, come una birra con un amico, il confronto umano e sentito. “Outsider” è di fatto un disco che rende migliori.
Dente – “Hotel Souvenir” : La nostalgia di Dente è un caleidoscopio attraverso il quale si possono esplorare tutte le più intense emozioni messeci a disposizione dall’Altissimo. Il taglio è sempre il suo, quello al quale ci ha ormai abituati: gentile, morbido, delicato, come se le sensazioni preferisse raccontarle, disegnarle e vederle esplodere dentro di noi, senza imboccarcele, facendo un passo indietro come un pittore dinanzi alla tela appena conclusa. L’Hotel Souvenir ha solo dieci stanze ma dentro ci trovi il mondo, chi parla con un amico, chi con tanti amici, chi da solo, ma tutti gli ospiti, compresi noi che clicchiamo play da questa parte, non possono fare a meno di riflettere sul tempo, il vero protagonista dell’album, il tempo che passa e quello che non dovrebbe mai passare, il tempo che non riesci a bloccare, quello che quando passa è una tragedia e quello che quando passa fai spallucce. L’Hotel Souvenir è un viaggio e allo stesso tempo il ricordo di un viaggio, guardandoti allo specchio, e arrivando alla conclusione che ciò che vedi riflesso è anche il risultato di quel viaggio.
Bresh – “Altamente mia” : Un buon brano che rispetta i canoni del rap contemporaneo sulla fine di una storia, si, ma forse ancor di più sulla reciproca appartenenza quando si sta insieme, quando si vuole dare senso al tempo passato insieme alla persona che si ama, il desiderio di poter riflettere su quella storia con il rammarico e la rabbia e la frustrazione che derivano sempre in qualche modo da una storia che finisce, ma anche senza il dubbio di aver semplicemente perso tempo, che anche quelle piccole cose, che tutto rappresentano in una storia, non siano ricordi bugiardi; ma che, soprattutto, chissà quanto ancora ci si appartiene quando ci si è amati tanto e davvero.
Paola Turci – “Fiore di ghiaccio” : Una lettera intensa di una madre ad una figlia, il tentativo di ricongiungere due “pianeti distanti”, così come recita il testo, che poi è il mostro finale che ogni giorno un genitore deve affrontare affinché le cose con i propri figli funzionino. Un problema universale che Paola Turci, con la classe che la contraddistingue, affronta in maniera diretta, intensa e poetica.
Mecna feat. Drast – “Mille voci” : Pop intenso che segna il ritorno di Mecna, bravissimo rapper, accompagnato da Drast, che da poco è fuori con il suo primo bellissimo disco solista. “Mille voci” è un brano sull’orgoglio, oppure, se si preferisce, sulla narrazione che ognuno fa di se, sulla proiezione che riflettiamo ogni giorno sugli altri. Ben fatto.
Danti feat. Alexia e Saturnino – “Dal basso” : Cafonal si, ma irresistibile, coinvolgente, e non solo perché Alexia ha una voce ipnotizzante e Saturnino, vabbè, è Saturnino; perché la proposta di Danti si fa sempre più centrata e quello che fa lui, come lo fa lui, lo fa solo lui. “Dal basso” non vi farà riflettere sui bivi della vostra vita, non vi aprirà in due il cuore e potrete dedicarla solo al cielo mentre ve la ballate vagamente sbronzi e incoscienti; però quante risate.
Sick Tamburo – “Il colore si perde” : Questo apparente distacco da ciò che canta, rende i brani di Gian Maria Accusani irresistibili. Questo perché le emozioni ti arrivano in faccia senza gli artifici di mille produzioni arzigogolate, è come se i pezzi dei Sick Tamburo non abbiano mai intermediari, siano sempre una questione personale, una sorta di sussurro rock all’orecchio dal quale si diventa dipendenti. I Sick Tamburo sono un mondo a parte, che magari conserva le stesse nostalgie del nostro, ma di musica ce n’è ed è sempre ottima.
