Da Mengoni a Morandi, le recensioni delle uscite della settimana

Gabriele Fazio
Morandi

Marco Mengoni feat. The Kingdom Choir – “Let It Be”: Il brano è stato azzardato in occasione della serata dei duetti del Sanremo di un mese fa. Con canzoni di questo tipo non c’è una via di mezzo: o vengono bene o è meglio se corri a nasconderti; per questo in molti, a ben ragione, se ne tengono lontani. Certo Marco Mengoni non è molti, è proprio unico, per cui quello che da fuori potremmo definire coraggioso, in realtà è un rigore a porta vuota. “Pongi-pongi-po-po-po'”. Gianni Morandi – “Evviva!”: Si tratta di un disco, il 37esimo di Gianni Morandi, che in qualche modo vuole tirare le somme su quest’ultimo periodo musicale dell’eterno ragazzo di Monghidoro. Quindi dentro tutti i singoli scritti per lui da Jovanotti, più la title track, la cui esclamazione ci riporta alle atmosfere ottimiste fino al sadismo del Cherubini. Tutti brani, tra l’altro, che calzano su Morandi, in quanto anche lui, bontà sua, contagiato da questa allegra immortalità, ma senza esaltarlo questo granché come interprete, alle volte quasi trascinato con la costrizione di chi non può tirarsi indietro. Non è un caso infatti che, non considerando nemmeno l’inutile celebrazione di “FATTI riMANDARE DALLA MAMMA A PRENDERE IL LATTE”, accompagnato dall’impalpabile, quasi sempre impresentabile, sangiovanni, la canzone che più ci ha convinti è la ballad “Un milione di piccole tempeste”, composta con misura e raziocinio ma, soprattutto, non da Jovanotti. LIBERATO – “’O DJ (Don’t Give Up)”: Licenza cafona di Liberato, che non è insolito a certi passaggi danzerecci all’interno del suo contesto elettro cantautorale. Magari alle volte però capita di svaccare, di proporre brani che sono a tutti gli effetti dance, che non lasciano spiragli di narrazione, che non lasciano proprio niente addosso se non l’invito a ballare, che noi rifiutiamo a sto giro, magari aspettiamo un brano un po' più interessante, perché questo è proprio piatto. Désolée. Diodato – “Così speciale”: Brano dai toni delicati, tipici dei brani di Diodato, della voce di Diodato, della figura di Diodato e che, diciamocelo, alle volte snervano e, di conseguenza, rendono anche Diodato una porta su Spotify che preferiresti non aprire. Questo perché un conto è ritrovarsi malinconici e, per uno strano scherzo del destino, con una colonna sonora perfetta in sottofondo; un altro è volersi fare del male. Le canzoni di Diodato fanno proprio male, ma questo, attenzione, è il suo superpotere, la straordinaria capacità di coinvolgere l’ascoltatore in quei ricordi, quella poetica precisa, quella nostalgia semplice e contagiosa, Clark Kent che fa cose da Superman pur rimanendo Clark Kent. In questo senso “Così speciale” è un pezzone che ti massacra, che ti fa venir voglia di strapparti la pelle dalla faccia. Hai rotto con la tua donna, sei afflitto, tormentato dai ricordi, ti trovi in macchina, davanti a te un burrone; ecco, diciamo che se esiste una canzone che può convincerti a frenare, quella canzone non l’ha scritta Diodato. Nitro – “Control”: La maggior parte dei nostri ascolti settimanali ci dirottano su musica che uno ascolta e si chiede “Ma perché?”, vomitata sul mercato senza alcuna urgenza, senza alcun guizzo di carattere, senza avere davvero niente da dire. Poi, fortunatamente, ci sono artisti dello spessore di Nitro. Nitro sconvolge, rivoluziona, sovverte, rovescia, riforma, ha un profondo senso della musica, padroneggia istintivamente la materia a tal punto da riuscire a piegarla alla propria metrica; come scrisse una volta Baglioni, “Non la musica che va a tempo ma il tempo che va a musica”. Esattamente.

