Pinguini Tattici Nucleari – “Coca zero”: Semplicità e leggerezza, cultura pop e un testo costruito su incastri accattivanti, per raccontare un mondo che cambia, a partire da un’improvvisa passione di Riccardo Zanotti per la Coca zero, per gli appassionati della bevanda in versione original, una deriva quasi preoccupante, un po' come la birra analcolica e l’ananas nella pizza; ma poi, con questo brano, molto divertente, dichiaratamente rivolto ad una generica “Signora mia”, i Pinguini Tattici Nucleari in realtà altro non fanno che mostrarci i colori sgargianti di questo mondo che si rivoluziona giorno dopo giorno davanti agli occhi e chissà se è meglio fare spallucce, adeguarsi o avere paura; probabilmente la prima delle ipotesi. Anche perché, effettivamente, vestito così, anche senza zucchero, sta da Dio. Lazza – “Zonda”: è evidente che mentre “Cenere” spacca in due le radio manifestandosi per ciò che è: una riuscitissima esplosione di pop contemporaneo, Lazza vuole dare un contentino anche a chi, tutto sommato a ben ragione, ha lamentato il fatto che il rapper, di stratosferiche qualità, si sia presentato all’Ariston senza accennare nemmeno per sbaglio due barrette in croce. La sua risposta al momento è questa “Zonda”, che è un rap puro, anche abbastanza cupo, un brano perfetto per bilanciare i colori sfavillanti di “Cenere”. L’efficacia non è la stessa, è chiaro, fisiologico, “Zonda” non è una hit ma un esercizio di stile portato a casa in scioltezza, un lavoro notevole ma, ahinoi, bisogna dirlo, dimenticabile. Madame – “L’amore”: Che Madame fosse un caso a parte rispetto all’universo urban, non è che ci volesse un genio per capirlo; quello della giovanissima vicentina è cantautorato puro con delle influenze rap, che ormai fanno parte del dna di ogni singola opera proposta al mercato, a tal punto che quasi ci straniamo quando quell’elemento manca. Madame dunque fa ancora Madame, ma non insegue le hit, insegue invece forsennatamente un concetto, la narrazione in quindici brani di quindici storie, al centro ogni possibile visuale dell’amore; soprattutto quello doloroso, complesso, difficile da raccontare anche a parole, figuriamoci in musica. Si tratta infatti di un bellissimo lavoro, un caleidoscopio quasi letterario attraverso il quale guardare all’universo femminile con una chiarezza, una nitidezza, del tutto inedita. Ma, soprattutto, un racconto cupo, crudo, crudo fin quasi al fastidio, offerto in sacrificio alle nostre orecchie senza indorare la pillola; ma si tratta di un fastidio del tutto necessario, che se stai su un ring meglio tirare pugni che carezze, però, attenzione, “L’amore” è un disco talmente ben fatto che Madame non ci nega nemmeno quelle. Rocco Hunt – “Non litighiamo più”: Dichiarazione di pace di Rocco Hunt ad una presunta donna per chiarire una litigata. Non sappiamo esattamente cosa sia successo tra i due ma dopo aver ascoltato il brano diamo totalmente ragione a lei. Mobrici – “Gli anni di Cristo”: Un disco meraviglioso che contiene alcuni dei migliori brani mai scritti da Mobrici, brani che testimoniano una crescita costante sotto ogni punto di vista possibile. Intanto le sonorità, che si fanno sempre più accattivanti, che si spingono più in là, in termini di complessità e al tempo stesso di efficacia; si cominciano a sentire suoni più elettronici che deviano nettamente dal percorso di ballad finora, soprattutto, proposto, comunque ancora specialità della casa di rara fattezza. E poi i contenuti, che si sono fatti più maturi, che diventano a tratti generazionali, a tratti intimi, passando in scioltezza tra la narrazione pura e il ragionamento, il sentimentalismo autentico, coinvolgente, tangibile; una sensazione che arriva così forte che alla fine del disco, non è che pensi “Mi è piaciuto”, pensi “Gli voglio bene”. Una sola collaborazione in quello che è un album che non presenta alcuna sbavatura, alcuna piega, alcuna crepa, con Vasco Brondi in “Amore