Mox – “Dentro la mia stanza” : Esercizio cantautorale di gran livello, una costruzione del brano solida che lascia ampi margini di manovra a guizzi poetici affascinanti che ti tengono attaccato al pezzo dall’inizio alla fine. Mox resta artista in profonda evoluzione, riesce a variare le tonalità dei colori dei propri brani con la maestria dei consumati dalla musica, dei veri, dei puri, di chi trova nella composizione di un pezzo una soluzione per la necessità di espressione che gli brucia dentro, e poi la trasferisce a noi. E noi, sentitamente ringraziamo, perché “Dentro la mia stanza” è davvero un bellissimo brano.
Michael Sorriso – “Michael Sorriso” : Michael Sorriso riesce meravigliosamente bene a risultare fresco come un emergente nonostante il suo sound si rifaccia molto più alle sonorità della old school. Infatti il suo rap è più cupo, la parola regge le fila dell’attenzione di chi ascolta e chi ascolta viene messo all’angolo e sonoramente massacrato da barre regolarmente azzeccate. Ancora un ottimo lavoro.
Santachiara – “Colpa dei no” : Molto complesso al giorno d’oggi riuscire a sfornare musica che abbia caratteristiche uniche in un mondo, quello della musica, che si è allargato ad ogni possibile variante di qualsiasi genere ma che, paradossalmente, ha anche livellato tutti sullo stesso sound. L’unico modo per uscirne è avere una visione della musica che sia superiore. Santachiara, ormai è evidente, ce l’ha; questa “Colpa dei no” è elettronica, intrigante, trascinante dentro questa storia d’amore dalle fattezze tossiche e ci spiace se Santachiara l’ha vissuta davvero, ma se poi ti vengono fuori pezzi di questo tipo, allora si stringono i denti e, tutto sommato, ne è valsa la pena.
Pablo America – “San Michele” : Finalmente il primo album, finalmente possiamo unire i puntini per provare a definire i connotati di un artista che con i suoi singoli ci ha nettamente conquistati, parliamo di Pablo America e della sua visione distorta e affascinante della musica, della sua capacità cantautorale non solo alta, ma capace di prendere forme che sono l’una l’opposto dell’altra e di arrivare sempre dove deve. Sono otto brani a comporre quello che potremmo definire, giusto per restare in tema del periodo, una sorta di Pasqualone musicale, lo prendi sicuro che ti farà felice anche se dentro non sai cosa c’è. Ecco, noi abbiamo aperto, non vi spoileriamo nulla, ma siamo felici.
Ciliari – “Maledetto amore” : Ballad dai tratti cantautorali indie, perfettamente strutturata, scritta con il sentimentalismo immediato di quell’ambient musicale, un ambient del quale sentiamo una forte nostalgia ora che tutto è rimasto in gola al pop mainstream…eh vabbè. Perlomeno abbiamo Ciliari e tutti i Ciliari in giro per l’Italia che fanno della propria necessità espressiva il loro focus. E noi ce li godiamo.
Dadà – “Chill Dans” : No cara Dadà, a questo punto è chiaro, meglio dirselo chiaramente e pubblicamente: la nostra non era una cottarella favorita dalle luci dei riflettori di X Factor, il nostro è amore. Amore puro. Che fascino, che carezza per le nostre povere orecchie stuprate dalla trap. Grazie mille.
Davide Diva – “Castelli di sale” : Ciò che colpisce sempre profondamente dei brani di Davide Diva è la sua idea di pop così chiara e decisa, così autenticamente in grado di abbracciare chiunque gli si avvicini, anche quando garbata e strutturata, come questa “Castelli di sale”, che altro non è che un ragionamento su ciò che ci circonda, la ricerca spasmodica di un equilibro, sempre più complesso da trovare. Davide Diva sta diventando una felice e regolare conferma di qualità.