AGI - Paola Egonu era attesa al varco e il suo monologo, dai toni pacati e sereni, sembra studiato per prendere in contropiede sia i detrattori, alle cui accuse di vittimismo ha replicato, sia i sostenitori che si aspettavano magari prese di posizioni più nette e politicamente strumentalizzabili sul razzismo.
La pallavolista mette le mani in avanti non appena sale sul palco, spiegando di "non essere qui per dare lezioni di vita" perché "alla mia età sono più le cose da imparare che quelle da insegnare". Nondimeno, sceglie di raccontarsi, per evitare che lei, "spesso definita ermetica", possa nuovamente essere oggetto di fraintendimenti.
"Accusata di vittimismo solo per avere raccontato le alcune brutte esperienze", Egonu parla della fatica di perdere anche quando vince: "Sono quella a cui lo sport ha dato tanto ma che non credo che la sconfitta sia solo quando perdi la partita. Anche se vinciamo ma io sbaglio succede che la viva come una sconfitta". Lei è quella a cui tocca "la palla che scotta perché sono un'attaccante".
E ancora sullle critiche: "Alcune sono costruttive, altre gratuite e altre ancora dei macigni. Sto imparando a dargli il giusto peso". "Siamo tutti uguali oltre le apparenze", ha concluso la schiacciatrice, che non manca di tributare la maglia azzurra che veste con orgoglio, "la più bella del mondo"
La trascrizione integrale del monologo di Egonu:
"Questa sera non sono qui a dare lezioni di vita, perché alla mia età sono più le cose che posso imparare di quelle che posso insegnare.
Cerco di ricavare da ogni giorno un insegnamento e così è stato anche nelle settimane di avvicinamento al Festival.
Spesso in passato sono stata definita ermetica, così nel tempo mi sono impegnata a raccontarmi di più, provando a ridurre al minimo lo spazio di interpretazione. Questo non ha evitato comunque che alcune frasi venissero strappate dal contesto, tagliate, incollate in senso casuale e fiondate sui giornali come titoli usati per far rumore.
Ho imparato che ogni pensiero, una volta che si trasforma in parola e viene condivisa con qualcuno, non è più sotto il pieno controllo di chi l’ha pronunciata. Questo mi ha ricordato che dovremmo sempre cercare di risalire all'origine.
Io sono la prima di tre fratelli, e devo tutto a mamma Eunice e papà Ambrose. Sono loro che mi hanno permesso di vivere un’infanzia felice, che mi hanno sostenuta e che mi hanno insegnato che se vuoi qualcosa devi guadagnartela. Senza temere i sacrifici.
Mi hanno aiutata a trovare il mio percorso, anche se questo ha significato per loro vedermi andare via di casa a 13 anni.
Non sono madre, sogno di diventarlo un giorno, ma sono certa che nessun genitore sia felice che la propria figlia cresca lontana dal suo amore e dal suo sguardo.
Grazie mamma, grazie papà, che per amore verso di me, avete rinunciato a me. Certo, le vostre carezze e le vostre attenzioni mi sono mancate e continuano a mancarmi. Ma sapevo, sapevamo e so che questa è la mia strada.
Sapete, da bambina ero fissata coi “perché”.
Perché sono alta?
Perché mio nonno vive in Nigeria?
Perché mi chiedono se sono italiana?
Poi sono diventata più grande e i perché sono continuati.
Perché mi sento diversa?
Perché vivo questa cosa come una colpa?
Perché ogni volta mi sono punita dando una versione sbagliata di me stessa?
Con il tempo ho capito che questa mia diversità è la mia unicità.
E che nella domanda “Perché io sono io???” c’è già anche la risposta: “Perché io sono io!!!”.
IO SONO QUELLA che quando oggi ancora mi fanno una domanda sul razzismo, rispondo così: “Prendete dei bicchieri di vari colori e metteteci dentro l’acqua. Vedrete che la maggior parte delle persone sceglierà il bicchiere trasparente, solo perché il suo contenuto è più limpido. Eppure se proverete a bere da uno dei bicchieri colorati, scoprirete che l’acqua ha sempre lo stesso gusto, fresco e vita…” perché siamo tutti uguali oltre le apparenze. E se questo non è ancora abbastanza…in Veneto noi diremmo ”Moeghea” ossia “Dai, smettila!”.
SONO QUELLA a cui lo sport ha dato tanto. Ma SONO ANCHE QUELLA che non crede che la sconfitta sia solo quando perdi una partita. Quando sono in campo e commetto troppi errori, anche se vinciamo, può succedere che io la viva come una sconfitta.
Io gioco in attacco ed il mio obiettivo è quello di riuscire ad avere tra le mani la palla decisiva da schiacciare, quella che farà punto. A volte ci riesco, altre volte sbaglio e sto imparando ad accettare l’errore. Perché quella palla che scotta, quella che fa paura, è il motivo per cui di fatto io sono lì.
SONO QUELLA che viene anche criticata. Le critiche non sono mai mancate e non mancheranno, sono inevitabili: alcune sono costruttive, la maggior parte gratuite, altre – e non voglio fare la vittima – sono dei veri macigni. Io – a fatica - ho imparato che sta a noi dare il giusto peso.
SONO QUELLA che come tutti ha dovuto affrontare dei momenti brutti ma che non ha smesso per questo di godersi quelli belli. Sono stata accusata di vittimismo, di drammatizzare e di non avere rispetto per il mio Paese. E questo per aver raccontato esperienze brutte che ho vissuto, per aver mostrato le mie debolezze e le mie paure in vista del futuro.
Amo l’Italia, vesto con orgoglio quella maglia azzurra che per me è la più bella del mondo e ho un profondo senso di responsabilità nei confronti di questo Paese in cui ripongo tutte le mie speranze di domani.
SONO QUELLA che spesso ha sbagliato gli appuntamenti importanti. Nella mia storia di giocatrice sono infatti più le finali che ho perso di quelle che ho vinto. Eppure questo non fa di me una perdente. Cosi come NON è perdente chi a scuola prende il voto più basso e non è perdente chi non riesce a realizzare il proprio sogno al primo colpo
E poi, visto che siamo a Sanremo, non è perdente nemmeno chi arriva nelle ultime posizioni in classifica. Ve lo ricordate? Era il 1983 quando Vasco Rossi arrivò penultimo proprio su questo palco. Un altro NON-PERDENTE, che ci ha insegnato che dalle sconfitte più dure possono nascere i successi più grandi.