mio dove sei”, che è una canzone veramente splendida, imperdibile, l’incontro onesto e artigianale di due artisti veri, che celebrano la parola come pochi della loro infornata discografica. Annalisa – “Mon Amour”: “Bellissima” è di gran lunga il miglior brano mai sfornato da Annalisa, forse addirittura l’unico degno di nota, chiaro che poi segna una direzione, chiaro che l’uscita successiva doveva ricalcare le sonorità della hit. Solo che “Bellissima”, se mettiamo da parte l’efficacia da tormentone, che non ci vuole certo uno scienziato ad imbastire, mostrava anche una certa umanità, anche quasi una forma di coinvolgente disperazione, questa “Mon Amour” invece vuole solo essere una hit, una hit qualunque, una di quelle che non vuole comunicare nulla, che non dice nulla, che non provoca, che non arricchisce, che serve solo ad intrattenere un pubblico disinteressato e superficiale, nella quale non si percepisce nulla che sia neanche lontanamente artistico; una delle tante hit insomma, che non valgono di più di uno slot in una classifica radiofonica per un tot di settimane. Nella vita, immaginiamo, basta accontentarsi. gIANMARIA feat. Manuel Agnelli – “Quello che non c’è”: Altro brano che viene riesumato dalla serata delle cover dell’ultima edizione di Sanremo, uno dei pochi, a dire il vero, ad aver tradotto sul palco dell’Ariston la promessa fatta sulla carta. Prima di tutto perché “Quello che non c’è” è una perla assoluta, poi perché effettivamente gIANMARIA comunica quel senso di fascinosa nostalgia misto rabbia che ha permesso a Manuel Agnelli con gli Afterhours in passato di rappresentare una vera alternativa alla popolarissima e pericolosissima proposta musicale televisiva dei tempi. Non che stiamo qui a fare paragoni inutili, ma si tratta di una rilettura tutto sommato piacevole. Calibro 35 – “Extraordinaire”: Solita boccata d’aria fresca in questo ambiente sempre più affumicato. Niente da dire, ascoltate e godete, magari vi si paleserà dinanzi la magia della musica vera, prodotta per esigenza artistica e non per artifici discografici di bassa leva. Giovanni Truppi – “Moondrone”: “Moondrone” non è affatto un brano semplice, Truppi, che per l’occasione si affianca in fase di composizione e produzione sua maestà Niccolò Contessa, apre il brano con un ritornello che richiama le sue solite meravigliose litanie, per poi stiracchiare una dichiarazione d’amore parlata che mette insieme poesia e piccoli frammenti di realtà. Diciamo che sospettiamo non ascolterete questo brano nei più popolari lidi estivi, probabilmente nemmeno nelle radio, ma che importa? Quando vi troverete davanti alla donna che amate potrete dichiararle che “Quando mi dici ti amo si ferma il tempo”, ma attenzione a spiegare perbene i risvolti romantici di versi come “Gli animali che ti assomigliano sono la mucca e il cane” o “A volte ho un'erezione quando al telefono ti dico ciao", perché lì per lì potrebbero sortire reazioni opposte a quelle desiderate. Che ci volete fare? La poetica di Truppi è così, estremamente terrena e fuori da schemi e clichè. D’altra parte lo amiamo anche per questo e così lo vogliamo. Fred De Palma – “Adrenalina”: Rappresentazione musicale della decadenza della civiltà occidentale. Il ragionamento non è su quanto sia brutto o meno il pezzo (allarme spoiler: è veramente brutto), ma più su quanto sia legale o meno rendere pubblica una tale quantità di bruttezza tutta insieme. Maria Antonietta feat. Laila Al Habash – “Per le ragazze come me”: Brano estremamente femminile, lontano dalle logiche alle volte forzate del femminismo talebano. Un brano pieno di umanità, che pialla in maniera netta ogni stereotipo e in cui la donna è parte dell’universo, con limiti e slanci di grandezza assoluta, che chiede al proprio uomo di spezzare le catene, che lo invita a non scomparire nel buio, che nessuno lo andrà a cercare, che lo manda all’inferno ma gli chiede anche di tornare. Solo una artista dalla