È così che il flow di Nitro, certamente nella top ten dei migliori rapper italiani, si sviscera, ti trascina via come un buttafuori preso a male, con quella ruvidità e quella sicurezza, quella tecnica sopraffina, costringendoti ad ascoltare, incastrandoti tra barre e incidenze quasi rockeggianti. Il brano stuzzica una critica profonda verso il mondo della musica, verso questa deriva mainstream che, come tutte le derive mainstream, parrebbe spegnere l’autenticità del prodotto finale. Nitro si sfoga, dice che “Fare gli artisti è il sogno proibito dei materialisti” e che “Volevo essere un king, ma è lì che ho capito quanto mi fa schifo la monarchia e amo essere qui. Tu non vederci come sovrani, sembriamo liberi solo agli schiavi”. Oggettivamente, di cosa stiamo parlando? Già questi versi solcano un confine invalicabile tra lui e un buon 95% del resto della musica prodotta in questo paese. Mito vero. Mobrici – “Figli del futuro”: Una domanda importante adagiata su un ritmo forsennato, asfissiante, al quale si fa quasi fatica a star dietro. “Figli del futuro” è forse uno dei brani più impegnati proposti fino ad oggi da Mobrici; che tutti ci ritroviamo ad un certo punto a chiederci cosa ne vogliamo fare del futuro, anche quelli messi all’angolo dal tempo, che guardano con estrema nostalgia all’altro ieri, o perlomeno quello che è percepito come l’altro ieri, ma in realtà sono passati decenni, e tutto sta cedendo intorno a te. Il tuo fisico, i ricordi, le bevute, gli amici che si lasciano incastrare dalla vita in una famiglia, che tu vedi un po' come dei traditori dei vostri ideali, di quella promessa sottintesa di restare sempre dei giovani sognatori che si svegliano tardi la mattina; e poi ancora il lavoro, le notti, tutto, non resta più niente. E istintivamente ti verrebbe da chiederti: “Ma chi te lo fa fare?”, ma poi ti rendi conto che il panorama non cambia mai e che prima o poi anche tu dovevi arrivare a quel giro di giostra, in quel limbo che ti fa arrovellare come il meme di John Travolta in “Pulp Fiction”, come uno che si ritrova a doversi smazzare la tristezza di una stanza vuota, dove fino a pochi minuti fa c’era una festa entusiasmante. E magari ti arrendi. O magari scrivi una gran bella canzone. Bravissimo. Lovegang126 feat. Gemitaiz – “Marciapiedi”: La notte romana, luci gialle, fioche, un insonne scaraventa sul marciapiedi i propri problemi, quello stato d’animo oscuro, in cerca di risposte. Che Roma è così, traffico, buche, si muove e agita come una mamma che non ha il pieno controllo dei propri innumerevoli figli casinari; e poi la notte, quando tutti dormono, anche se stanca, ti porge l’orecchio, ti parla, di da pacche sulle spalle e ti fa tirare avanti. In questo senso i ragazzi della Lovegang126 sono coloro i quali meglio di tutti sanno tradurre quella strana sensazione che ti avvolge quando chiedi al cielo una risposta che poi, gira che ti rigira, ti arriva dal marciapiedi. Giorgieness – “Eclissi”: Giorgieness cala un velo sul mondo, con questa meravigliosa ballad si regala un momento di pace, una tregua, una personalissima eclissi, appunto, un po' di buio per diventare invisibile e riuscire, forse finalmente, ad allontanarsi dagli altri per ritrovare la propria luce. Il tutto realizzato con una delicatezza assoluta, un brano così meravigliosamente intenso e sottile che quasi hai paura a romperlo ascoltandolo, come un soffio di vento che speri sempre che torni a baciarti la faccia. Vale Lambo – “U&ME”: Vuoto totale, tamarraggine DOC, in questo brano manca totalmente la poesia, l’epica; in realtà manca tutto. Nashley – “Per starci in due”: Brano che non presenta grandissimi guizzi in termini di produzione o composizione musicale, ma che risulta devastante in quanto a contenuti. Nashley apre il libro di fotografie della sua vita, è evidente che molte sono ingiallite dal tempo, molte di più dalla malinconia, da ciò che poteva essere e non è stato, ciò che doveva andare in un modo ed è andato in un altro. Che la vita quando scorre davanti agli occhi, immaginiamo, è così, spietata, ti ridà tutto indietro; mettere tutto ciò dentro una canzone, rievocare certe sensazioni, ha senso e colpisce. “Per starci in due” infatti colpisce. E affonda. Auroro Borealo – “Brutto dappertutto”: Il genialoide Auroro Borealo, al suo solito, con ironia, particolarmente malinconica in questo caso, rivolta il mondo come un calzino partorendo quella che ha definito “la mia miglior canzone brutta”. La canzone in realtà non è affatto brutta, soprattutto perché Auroro Borealo oltre a giocare con i contenuti, che fin lì, in tema di ironia, ci arrivano anche gli studenti delle medie più intraprendenti, ci offre una prospettiva musicale molto interessante, più che una composizione, una specie di colonna sonora