così spiccata vena poetica come Maria Antonietta, accompagnata dalla brava Laila Al Habash, poteva prendere un argomento così spinoso e farlo diventare un brano così sottile, anche ironico e certamente funzionante. Bravissime. Aiello – “Aspettiamo mattina”: Il migliore Aiello possibile. “Aspettiamo mattina” è un lavoro estremamente efficace, trascinante, come se il dubbio che si palesa all’inizio del brano si sciogliesse man mano che si avanza dentro parole e note combinate particolarmente bene. Bravo. No, anzi, bentornato. Colombre – “Realismo magico in Adriatico”: Un disco che è una carezza, un modo assolutamente efficace di coccolarvi, di viaggiare stando fermi; Colombre è un bravo cantautore, ok, questo era ormai scontato, ma il modo in cui ha sviluppato il gusto per il suono lascia letteralmente sbigottiti. “Realismo magico in Adriatico” è acqua salata e vicoli che non sai dove portano, sono storie che ti spaccano in due e vita quotidiana illuminata da un bel sole, magari alle cinque del mattino, quando albeggia, imbracciando una chitarra in riva al mare, con la gola che gratta e un impulso di vita e romanticismo che ti pervade, è asfalto che si lascia smanacciare dalle gomme, che infuoca la terra, attimi di pausa dalla vita che diventano pura poesia. Così suona questo disco, tra sorrisi e lacrime che si confondono e un vento che ti da sollievo. Perfetto. Eccellente. Boro Boro feat. Elettra Lamborghini – “Delincuente”: Una tale concentrazione di cafonaggine potrebbe creare un buco nero composto di rutti e trasformare l’intero universo in un video di Er Faina. Evidentemente ci sarà qualcuno che ascolterà e dirà: “Bello, che forza di pezzo!”, ma noi non abbiamo idea di come possa essere fatto e come possa essere la sua vita. Sappiamo solo che andrebbe segnalato alle autorità. Napoleone feat. Kaze – “Il giardino di Maddalena”: La rivoluzione che tenta Maddalena finisce per coinvolgere anche noi, perché tutti siamo regolarmente in attesa che il panorama cambi, affamati di vita più di quanto non ammetteremmo mai. Napoleone e Kaze raccontano una bellissima storia con una bellissima canzone. Vettosi – “Memoria”: Ode alla strada cupa ed intimista, Vettosi pratica ancora il suo stile minimal, intenso, centrato. Se quasi tutti i rapper italiani raccontano di una cosa, ma solo pochi di loro ti sembrano attendibili, credibili, allora vuol dire che una scintilla abbaglia il loro talento. Ecco, Vettosi brilla di talento puro, è un tesoro nascosto, dovrebbe girare con una bella X sul petto ed essere braccato dai pirati. Generic Animal – “Mondo rosso”: Ciò che letteralmente entusiasma di Generic Animal è che si distacca dalla concezione della struttura canzone per portarci in un mondo che suona di chitarre elettriche che ti punzecchiano e un tempo piegato ai suoi voleri. In questo caso un mondo rosso, stroboscopico, psichedelico, un album che suona come suonerebbe il paese delle meraviglie di Alice, ma molto più pericoloso se si pensa che quello di Alice è stato incastrato in un libro che puoi chiudere, questo sta qui, lo viviamo tutto il giorno ogni giorno, e se c’è qualcosa che può salvarci, o perlomeno darci una visuale che sia vagamente più accomodante, è sicuro la musica fatta bene. Generic Animal la fa benissimo. Chadia Rodriguez – “Criminale”: Si, in questa canzone certamente c’è qualcosa di criminale; più che un critico servirebbe un detective. Ennesima pantomima musicale di Chadia Rodriguez, uno ascolta e non capisce esattamente di cosa si stia parlando e quel poco che capisce non è minimamente credibile. In realtà è più o meno quello che pensiamo ogni volta che ci capita di dover ascoltare un brano di Chadia Rodriguez, che poi, regolarmente, ogni singolo riverbero di pensiero finisce per andarsi a schiantare sempre sulla stessa domanda: ma perché Chadia Rodriguez è talmente famosa da costringerci in qualche modo ad ascoltare ancora ciò che fa e a doverci pure scrivere? Mah. Svegliaginevra – “Stare con te”: Brano dalle tinte decisamente teen ma assolutamente autentico, un flusso di piccole e meravigliose paranoie che ci riportano ai tempi in cui i problemi erano questi, la presenza/assenza della ragazza o del ragazzo amato, mescolati in una vita che sguscia via da sotto le ruote del motorino e tu che sempre, in qualche modo, riesci a dimenticare, a sorridere, ad essere felice, a goderti ciò che sei: un giovane, uno che ne ha ancora da vivere e può permettersi di non preoccuparsi di ciò che succederà domani. Svegliaginevra è brava, ha un fortissimo senso della struttura canzone, per questo i suoi brani sono sempre così efficaci, riescono ad arrivare con tale semplicità e ognuno può farli propri. Certo, se siete sull’orlo della maggiore età anche meglio, ma il prodotto è valido ad ogni latitudine dell’esistenza. Luigi Strangis – “Adamo ed Eva”: Il brano risulta decisamente ruffiano, ti prende con un ritmo andante che, effettivamente, non ti lascia molte vie di fuga. E poi è suonato e cantato come si deve, con criterio, suona bene nonostante gli evidenti limiti a livello di contenuti. Ma è difficile credere che l’ex “Amici di Maria De Filippi” con questo brano volesse cambiare il mondo e, anche qualora esistesse una canzone capace di cambiare il mondo, difficilmente sarebbe firmata da Luigi Strangis. Detto ciò, un buon lavoro. Artù – “Pietralata”: Un dipinto preciso di un quartiere di Roma, uno di quelli che vive della propria umanità e non del riflesso delle luci dei salotti del centro; un quartiere che conserva ancora il romanticismo delle storie, anche quando pervase da una normalità quasi imbarazzante, scomoda, che ti fa in qualche modo sentire in difetto. Artù ci regala uno stralcio di realtà autentica, che puzza di terra sotto le scarpe e vicini che salutano sempre e la storia che passa, che cambia tutto e non cambia niente. Bravissimo. Lorenzo Fragola feat. Mameli – “Happy”: Abbiamo già espresso più volte la nostra soddisfazione per questa accoppiata felice, abbiamo già detto che questa seconda vita di Lorenzo Fragola è immensamente più autentica e sensata di quella post X Factor delle hit, del successo televisivo plastificato, e che Mameli, come amico e come professionista, probabilmente ha salvato Fragola da un abisso imperscrutabile. “Happy” è pezzo assai interessante, perché l’ipocrisia di questo mondo che ci vuole tutti sorridenti e felici viene espressa anche attraverso un sound che parrebbe prenderti in giro, come se fossi una parodia che smaschera una verità scomoda e a tratti inaccettabile: siamo tutti dannatamente infelici. E ci sta. Silent Bob – “Habitat cielo”: Disco certamente molto vero, che pulsa dell’esigenza di uscire, che non si rifugia in trick discografici da produzione iper cool, anche se la produzione poi alla fine risulta iper cool, perché ad occuparsene è Sick Budd, uno dei maestri della disciplina. Certo, bisogna anche dire che il disco risulta anche altalenante nel tenere l’attenzione, la maggior parte dei brani non fanno strabuzzare le orecchie, non colpiscono, sono privi di guizzi memorabili, ma perlomeno l’intento artistico è facilmente percepibile, c’è la volontà di dire qualcosa, specie nei brani che aprono l’album come “Bussola”, “Due collane” e “Blu notte”, poi l’ascolto si fa sempre più faticoso, arrivi alla dodicesima canzone stremato, felice che il disco sia finito. Probabilmente serviva più attenzione, più misura, ma rimane un buon prodotto. Michael Sorriso – “Firmacopie”: Un autentico pezzo rap. Se pensate che ogniqualvolta un ragazzo tatuato sciorina il proprio autofanatismo in rima si stia parlando di rap, allora vuol dire che di rap avete capito fino ad un certo punto. “Firmacopie” si accomoda su un beat cupo e intenso, il suo flow è bellicoso, non lascia scampo e arriva dritto per dritto. Fenomeno. Lucrezia – “Serenata Iceberg”: Lucrezia è brava e la sua capacità di dare struttura ai brani, considerata l’età, la