che definisce i contorni del testo. E fa centro. Che dire? Fa centro. Bais feat. Galeffi – “Venezia”: Una nostalgica cartolina da una Venezia notturna, cupa e affascinante, guardata con gli occhi dal vago sentore di disillusione di Bais e Galeffi, che sono due esponenti della sacra scuola di Hokuto dell’indie: tutto ciò che sfiorano sa, meravigliosamente, di asfalto e sentimento, di musica prodotta con i graffi nelle mani e nel cuore, con quel malessere di fondo che fa sentire tutto così vicino. Bravissimi. Leon Faun – “Vestito male”: Brano schizoide, accessibile e intenso allo stesso tempo, con il beat tenuto alto da questo tocco di tastiera pungente, sopra il quale Leon Faun, uno dei piccoli e luminosi fenomeni della nostra scena urban, ci adagia sopra il proprio disagio, quella sensazione di incertezza quando tutto ciò che è attorno a te è uguale, piatto, standardizzato, omologato, e tu ti chiedi se sei l’unico ad essersi accorto dell’illogicità della cosa. Gran bel pezzo. Erio – “Avere Fede”: Noi Erio ce lo ricordiamo ben prima di X Factor ed è sempre stato un artista dal carattere, seppur mansueto, particolarmente incisivo. Questo sussurrato, queste parole che sembrano morire prima che la fine della pronuncia gli tagli le gambe di netto, come se fossero fatte di vapore, questo suo essere etereo, musicalmente androgino, extraterrestre, non è puro e inutile manierismo, è proprio un’essenza artistica che si traduce in brani. Quasi sempre validi, in questo caso addirittura illuminati. “Avere Fede” è un pizzicotto all’anima, doloroso e in qualche modo rigenerante. Kid Yugi – “Minaccia”: Nell’ambiente si parla di Kid Yugi come il futuro più credibile della scena rap italiana e basta ascoltare questa mina di “Minaccia” per capire il motivo. Non è solo il contenuto delle sue opere che, senza mettere necessariamente da parte il cosiddetto “realness”, riporta a citazioni altissime che viaggiano da Chaplin a Fo passando per ?echov e “Breaking Bad”, ma soprattutto per l’incisività, per la presenza. I brani di Kid Yugi arrivano fulminei, scavano nel profondo, come se te li stesse cantando in faccia, così tu puoi entrarci dentro, vivendoli ancor prima di capirli. “Minaccia” smonta i cliché del rap all’italiana dimostrando che ferisce di più non chi colpisce più forte ma chi colpisce più in alto. Ceneri – “Appartemento”: Pop sofisticato e trascinante, l’”Appartamento” di Ceneri altro non rappresenta che i confini di ciò che siamo rispetto a ciò che del resto del mondo, ma anche di noi stessi, ignoriamo. Chi sei ieri non è detto che sarai domani; il che potrebbe anche essere espresso con drammatica malinconia, oppure con l’ironia distaccata di questo bel pezzo. Ottimo lavoro. Clara – “Origami all’alba”: Lungi da noi travalicare i confini della critica musicale, ma “Mare fuori”, perlomeno nella nostra visione, lo ammettiamo, superficiale, è una specie di frontale tra “Gomorra” e “Skam” girato dalla RAI, niente che possa nemmeno lontanamente stuzzicare la nostra curiosità. Ma, nonostante ciò, sta creando un hype del tutto particolare, portando questo brano, di conseguenza, in classifica. Clara tra l’altro interpreta anche un ruolo nella serie, citiamo da Wikipedia: “Una ragazza arrogante, molto provocativa – abbiamo controllato, si può dire - e sembra non avere alcuna tolleranza e forma di rispetto verso l'autorità e le regole, al punto da voler dare fuoco ad un ragazzo per futili motivi”; il che spiega anche abbastanza bene come mai tutto sembra poco credibile. “Origami all’alba” invece lo è decisamente di più, giusto perché, se c’è uno che in questo ambito “Mare fuori”, sta lavorando proprio bene, è Stefano Lentini, capace con le sue musiche di dare autorevolezza ad un prodotto davvero di dubbio gusto. “Origami all’alba”, inutile pensare altrimenti, è un brano che vive della popolarità della serie, è un brano solido e funzionante, ma non più di molti altri. Non è un si, non è un no, non è nemmeno un forse. È più un si, se ti fa piacere. Alex Fernet – “Amiamoci di meno”: Molto interessante questa idea del bravo Alex Fernet, di mettere insieme pop elettronico dalle sonorità vagamente anni ’80, con questa new world music che tanto va in questo periodo. In amore si va e viene, anzi, per la precisione si va molto più di quando si torna, ma quando si torna è sempre una gioia. Ecco, “Amiamoci di meno” è la storia di un viaggio per ritornare, mette allegria e anche un pizzico di tensione. Bravo. Urbania – “Colpe”: Brano semplice ma funzionante che ricalca questo ibrido tra pop e rap che tanto va; loro lo fanno bene, cantando una lettera carica di disillusione ma al tempo stesso della voglia di far sentire la propria voce, di dire la propria “cosa”. Bravi.

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