fisiologica scarsa esperienza, è davvero sensazionale. Questo EP, nonostante il sound risulti più facilmente accostabile ad un pubblico all’incrocio tra il giovane e il giovanissimo, si fa ascoltare piacevolmente, ma manca di ciccia, manca di brillantezza, rischia di finire ingoiato da questa discografia usa e getta. Il pubblico non ha più tempo per fermarsi ad ascoltare la musica, per incastrarlo serve fargli capire che ne vale la pena, in tutta onestà, con l’immensità di opere a disposizione sulle piattaforme, non troviamo un valido motivo per consigliarvi di dedicarvi a “Serenata Iceberg”, se non che magari conservate un buon ricordo di Lucrezia, che magari è vostra parente o perlomeno vi sta molto simpatica. A noi per esempio sta molto simpatica, ma la simpatia in musica è un valore molto relativo. Ceneri – “Nelle teste degli altri”: Canzoni che viaggiano a mezz’aria, dalla consistenza minimal, senza però rinunciare ad un’intensità davvero notevole. Un album, quello della brava Ceneri, in generale molto moderno, che tocca apici di sbrilluccicanza in brani come “Appartamento”, “Lucchetti”, “Fragile”, che sono brani pronti per un pubblico più vasto, in pratica per far parte delle nostre vite, che poi è il checkpoint ultimo per poter dire che nella vita si fa arte, si fa musica, in qualche modo, si incide. Se darete una possibilità a questa brava cantautrice, certamente avrete modo di esporvi, felicemente, a qualcosa che sa di magico e profondo e rigenerante. Jack Out – “Country Boy”: Ogni brano di Jack Out apre una finestra su un approccio alla vita che coinvolge una grossa fetta di nuova generazione di ragazzi, che in quel sentimentalismo dissacrante, didascalico, felicemente spudorato, ci si riconosce perfettamente. Jack Out in qualche modo li raccoglie all’ombra della sua nostalgia, di questa attitudine emo/pop che non rappresenta una via d’uscita dalle umane storture dell’esistenza, ma, al contrario, un modo per affrontarle; che poi è molto più utile. Non è un caso che un pubblico sempre più vasto si stia accorgendo del suo lavoro, perché nei suoi brani molti ragazzi riescono a specchiarsi, a trovarsi e, magari, perché no?, anche a risolversi. /handlogic - "Casa stanza letto dormi”: Esaltante il linguaggio rock con frequenze tech scelto come codice dagli /handlogic, molto interessante anche il pitch del brano, che altro non è che una ninna nanna ultracontemporanea; da smussare gli angoli in termini di scrittura, la stesura del testo non rende onore alle pennellate melodiche proposte. Cappadonia – “La mia casa vuota”: Cappadonia cantautore vero, “La mia casa vuota” è un brano trascinante, le cui fila sono tirate da una chitarra elettrica andante e una sorta di dolore di fondo che, a poco a poco, diventa anche il tuo. Quel dolore sottile e devastante delle case vuote, che somiglia così tanto a quello dei sentimenti vuoti, dei rapporti vuoti, delle strade vuote, delle persone, in generale, vuote, e che mette una malinconia così acuta che ti grida “Aiuto!” da dentro il petto. Ottimo lavoro. Giovanni Ti Amo – “Burro cacao”: Divertente brano che puzza di pop anni ’80, cosa che, lo capiamo, potrebbe scoraggiarvi dal dargli fiducia, in realtà si tratta di una sorta di moderno Alan Sorrenti, quindi una delle robe migliori del periodo, quindi potete andare serenamente. Basso impertinente, versi chirurgicamente precisi, per raccontare tutta quell’energia che passa tra due persone quando gli sguardi si incrociano e scattano i film hollywoodiani, le epopee grandiose, le serie infinite, il famigerato colpo di fulmine. Bravissimo. Karamu – “Mozambique”: Brano strumentale che viaggia su frequenze afrojazz; frequenze che pulsando pulsando vorticano nell’aria alla ricerca, e sia inteso come complimento totale essendo noi fieramente parte della categoria, del giusto gruppo di radical chic pronti a celebrarle con danze scoordinate, ridicole e liberatorie. Musica di qualità. Proprio bravi.